sabato 29 aprile 2017

Il selfie del mondo, Marco d’Eramo

Il filosofo Immanuel Kant è stato il primo a teorizzare, nella Critica del Giudizio, la figura del turista come un soggetto che si muove per il mondo alla ricerca di esperienze estetiche gratificanti. Alla ricerca cioè di mete di visita che sono in grado di assumere ai suoi occhi un carattere sublime. Non sono però sublimi in assoluto, ma lo diventano per un turista che li vive come inferiori rispetto a sé. Che trova dunque in tal modo una conferma della sua superiorità nei confronti della natura, ma anche di chi la abita, ovvero gli abitanti di un determinato luogo geografico.
Dall’epoca di Kant, però, il turismo è profondamente mutato. Quello che era un turismo d’élite è stato progressivamente sostituito da un vero e proprio turismo di massa. Pertanto, è andata scomparendo la distinzione tra i viaggiatori e la popolazione che vive in un territorio preciso, la quale ha cominciato a sua volta a viaggiare per il mondo alla ricerca di esperienze sublimi.
CIÒ È POTUTO avvenire perché il turismo si è trasformato in uno dei fenomeni che più caratterizzano le società contemporanee. Al punto che l’attuale può essere considerata una vera «era del turismo». Marco d’Eramo, storica firma del manifesto, ne dà conto nel libro Il selfie del mondo (Feltrinelli, pp. 254, euro 22). D’Eramo racconta, intrecciando interpretazioni teoriche con un’elevata quantità di fatti e notizie, come il turismo si sia sviluppato. Come cioè le città e i luoghi turistici siano diventati oggetto di un intenso processo di miglioramento e promozione allo scopo di soddisfare una domanda di vacanze in forte crescita. Come dunque ogni territorio geografico e culturale è stato progressivamente considerato dotato di una specifica identità che può essere sfruttata per esercitare una capacità d’attrazione nei confronti della domanda turistica.
D’Eramo mette bene in luce come tutto ciò sia nato nel corso dell’Ottocento. Non a caso in tale periodo è andato definendosi il modello dell’albergo. In realtà, l’albergo ottocentesco era un «grand hotel», ovvero un luogo di elevato prestigio destinato ad ospitare poche persone privilegiate appartenenti all’aristocrazia e all’alta borghesia. Grazie alla locomotiva ferroviaria e al piroscafo, il viaggio da tormento si trasformava in piacere e le famiglie altolocate cominciavano a spostarsi. Non è un caso che nella seconda metà dell’Ottocento ci sia stata anche una larga diffusione di guide turistiche, come quelle pubblicate da Karl Baedeker in Germania o quelle celebri di Mark Twain.
IL TURISMO è diventato un fenomeno di massa soprattutto nel Novecento, in conseguenza di una legittimazione etica e sociale del concetto di tempo libero. D’Eramo mette inoltre in evidenza come il turismo si sia sviluppato anche moltiplicando i suoi modelli, assegnando una maggiore importanza allo sguardo del turista. Il quale ha trovato disturbanti le esperienze fatte con gli altri sensi. Che dunque vengono di frequente indebolite o addirittura eliminate.
Per esempio, D’Eramo riporta che i turisti che non hanno il coraggio di fare rafting nel Grand Canyon in Arizona trovano a pochi chilometri di distanza un cinema IMAX con 525 posti su cui viene proiettato un film di 34 minuti su uno schermo da 21 metri con sei amplificatori Dolby stereo che permette di vivere la stessa esperienza di scendere nel fiume con il canotto.
CIÒ È POSSIBILE perché, come aveva già sottolineato nelle sue Mythologies Roland Barthes, il turismo si presenta essenzialmente come un fenomeno culturale e comunicativo. D’Eramo sposa perciò la posizione di Dean MacCannell, secondo il quale quello che conta per i luoghi turistici è la loro capacità d’attrazione, che la società elabora dando vita a delle «frecce», cioè dei markers che attirano l’attenzione.
Il turista poi, visitando tale luogo, produce a sua volta altri markers: cartoline, fotografie, giudizi sui social network. Non a caso, l’atto del fotografare sostituisce spesso per i turisti il guardare. E il digitale, semplificando l’atto del fotografare, ha intensificato questi comportamenti. Dunque, la diffusa pratica odierna del selfie, che dà il titolo al libro di D’Eramo, è dovuta al bisogno di segnalare la propria presenza e la propria esistenza, ma anche alla necessità di produrre dei «marcatori». Il turista contribuisce pertanto a conferire con i suoi markers una natura autentica all’attrazione turistica.
Di conseguenza, nascono anche città interamente dedicate al turismo, o trasformate a tale scopo. D’Eramo racconta di diverse città di questo tipo: Venezia, San Gimignano, Las Vegas o la cinese Lijiang, ricostruita dopo un terremoto secondo un modello di pura fantasia. Eppure oggi ogni anno ben 20 milioni di turisti si accalcano all’interno di tale città per vedere dei falsi nuovi edifici antichi, come il palazzo mai esistito della famiglia Mu.
SI TRATTA di città che applicano il modello dell’«autenticità messa in scena» di cui ha parlato MacCannell. L’autenticità dev’essere cioè «marcata» per essere visibile al turista. Perciò spesso il turista rimane deluso, perché si è precostituito delle aspettative tramite i markers che ha incontrato prima della sua visita e che non corrispondono alla realtà. Eppure l’industria turistica odierna non si ferma. Spesso addirittura trasforma in attrazione gli stessi turisti. E riesce a fare affari persino svelando la messa in scena, cioè mostrando cosa è possibile trovare dietro le quinte, secondo quel modello che oggi applicano abitualmente i grandi chef, che permettono ai clienti di entrare nelle loro cucine.
Eppure, nonostante tutto, va riconosciuto, come fa anche D’Eramo in sede conclusiva, che il tanto bistrattato sguardo del turista di massa non è molto lontano da quello della modernità. Rappresenta cioè il riflesso di quell’insaziabile volontà di conoscere e comprendere il mondo circostante che ha alimentato con successo il processo di sviluppo delle società occidentali.
[Vanni Codeluppi 29/04/2017]

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Commenti

il 12/08 SR ha commentato Non credo che D'Avenia possa far parte del nostro blog. Certo i suoi libri sono best-sellers tra gli adolescenti, e probabilmente hanno il merito di avviare qualche giovane alla lettura, ma la banalità delle situazioni e del linguaggio non permettono di considerare questi testi letteratura. Diciamo che sono testi "di servizio", nella migliore delle ipotesi. su Prossimamente
il 14/05 SR ha commentato Purtroppo J.K.J. non sembra più funzionare con le ultime generazioni: un tentativo di leggere a scuola Three Men In a Boat è finito miseramente in noia. I ragazzi non capivano cosa c'era da ridere e io non capivo perché non capivano. Tristissimo. Jerome per me è finito in quell'armadio dove tengo gli autori speciali che voglio proteggere dagli studenti... su Jerome K. Jerome, fare ridere l’uomo moderno, spaventato
il 29/02 Ida ha commentato A proposito di classifiche: "Oggi se vai al cinema devi entrare a un’ora fissa, quando il film incomincia, e appena incomincia qualcuno ti prende per così dire per mano e ti dice cosa succede. Ai miei tempi si poteva entrare al cinema a ogni momento, voglio dire anche a metà dello spettacolo, si arrivava mentre stavano succedendo alcune cose e si cercava di capire che cosa era accaduto prima (poi, quando il film ricominciava dall’inizio, si vedeva se si era capito tutto bene - a parte il fatto che se il film ci era piaciuto si poteva restare e rivedere anche quello che si era già visto). Ecco, la vita è come un film dei tempi miei. Noi entriamo nella vita quando molte cose sono già successe, da centinaia di migliaia di anni, ed è importante apprendere quello che è accaduto prima che noi nascessimo; serve per capire meglio perché oggi succedono molte cose nuove." Anch'io,come U.ECO sono andata al cinema nel modo ricordato e quindi io amo ricordare e vorrei tanto poter fare liste di su Chi siamo
il 28/02 Ida ha commentato Grazie Roberta per aver riaperto il blog.Trovo che è un modo per uscire dalla solitudine delle letture personali.Scrivere e leggere accanto, trovo che è un bel modo per parlarci e parlarmi. su Chi siamo