mercoledì 26 aprile 2017

El niño del balcón. La Barcellona di Manuel Vázquez Montalbán, Giuliano Malatesta

Da un balcone del Barrio Chino un bambino guarda i suoi coetanei tirare dei calci ad un pallone nella piazza sottostante. Sono i primi anni quaranta, la Guerra Civile spagnola è finita da poco e la dittatura di Franco impone silenzio e obbedienza. Quel bambino è Manolo Vázquez Montalbán, l’inventore del «più stravagante e straordinario detective di tutto il Mediterraneo», Pepe Carvalho. Solo dopo verranno il Montalbano di Camilleri, il Fabio Montale di Izzo e il commissario Charitos di Markaris. Montalbán ci ha lasciato di colpo nel 2003 e ora nel suo quartiere, ribattezzato Raval, lo ricordano solo una brutta piazza e una targa in quella che era la casa della sua infanzia. Con queste due immagini si apre El niño del balcón. La Barcellona di Manuel Vázquez Montalbán, il bel libro di Giuliano Malatesta (Giulio Perrone, pp.104, euro 12). Di Montalbán si è scritto molto. Soprattutto in Spagna, ma anche in Italia, paese a cui lo univa l’amore per la politica, la cucina e il calcio. E pure l’amicizia con Inge Feltrinelli, Slow Food e il manifesto.
MALATESTA, PERÒ, ci offre un viaggio diverso e suggestivo che lega indissolubilmente lo scrittore alla sua città e ancora di più al suo Barrio Chino, un quartiere di operai e represaliados del franchismo che i «missili intelligenti lanciati dagli urbanisti» hanno distrutto con la scusa di mandare via «poveri e puttane». È una critica sagace quella di Malatesta ai troppi processi di riqualificazione urbana che sventrano i quartieri popolari e che nella Barcellona post-olimpica trovano uno dei suoi casi emblematici. Quelle che ci regala Malatesta sono «storie di altri tempi, di una Barcellona che non esiste più». Un vagabondaggio che ripercorre la Ciudad Condal di Manolo e ne recupera la memoria collettiva negata dal franchismo e «dall’autocompiaciuto post modernismo catalano».
Si susseguono così ricordi e immagini che dagli anni bui della dittatura del Generalísimo arrivano fino al nuovo millennio. I lunghi mesi passati da Montalbán nel carcere di Lerida per aver cantato Asturias, patria querida, quando era un giornalista ventitreenne militante del partito comunista. Lì, dietro le sbarre, conosce Biscuter, la persona che gli ispirerà il personaggio del futuro aiutante e cuoco di Carvalho. E poi gli ultimi infiniti anni della dittatura quando muove i primi passi nel mondo della letteratura e, criticato dalla gauche divine barcellonese che si riunisce in locali come il Bocaccio, sceglie il genere poliziesco per «portare avanti una critica sociale utilizzando un formato popolare». Al Bocaccio e alla borghese Calle Tusset, Montalbán preferiva le sordide strade del Raval, il bancone del Boadas, i tavoli di Casa Leopoldo e il mercato della Boquería. È in quel triangolo che si svolgono la maggior parte delle prime storie di Carvalho, cronache della Spagna che passa «dalla speranza pre-democratica all’inganno post-franchista».
MA NON C’È SOLO questo nel libro di Malatesta. C’è la Barcellona invasa dai grandi scrittori latinoamericani come Cortázar, Vargas Llosa o Gabo. La Barcellona della «super agente letteraria» Carmen Balcells, che seppe lanciare al firmamento delle lettere anche Montalbán. C’è quella Barcellona amata da Orwell o Genet, vuoi per il fermento politico, vuoi per la vita senza tempo dei cabaret e dei bordelli del Barrio Chino. C’è la Barcellona anarchica, la Rosa de fuego, e la Barcellona de La Criolla e di Madame Petite. Ma c’è anche il Barça, che per un «tifoso novecentesco» come Montalbán era «l’esercito simbolico, disarmato ma imponente, della catalanità». E, ovviamente, la gastronomia, rivendicata dal creatore di Carvalho come un oggetto letterario. C’è tutto questo, ma anche molto di più. Il tutto con un velo di saudade per una città in cui ora, come scrisse lo stesso Manolo ne Il pianista, «le farmacie sembrano i caffè e i caffè farmacie».
[Steven Forti 26/04/2017]

Nessun commento:

Commenti

il 12/08 SR ha commentato Non credo che D'Avenia possa far parte del nostro blog. Certo i suoi libri sono best-sellers tra gli adolescenti, e probabilmente hanno il merito di avviare qualche giovane alla lettura, ma la banalità delle situazioni e del linguaggio non permettono di considerare questi testi letteratura. Diciamo che sono testi "di servizio", nella migliore delle ipotesi. su Prossimamente
il 14/05 SR ha commentato Purtroppo J.K.J. non sembra più funzionare con le ultime generazioni: un tentativo di leggere a scuola Three Men In a Boat è finito miseramente in noia. I ragazzi non capivano cosa c'era da ridere e io non capivo perché non capivano. Tristissimo. Jerome per me è finito in quell'armadio dove tengo gli autori speciali che voglio proteggere dagli studenti... su Jerome K. Jerome, fare ridere l’uomo moderno, spaventato
il 29/02 Ida ha commentato A proposito di classifiche: "Oggi se vai al cinema devi entrare a un’ora fissa, quando il film incomincia, e appena incomincia qualcuno ti prende per così dire per mano e ti dice cosa succede. Ai miei tempi si poteva entrare al cinema a ogni momento, voglio dire anche a metà dello spettacolo, si arrivava mentre stavano succedendo alcune cose e si cercava di capire che cosa era accaduto prima (poi, quando il film ricominciava dall’inizio, si vedeva se si era capito tutto bene - a parte il fatto che se il film ci era piaciuto si poteva restare e rivedere anche quello che si era già visto). Ecco, la vita è come un film dei tempi miei. Noi entriamo nella vita quando molte cose sono già successe, da centinaia di migliaia di anni, ed è importante apprendere quello che è accaduto prima che noi nascessimo; serve per capire meglio perché oggi succedono molte cose nuove." Anch'io,come U.ECO sono andata al cinema nel modo ricordato e quindi io amo ricordare e vorrei tanto poter fare liste di su Chi siamo
il 28/02 Ida ha commentato Grazie Roberta per aver riaperto il blog.Trovo che è un modo per uscire dalla solitudine delle letture personali.Scrivere e leggere accanto, trovo che è un bel modo per parlarci e parlarmi. su Chi siamo