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Recensione: Maria Rosa Mura
Recensione: Maria Rosa Mura
Incipit
Per molto tempo a Niederhausen non andai a un matrimonio, né a un funerale, né a un battesimo. Sembrava che in quel paese nessuno nascesse o morisse o si sposasse, che non capitasse nulla, né di bello né di brutto. Dipendeva da me che ero l'ultima arrivata e non parlavo una parola di tedesco. Andavo per le strade e non c'era uno che mi salutasse, che mi sorridesse, che avesse conosciuto mio padre o mia madre, che avesse in comune con me un solo, unico ricordo. Potevo anche inventarmi una nuova identità e nessuno se ne sarebbe accorto."
"Vivere altrove" comincia e finisce sottolineando la solitudine, l'estraneità dell'italiana arrivata in quel villaggio sperduto in mezzo ai boschi della Germania, puntino ignorato sulla carta. Dalla natia Alba, città di case, strade, portici, gente, alla casa isolata soffocata da una barriera di verde che invano lei continua a tagliare.Marisa Fenoglio appena sposata vi arriva col marito, chiamato a dirigere la filiale della ditta italiana che profitta delle agevolazioni fiscali che rilanciano l'economia di Niederhausen, piccolo paese in cui erano concentrate le più grandi fabbriche di munizioni, distrutte dagli americani dopo la guerra.È un testo di emigrazione anche se l'autrice precisa "Mio marito ci arrivò come datore di lavoro e noi non conoscemmo mai necessità materiali o porte chiuse. Se di emigrazione si può parlare, nel nostro caso non poteva che trattarsi di un'emigrazione facile e privilegiata." La domanda però che percorre il libro e gli dà vita è: Ma esiste un'emigrazione facile? Non è la domanda drammatica che si legge in "Una vecchia signora malvagia": Quelli che sono matti qui sarebbero stati matti anche là? (di Ravinder Randhawa, Giunti, 1990, pag. 155), ma è pur sempre il segno di una sofferenza. Quella che descrive la Fenoglio è una Germania minacciosa che l'aspetta al varco il giorno delle sue nozze, una lontana entità geografica che diventa determinante per la sua vita, ancora collegata ai tragici ricordi della guerra, una terra di clima rigido. E da subito, ancor prima di partire, si trova nella condizione di straniera, estranea alla quotidianeità provvisoria. Si imbarca in una vita fatta di viaggi, su e giù su e giù, in un eterno pendolarismo, su quei treni pieni di emigranti, italiani piccoli di statura e neri, che le sono estranei tanto quanto i tedeschi. Altri emigranti trova a Niederhausen, i profughi scappati dall'est davanti all'avanzata russa. Il primo drammatico impatto è con la lingua, che crea una barriera, che isola. E poi con la natura, i boschi, muri di alberi, prati, campi di patate. E l'inutilità di aver studiato per chiudersi nella solitudine del villaggio. In questa rarefazione di rapporti umani è immediato legarsi con gli italiani che si trovano: la moglie genovese di un colonnello tedesco diventa subito una grande amica, per un patto, non detto, di mutuo soccorso, per superare la solitudine. Sarà la lingua il passepartout per riuscire a penetrare questo mondo, per passare il confine che esclude, per entrare in una patria nuova senza continuare a rimpiangere quella che si è lasciata. Anno dopo anno, passando attraverso il rigetto della Germania, il suo tedesco si affina, tanto che la maestra del figlio, a cui esprime con passione e veemenza l'odio per il bosco nato dalla nostalgia per la sua cittadina natale, potrà lodare le sue capacità linguistiche. "Quella era la mia naturale via di accesso al mondo tedesco. La mia integrazione sarebbe passata attraverso i suoni, e la Germania mi sarebbe entrata nel sangue." La consola e la incoraggia l'insegnante, arrivata anche lei da lontano: "Per gestire senza scossoni una doppia identità ci vuole pazienza, a volte una vita...Ma lei, che parla così bene il tedesco, ce la farà...Una lingua può diventare una patria." È un concetto questo che ritorna sempre negli scrittori migranti. L'amore per la lingua e per la musica permette alla casalinga isolata, alla moglie del dirigente chiusa nel suo ruolo, di trovare una via d'uscita ed un'integrazione entrando a far parte di un coro. I legami con la Germania diventano sempre più forti man mano che i figli crescono e portano a casa amici ed amori tedeschi.C'è sempre però qualche situazione in cui la distinta, raffinata signora, tanto diversa dalle povere operaie italiane, capace di discutere in tedesco, viene ricondotta al suo status di straniera. Sempre al centro del discorso resta l'illusione di appartenere finalmente al mondo in cui si vive, il desiderio che scompaia il cartello Unbefugten Zutritt strengstens verboten, vietato l'ingresso ai non addetti ai lavori.
Autore della recensione:
Maria Rosa Mura
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