Oggi su “la Repubblica” è comparso un articolo di Laura Montanari dal
titolo Il digiuno culturale che presenta uno spaccato sulle abitudini degli
italiani che non leggono libri, non vanno ai concerti o a teatro. Ignorano le
rassegne ed il cinema (1 su 5) per scelta.
I “no-cult” non sono marziani e nemmeno abitano in una riserva
indiana, sono nell’Italia di oggi calati nelle città e soprattutto nei piccoli
comuni sotto i duemila abitanti dove il teatro è chiuso da tempo, il cinema o
la sala parrocchiale da qualche anno, la cartolibreria ha tirato giù le
saracinesche ancor prima della crisi per far posto a un negozio di
abbigliamento o di telefonia. Vivono più al sud che al nord tanto per ribadire
l’Italia a due velocità. Sono tanti i “no-cult” quando i capelli imbiancano
parecchio dai 60 anni in su. Lì lo strapotere della tv non si argina.
Come dice giustamente Fabrizio Tonello docente di Politica comparata
all’università di Padova e autore de “L’età dell’ignoranza” magari non hanno
comprato il giornale ma lo hanno letto al bar, magari non sono andati al cinema
ma hanno visto alla televisione un film di Woody Allen. Oppure scaricano web
series, musica, libri o posso aggiungere la mia esperienza sottolineando che non
sempre si compra un libro ma lo si prende in prestito alla Biblioteca, non si
va spesso al cinema ma si noleggia un film in videoteca.
Il divario Nord-Sud resta abbagliante. Il problema è politico, servono
incentivi e contenuti dice Stefano Massini drammaturgo e consulente artistico
del Piccolo Teatro di Milano.
Mi riallaccio ad un articolo comparso domenica su “Il Sole 24 Ore” di
Franco Matticchio che parla delle scrittrici canadesi: quelle degli annoi 30
(da Munro a Atwood) e quelle degli anno 60.
Negli anni 60 il governo centrale canadese cominciò una politica di
sostegno alla letteratura, con finanziamenti, borse di studio, residence per
scrittori. Forse non un aiuto all’ispirazione ed al talento, ma certo un
contributo alla possibilità a concentrarsi sul mestiere di scrivere e un
riconoscimento della sua importanza e della necessità di un contesto
favorevole.
La politica deve rendere fruibile la cultura – riprende Massini – è una
missione bisogna decentrare. Per fare un esempio in Toscana ed Emilia e altri posti
gli spettacoli vengono programmati dalle Regioni nei piccoli Comuni.
Se si reputa il patrimonio artistico una fonte di ricchezza - dichiara
Natali ex direttore degli Uffizi – bisogna incentivare la Storia dell’arte a
scuola. Solo lo studio genera conoscenza e risveglia l’interesse.
In un paese dove la tv tocca il 92 per cento degli spettatori, libri e
giornali arrancano: il 2015 almeno è l’anno in cui si ferma l’emorragia dei
lettori. I libri sono snobbati dalla metà delle donne che comunque leggono più
degli uomini. Tra chi si dedica alla lettura poi, il 45.5% ammette di leggere
al massimo tre libri all’anno e sono in particolare i giovani.
Mariapia Veladiano sostiene che
leggere non è questione di tempo. Il report annuale 2015 di We are social
racconta che mediamente gli italiani passano quattro ore e 28 minuti si
internet, due ore e 30 minuti su piattaforma social, due ore e 39 minuti
davanti alla tv. I più teledrogati d’Europa. Dentro questo oceano di ore un
libro all’anno o uno spettacolo teatrale non sono questione di tempo.
Cultura e potere hanno viaggiato insieme a lungo e chi non frequenta
libri e giornali soffre ancora di un moderato disagio. Poco poco, perché il potere si sta
emancipando con fiera baldanza dalla cultura e da Tremonti in poi si sa che “con
la cultura non si mangia” e ormai non essere laureati è quasi un requisito per
far carriera politica.
A parte la scuola, e infatti l’Istat dice che sono proprio i bambini e
i ragazzi i principali fruitori culturali, non c’è molto del nostro ordinario
mondo quotidiano che racconti che la cultura è importante. Ogni paese ha le sue
storie. La nostra dice che libri, musei e teatro sono per ora cose di scuola.
Non basta, ma graziealcielo c’è la scuola.