La prima scelta che bisogna fare nel parlare di La scuola cattolica, il nuovo romanzo di Edoardo Albinati, è se occuparsi del fatto che sia lungo 1.300 pagine. Sì, esatto, 1.300 pagine. Sono tante? Sono troppe? Per un romanzo, si potrebbe rispondere quasi sempre sì. Se si tratta di un tentativo di capire il mondo, o, come nel caso del libro di Albinati, ancora più precisamente un tentativo di trovare un modo di starci, nel mondo, allora no. Allora sono poche. Sono sempre poche.
L’operazione narrativa che ha fatto Albinati, che pure è autore di libri interessanti e/o importanti come Maggio selvaggio o Vita e morte di un ingegnere,
è quasi disarmante per la sua evidente potenza. Ha preso un nucleo
intorno al quale ragionare, e da lì ha fatto scaturire invece che un
romanzo, una specie di grappolo di narrazioni che di solito nella storia
di uno scrittore occupano la vita intera. Spesso, degli autori basta
mette in fila i libri che hanno scritto per concludere che il grande
romanzo lo hanno scritto così, una puntata alla volta, durante l’arco di
una carriera. Albinati, invece, partendo da un’esperienza anche banale
perché affrontata da tutti gli esseri umani, gli anni della scuola, fa
germogliare il mondo intero, facendo partire una quantità di racconti e
temi e riflessioni e collegamenti impressionanti. La scuola è il San
Leone Magno intorno alla via Nomentana; l’obiettivo dove il romanzo
punta è il delitto del Circeo, uno dei primi più appassionanti e feroci
della cronaca nera (legato a giovani che hanno frequentato quella
scuola). Ma i temi sono innumerevoli, e sembra riduttivo elencarne solo
alcuni: la formazione del maschio, l’educazione cattolica, la famiglia,
la borghesia, il sesso, la violenza come risultato spesso poco
sotterraneo delle frustrazioni che creano tutte queste cose insieme. Ma
mentre scrivo questo elenco di massima, i temi, i ragionamenti, le
storie che affiorano sono tante e tante ancora. E sarebbe uno sforzo
inutile cercare di riassumere qui.
Albinati macina pagine e pagine in modo del tutto consapevole,
dialogando a volte con i lettori e l’argomento è proprio quello della
ponderosità, o comunque della necessità: «Abbiate pazienza se proseguo
qui per qualche pagina a parlare di famiglia. Se non scrivessi ancora
qualche riga, se non ci ragionassi sopra con calma, i ragazzi di questo
libro resterebbero incollati come figurine su grandi fogli bianchi». A
volte invece concede al lettore, se non gli va di approfondire un
capitolo, di saltare avanti. Altre volte si scusa, fa un sunto dei
capitoli che state per affrontare, casomai non dovessero interessare.
Ecco, la questione è che non soltanto questo libro è importante,
a volte grandioso, non soltanto necessita di tutte queste pagine, ma
grazie a questo tempo che si prende, a questo spazio che si prende,
genera un tipo di narrazione assolutamente originale che, insomma, può
rimanere un punto fermo degli anni letterari che stiamo vivendo.
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