Dopo ampia discussione, si è stabilito che LE CONFESSIONI DI UN ITALIANO hanno bisogno di tutta l'estate per essere digerite, quindi, prossimamente leggeremo:
Questo blog accoglie la nuova avventura di quelli di Sguardi d’Altrove, e il Reverendo Dogdson, con i suoi dubbi sulla realtà, si aggiunge al nostro olimpo di numi tutelari. Non dimentichiamo gli autori che più spesso ci hanno accompagnati nel viaggio di Sguardi d’Altrove, anzi, da loro ripartiamo. Quindi, un pensiero affettuoso e ammirato, in particolare, ad Alan Bennet a alla sua Sovrana Lettrice, mantenendo ben fermo il principio che ragguagliare non è leggere.
Dopo ampia discussione, si è stabilito che LE CONFESSIONI DI UN ITALIANO hanno bisogno di tutta l'estate per essere digerite, quindi, prossimamente leggeremo:
Più di tutto, il secondo romanzo di Mariachiara Farina, Maree
(Robin edizioni, pp. 208, euro 14) dice della necessità di scrivere
storie, raccontarle, ricordare. Nella cornice storica del periodo
fascista, in una Sardegna composita, tra Cagliari e i paesi
dell’entroterra, l’autrice situa la storia di una famiglia e della
società del tempo.
Il punto di vista della narrazione è esterno e si posa fin da subito su
Zenia, la sorella minore, e sul mare a cui la ragazzina nel corso del
romanzo si rivolgerà più volte, come fosse una confidente: «mare, tu sei
femmina, vero? Ti parlano come fossi maschio, ma io so che sei femmina.
Come la Terra. Lo so perché tutte e due fate nascere le cose. E le
trasformate da dentro».
IN QUESTA SCENA che si svolge a Cagliari, dove Zenia vive almeno fino a un certo punto della sua vita, la bambina sta confessando al mare ciò che la affligge: le bugie che le sono state dette dai suoi e quelle che ha creato lei a partire dalle mezze verità di cui è al corrente. Ha infatti scoperto che Lucia, sua amatissima sorella, è la figlia di un’altra donna, la prima moglie del loro padre. Non ci vorrà molto perché Lucia riesca a farsi perdonare: quel segreto non nasceva da un proposito di mentire, ma dal dolore mai sanato per la morte della madre.
Nel romanzo, a dimostrarsi incapace di superare quel lutto non è tanto la ragazza, che anzi sfoggia una maturità notevole e un amore profondo nei confronti della nuova famiglia. È proprio l’uomo, il militare che ha combattuto la campagna in Africa, il padre, a costituire il punto debole della storia familiare raccontata da Farina. È una figura che assomma in sé l’autorevolezza e la maggiore fragilità possibile. L’autrice è brava però a non creare un personaggio stereotipato che oscilla tra rabbia e debolezza, più che altro quest’uomo è un’ombra, come lo sono i morti che ha visto in guerra e la moglie che non riesce a dimenticare.
LA SECONDA ANIMA del romanzo è di tipo
socio-politico: Lucia è una maestra elementare e quando la incontriamo
«anno 1929-1930» il suo incarico è in un paesino dell’entroterra sardo,
«comune di Seuras». I suoi alunni hanno grossi problemi di apprendimento
e attenzione perché sono sfiancati dal lavoro nei campi e poi
dall’obbligo scolastico. Farina non trasforma questa ragazza in una
maestra-santa, Lucia ha una vocazione per l’insegnamento ma ha anche
molti dubbi e soprattutto le difficoltà che si trova ad affrontare sono
troppo grandi. Nel paese in cui insegna, a causa di una mala gestione
politica dovuta all’ingerenza del regno sabaudo nel controllo del
territorio, non sono arrivati i vaccini per la tubercolosi.
A tenere insieme queste due direzioni narrative ci sono i racconti che
Lucia scrive per la sorella Zenia, per tenerle compagnia quando lei è in
paese e la bambina è a Cagliari, per raccontarle il suo passato, per
farle dei doni e poi per separarsene. Alla base di questo intreccio tra
la trama del romanzo e quella di queste favole c’è la fede che solo le
storie riescano a ricomporre ciò che viene spezzato dalle ingiustizie
del mondo.
[Laura arzi 6/04/2021]
«Indomite e affamate, in continua espansione». È l’istantanea che Lara Williams offre nella prima parte del suo romanzo d’esordio, Le divoratrici (Blackie edizioni, pp. 327, euro 18,90, traduzione di Dafne Calgaro e Marina Calvaresi). Fuor di metafora, è il cibo ciò di cui si racconta. Nella sua relazione inestricabile con il desiderio e con il bisogno, con se stesse e con gli altri. Le divoratrici è storia di donne in cui gli uomini sono sì presenti ma da comprimari di scadente livello accanto a imponenti personagge, cominciando da Roberta, la protagonista. Con altre ragazze, tra cui giganteggia Stevie, sorta di Erinni metropolitana da subito sua intima amica elettiva, decidono di fondare il Supper Club, un ritrovo separatista cui si accede dopo un breve colloquio su quali siano le paure della propria vita. È un posto di rivolta – in cui ciascuna trova finalmente la propria, per la prima volta potente.
LA NARRAZIONE si svolge in una città inglese non ben
specificata ma contemporanea, fatta di lavori estenuanti e inutili,
carriere che non decollano, assenze ed epifanie; ricorda, nella
restituzione dei ritratti e scrittura corale, lo sfondo in cui gravitano
le splendenti figure di Bernardine Evaristo in Ragazza, donna, altro. Antenate letterarie Roberta ne possiede però di altrettanto luminose, le stanno accanto Marian di La donna da mangiare firmato da Margaret Atwood, c’è il trauma dell’oralità riferito da Roxane Gay in Fame, infine sia pure di sguincio Marianne di Persone normali di Sally Rooney.
Ce ne sono poi due, ancora più indietro nel tempo, che sapevano della
mai neutra convergenza di desiderio e cibo: si chiamavano Alice Toklas e
Gertrude Stein e si amavano profondamente.
Notevole l’intreccio fino alla minutaglia sentimentale con cui Williams
gioca nell’arco degli anni, tra i 19 e i 30 di Roberta. L’ansia per il
mondo viene mediata dalla cucina, dapprima «atto di civiltà» per una
fame insaziabile che grida frustrazione, in seguito «una specie di atto
radicale» verso il piacere da apprendere e condividere insieme ad altre
donne, chiave di volta quest’ultima che spalanca tutte le porte,
compresa quella, talvolta dolorosa, dell’amore per gli uomini, fino a
quando si imparerà a trovarne qualcuno capace di dare parola al proprio
desiderio libero – perlomeno.
Durante il Supper Club si allena il proprio appetito, somiglia a un vecchio gruppo di autocoscienza femminista degli anni Settanta sia pure assai più festante, si mangia tantissimo, la cuoca è Roberta che sui fornelli mette tutta l’energia che non le è stata riconosciuta mai, allenta la vergogna, scalza la solitudine, congeda il suo autolesionismo adolescenziale e il tedio e l’inedia divengono pietanze commestibili, con attenta ricerca per recuperare alimenti spesso ancora sigillati di cui altri si disfano con sgarbo; tortini, creme, stufati, soufflé e ricette a non finire. Il segreto è nutrirsi imparando a distanziare la deiezione, nella esperienza di esclusiva che è preparare qualcosa da consumare possibilmente insieme ad altri e altre.
NEL SUPPER CLUB si chiacchiera, si balla, ci si spoglia, si beve tutta la notte e si assumono droghe, senza alcun obbligo. Il primo sguardo senza disgusto è stato per Roberta quello di Stevie, la ama e le è grata ma non glielo sa dire. Anche per questo è un libro politico, ci si allarga e sperimenta contro l’inappetenza angosciante che ci sovrasta. Una regalità di creature che si sono immaginate corpi senza forma per lunghissimi anni, è stata ordinata loro sobrietà secondo cui la misura – di grande guadagno per ogni essere umano – non la stabiliscono le dirette interessate ma un adeguamento al ribasso di ogni eccedenza femminile. Diventa dunque importante avere chiaro che la divoratrice è anche la divorata, in stretto legame con la sessualità. Fantasticare di essere assimilata, riempita per non essere abbandonata, risputata ed espulsa. Intellettuali, quasi tutti, possono fare banchetto di te, rammenta Williams.
E tu con quel compiacimento strisciante devi farci i conti. Ammetterlo, sentire da dove viene forse. Anche quando a un certo punto confidano che ti staccherebbero volentieri la testa per prendersene cura, perché avranno anche studiato ma preferiscono il monologo e alla scomposizione di un corpo di donna non intendono rinunciarci. Amati e compresi, questi uomini con cui si vorrebbe condividere la propria vulnerabilità sono spaventati dalla perdita. E non lo sanno dire. Lara Williams descrive con dovizia un copione comune: danno lezioni su tutto, cominciando dal come e quanto si dovrebbe sentire. Spesso è così che cova la violenza.
SONO PERÒ FASI UTILI per Roberta, e per molte sue simili prevalentemente eterosessuali – nel mondo e dalla notte dei tempi -, si intuisce infatti cosa significhi restringere la propria libertà, farsi piccole. Tanto vale allora desiderare ancora più spazio per sé, saper dire «non ho ancora finito», scegliere la cospirazione collettiva, magari un bel Supper Club in cui almeno si ride. Una volta tanto. E a un volume altissimo.
[Alessandra Pigliaru 6/04/2021]
Jeanette Winterson, FRANKISSSTEIN, 2019
Jeanette Winterson è un’autrice poco conosciuta in Italia, ma di primo piano in Gran Bretagna. Il suo primo romanzo ORANGES ARE NOT THE ONLY FRUIT –NON CI SONO SOLO LE ARANCE esce nell’85 e d è un successo clamoroso.
È un romanzo largamente autobiografico che affronta molti temi che si trovano anche nei lavori successivi: essenzialmente, l’insufficienza della visione binaria del mondo.
Uno dei temi sviluppati in FRANKISSSTEIN è, appunto, il modo in cui viene sviluppato il concetto di non-binario, ma con il valore aggiunto della rilettura del FRANKENSTEIN di Mary Shelley, testo ampiamente sottovalutato e sicuramente da riscoprire come base inesauribile per discussioni di bioetica, ingegneria genetica, limiti della scienza, filosofia…
Winterson sfrutta e aggiorna ogni aspetto del romanzo originale, con ironia, ma con grande rispetto e affetto, immergendo il suo FRANKISSSTEIN in una rete di riferimenti e citazioni, da Shakespeare al cinema contemporaneo, che radicano solidamente il romanzo sia nella tradizione che nel presente.
Di seguito una bibliografia e una guida parziali – e personali - alla lettura del romanzo:
Jeanette Winterson, ORANGES ARE NOT THE ONLY FRUIT (NON CI SONO SOLO LE ARANCE), 1985
WRITTEN IN THE BODY (SCRITTO SUL CORPO), 1992
Mary Shelley, FRANKENSTEIN, or the Modern Prometheus (FRANKENSTEIN, o il Prometeo moderno), 1818.
RIFERIMENTI E CITAZIONI:
Mary Wollstonecraft, A VINDICATION OF THE RIGHTS OF WOMAN (RIVENDICAZIONE DEI DIRITTI DELLA DONNA), 1792
Shakespeare, Sonnet 53
What is your substance, whereof are you made,
That millions of strange shadows on you tend?
Since every one hath, every one, one shade,
And you, but one, can every shadow lend.
Describe Adonis, and the counterfeit
Is poorly imitated after you;
On Helen’s cheek all art of beauty set,
And you in Grecian tires are painted new:
Speak of the spring and foison of the year;
The one doth shadow of your beauty show,
The other as your bounty doth appear;
And you in every blessed shape we know.
In all external grace you have some part,
But you like none, none you, for constant heart.
Qual
è la tua natura, di che mai sei fatto
per
essere scortato da tante ombre estranee?
Ognuno
riflette solo l’unica sua ombra
e
tu puoi, da solo, prestarti a tante ombre.
Si
descriva Adone ed il suo ritratto
misera
imitazione diventa di te stesso;
si
sommi al volto d’Elena ogni bellezza rara
ed
ancora appari tu dipinto in vesti greche;
si
parli di primavera e di copiose messi,
la
prima non è che l’ombra della tua bellezza,
le
altre sembran solo tuo generoso dono;
e
in ogni felice forma noi ti rivediamo.
Ogni
bellezza esterna ha di tuo qualcosa,
ma
per animo costante nessun con te s’accorda.
Percy Bysshe Shelley, The Mask of Anarchy
Ode to the West Wind
Adonais (I am chained to Time, and cannot depart)
Nothing of him....: sulla tomba di Shelley a Roma→ Shakespeare, La Tempesta
Emily Dickinson
The Brain—is wider than
the Sky—
For—put them side by side—
The one the other will contain
With ease—and You—beside—
The Brain is deeper than the sea—
For—hold them—Blue to Blue—
The one the other will absorb—
As Sponges—Buckets—do—
The Brain is just the weight of God—
For—Heft them—Pound for Pound—
And they will differ—if they do—
As Syllable from Sound—
La mente — è più
grande del cielo —
perché — se li metti fianco a fianco —
l’una contiene l’altro
facilmente — e te — anche —
La mente è più profonda del
mare —
perché — se li tieni —blu contro blu —
l’una assorbirà l’altro
come una spugna — un secchio —
La mente ha giusto il peso
di Dio —
perché — alzali — libbra su libbra —
ed essi differiranno — semmai —
come suono da sillaba —
FILM:
GOTHIC, Ken Russell, 1986 (la creazione)
ROCKY HORROR PICTURE SHOW, Jim Sharman, 1975 /Richard O’Brien, 1973 (Sweet Transvestite)
2001: A SPACE ODISSEY, Stanley Kubrick, 1969 (Hal 9000)
BLADE RUNNER, Ridley Scott, 1982 (replicanti)
E tutto il cinema di David Cronenberg, suggerisce Andrea....
FILOSOFIA:
Jean-Jacques Rousseau
Bioetica
Transumanesimo
LIBRI PER CONTINUARE A LEGGERE:
Altre riletture contemporanee di FRANKENSTEIN (decisamente di moda): https://www.bbc.com/culture/article/20210303-what-is-the-frankensteins-monster-of-the-21st-century
Paul Braddon, THE ACTUALITY, 2021
Ahmed Saadawi, FRANKENSTEIN IN BAGHDAD
Kazuo Ishiguro, NEVER LET ME GO, 2005
KLARA AND THE SUN, 2021
Ian McEwan, MACHINES LIKE ME, 2019
Trans/gender fluid:
Jeffrey Eugenides, MIDDLESEX, 2002 (un libro letto tempo fa dal nostro gruppo e molto amato)
ENJOY YOUR FRANKISSSTEIN!