«Una vertebra di pecora che ho trovato in un villaggio abbandonato» dice Viola Di Grado mostrando la collana. Dopo Cuore cavo e Settanta acrilico trenta lana (edizioni e/o), successi internazionali, a 28 anni la scrittrice torna con Bambini di ferro
(La nave di Teseo): storia di Sumiko, bambina orfana, e di Yuki,
tutrice, anche lei cresciuta in istituto dove è stata sottoposta al
programma di accudimento artificiale. Di fronte a quella bambina che
rifiuta di parlare e mangiare, Yuki torna indietro alla sua infanzia,
all’esperimento fallito, all’inizio del bisogno. Romanzo sulla maternità
che, in un Giappone di un’era imprecisata, risponde nel modo più
compiuto e poetico alle discussioni recenti, come quella sulla maternità
surrogata. Lunghi capelli biondi, rossetto nero, vertebra di pecora al
collo, ecco a voi Viola Di Grado.
Come nasce la passione per il gotico?
Non c’è un momento preciso. A cinque anni ho scritto il mio primo
romanzo: un orso che tentava ripetutamente di suicidarsi, ma falliva.
Secondo romanzo?
A otto anni: una bambina che veniva uccisa all’inizio del libro.
L’ha letto qualcuno?
Mia madre che cercò di farmi editing: Trasforma la bambina in bambola, voleva correggere il mio immaginario.
E lei?
L’ho lasciata bambina.
Cos’è per lei la scrittura?
In Occidente la scrittura è nata per scopi commerciali. In Cina per
scopi spirituali. Come trascrizione delle risposte degli dei alle
domande degli
uomini. Ecco, io sono più legata all’idea di scrittura cinese.
Perché?
Mi sento molto più una scrittrice che una persona. Lo so, sembra una
posa… ma la mia modalità di partecipazione alla vita ha più a che fare
con la narrazione che con la mia diretta partecipazione.
Vive poco?
Vivo moltissimo per contrastare la tendenza a iper-osservare.
In che modo fa esperienza?
In terza persona.
Anche Yuki, la protagonista del libro?
Yuki verso la fine del libro passa dalla terza persona alla prima.
Chi sono i Bambini di ferro?
Il risultato di un esperimento fallito. Nel buddismo antico: le menti troppo bisognose e dunque impossibili da salvare.
Il bisogno rende fragili?
Il dramma di Yuki è essere così bisognosa. Troppo bisogno ti espone a tutto il male del mondo.
Lei è bisognosa?
Ho molte costellazioni. Cambio ogni anno città, non ho una casa dove
ritrovare le mie cose. Costruisco mondi precari, fatti di piccole cose
che mi
servono in quel momento. Sempre con qualche gatto però.
L’ultimo?
Griselda. L’ho trovata per strada e curata. Sembrava essersi affezionata, poi ha tentato di accecarmi due volte.
Vede questo taglio sull’occhio? E lei la ama?
Immensamente.
Del resto nel romanzo racconta come sia impossibile essere madri e figli perfetti.Nel
libro l’amore perfetto è contaminato da un virus. Anche nella realtà
succede, è inevitabile. La madre sperimenta sul figlio l’amore che ha e
quello che ha ricevuto.
Che pensa della maternità surrogata?
Per quale principio il figlio è tuo figlio se l’hai concepito nel
piacere sessuale? È un discorso primitivo sulla biologia garante del tuo
diritto di avere figli. Il figlio è di chi lo ama.
E viceversa?
Yuki tiene sotto il cuscino il dito dell’Unità materna, la madre artificiale, quella che ama.
Chi sono i bambini di ferro oggi e qui?
La maggior parte di noi.
Lei?
Dipende da cosa sto scrivendo.
Chi è Viola Di Grado?
L’identità è un mito occidentale. L’io è una limitazione biologica per
la vita pratica. La scrittura mi salva dalla noia di essere solo me. Nel
libro c’è una moltiplicazione di madri e feticci. Volevo un realismo
nuovo, che non prestasse attenzione solo alla dimensione umana, dunque
non solo personaggi umani, ma anche bambole, robot, statue. In Giappone
fanno i funerali alle bambole.
Mai fatto il funerale a una bambola?
No. Ma faccio bambole.
Differenza fra nascita e morte?
La morte è un passaggio di energia. Il soffio vitale prende forma e poi di nuovo perde forma.
Paura della morte?
Ho paura di morire e non rendermene conto. Se la coscienza sopravvive in
qualche forma, la morte potrebbe essere un evento minimo non registrato
e tu puoi non accorgerti che l’esperienza ordinaria è già finita.
Il suo peggior incubo?
Sono in un grande prato verde, e di colpo mi rendo conto di essere
andata al di là del tempo e dello spazio. Desidero tornare indietro in
una situazione di limitazione. Torno nella mia casa d’infanzia, ma ormai
il dramma è compiuto perché sono stata nel prato, e non posso più
sentire in modo ordinario.
Il sogno più bello invece?
Vivevo dentro un grande albero con mia nonna.
Questo blog accoglie la nuova avventura di quelli di Sguardi d’Altrove, e il Reverendo Dogdson, con i suoi dubbi sulla realtà, si aggiunge al nostro olimpo di numi tutelari. Non dimentichiamo gli autori che più spesso ci hanno accompagnati nel viaggio di Sguardi d’Altrove, anzi, da loro ripartiamo. Quindi, un pensiero affettuoso e ammirato, in particolare, ad Alan Bennet a alla sua Sovrana Lettrice, mantenendo ben fermo il principio che ragguagliare non è leggere.
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Commenti
il 12/08 SR ha commentato Non credo che D'Avenia possa far parte del nostro blog. Certo i suoi libri sono best-sellers tra gli adolescenti, e probabilmente hanno il merito di avviare qualche giovane alla lettura, ma la banalità delle situazioni e del linguaggio non permettono di considerare questi testi letteratura. Diciamo che sono testi "di servizio", nella migliore delle ipotesi. su Prossimamente
il 28/02 Ida ha commentato Grazie Roberta per aver riaperto il blog.Trovo che è un modo per uscire dalla solitudine delle letture personali.Scrivere e leggere accanto, trovo che è un bel modo per parlarci e parlarmi. su Chi siamo
il 14/05 SR ha commentato Purtroppo J.K.J. non sembra più funzionare con le ultime generazioni: un tentativo di leggere a scuola Three Men In a Boat è finito miseramente in noia. I ragazzi non capivano cosa c'era da ridere e io non capivo perché non capivano. Tristissimo. Jerome per me è finito in quell'armadio dove tengo gli autori speciali che voglio proteggere dagli studenti... su Jerome K. Jerome, fare ridere l’uomo moderno, spaventato
il 29/02 Ida ha commentato A proposito di classifiche: "Oggi se vai al cinema devi entrare a un’ora fissa, quando il film incomincia, e appena incomincia qualcuno ti prende per così dire per mano e ti dice cosa succede. Ai miei tempi si poteva entrare al cinema a ogni momento, voglio dire anche a metà dello spettacolo, si arrivava mentre stavano succedendo alcune cose e si cercava di capire che cosa era accaduto prima (poi, quando il film ricominciava dall’inizio, si vedeva se si era capito tutto bene - a parte il fatto che se il film ci era piaciuto si poteva restare e rivedere anche quello che si era già visto). Ecco, la vita è come un film dei tempi miei. Noi entriamo nella vita quando molte cose sono già successe, da centinaia di migliaia di anni, ed è importante apprendere quello che è accaduto prima che noi nascessimo; serve per capire meglio perché oggi succedono molte cose nuove." Anch'io,come U.ECO sono andata al cinema nel modo ricordato e quindi io amo ricordare e vorrei tanto poter fare liste di su Chi siamoil 28/02 Ida ha commentato Grazie Roberta per aver riaperto il blog.Trovo che è un modo per uscire dalla solitudine delle letture personali.Scrivere e leggere accanto, trovo che è un bel modo per parlarci e parlarmi. su Chi siamo
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