Devo le seguenti suggestioni ai racconti della mia amica Sandra S. ospite squisita,
medico e viaggiatrice che quando torna dai suoi viaggi, quest’anno
il Benin, la costa degli schiavi, la patria del Vudù, e mi parla mi scuote dal torpore di seguace della
massima pascaliana che recita: “Tutta
l'infelicità degli uomini proviene da una cosa sola: dal non saper restare
tranquilli in una camera”.
Quest’anno i suoi racconti si sono concentrati su
due parole: Dogon e Peul.
Iniziamo dai Dogon? Chi o cosa sono?
I Dogon sono una popolazione discendente da una
delle grandi civiltà africane dell’Africa centrale. E sono da sempre avvolti da venerazione e mistero.
I Dogon occupano
la regione della falesia di Bandiagara a sud del fiume Niger nel Mali . Alcuni
gruppi sono stanziati nei territori attigui al Burkina Faso. Sono
prevalentemente coltivatori di miglio caffè e tabacco e hanno una particolare
abilità come fabbri e scultori. La lingua dogon presenta caratteristiche
particolari, con molte varianti e molti dialetti. Ogni membro di questa
popolazione ha quattro nomi: un nome proibito e segreto, un altro che è
"corrente", uno che si riferisce alla madre e uno è il nome della
classe di età. I villaggi Dogon sono costruiti seguendo le forme umane:
la testa è costituita dal togu-na, la casa della parola, una bassa tettoia dove
l'hogon e gli anziani si ritrovano per discutere le questioni importanti del
villaggio; il tronco e gli arti sono occupati dalle case di fango con i
relativi granai dal caratteristico tetto di paglia di forma conica.
Molto
particolare è l’architettura Dogon che si ritiene, per metempsicosi, abbia
influenzato il modernismo catalano di Gaudì.
Altrettanto importante è l’arte Dogon .
I Dogon realizzano statue solenni raffiguranti gli
antenati, talvolta rappresentate con le braccia alzate (come segno
d'invocazione della pioggia). Tra le statue più caratteristiche vi sono quelle
gemelle e a due teste, riferite al mito dei gemelli divini, oppure quelle
raffiguranti guerrieri a cavallo o donne con un bambino al braccio. Molto
diffuse e variegate sono le maschere, tra le quali spicca quella monumentale
che rappresenta il serpente iminama, che raggiunge anche i dieci metri di
altezza. Caratteristiche anche le "porte da granaio", arricchite da
rilievi collegati alla cosmogonia. I Dogon
praticano una religione animistica, e nonostante i contatti con l'Islam
nero e con altre religioni monoteistiche, essi mantengono un legame molto forte
con le loro tradizioni religiose. La religione dei Dogon presenta un unico Dio
creatore, Amma, che ha generato i suoi figli con la Terra, sua sposa: Yurugu.
Ma il primo essere vivente creato da Amma è il
Nommo, spirito antropomorfo, creato attraverso l'acqua fecondata dal suo seme.
Il Nommo si moltiplicò divenendo quattro coppie di gemelli. I Nommo sono
ermafroditi i primi quattro maschi e le
ultime quattro femmine, sono in possesso
anche dell'anima del sesso opposto. Uno
dei gemelli si ribellò contro l'ordine stabilito da Amma, destabilizzando così
il creato. Per purificare l'universo e ripristinare l'ordine ancestrale, Amma
sacrificò un Nommo maschio ancora nell'uovo, smembrandone il corpo e
sparpagliandolo per il cosmo.
I Nommo sono presenti in ogni forma d'acqua, nei
raggi del sole e sono responsabili per aver dato all'uomo la parola, la
tessitura e l'arte di forgiare i metalli.
Il nome in lingua Dogon può riferirsi sia ad un solo Nommo, sia al
Nommo primordiale, sia ad un gruppo di Nommo. Il nome Nommo deriva da una
parola che significa far bere; viene anche ricordato come Il Maestro
dell'Acqua, l'Ammonitore o il Distruttore.
I Nommo vengono descritti aventi la metà dal corpo
superiore umana e l'altra metà serpente, fatti d'acqua e privi di
articolazioni.
La religione Dogon si esprime in cerimonie e danze rituali, in cui le maschere
sono l’elemento più importante.
Una
volta ogni sessant'anni viene celebrato il Sigui, cerimonia itinerante di
villaggio in villaggio, che rappresenta la perdita dell'immortalità da parte
dell'uomo, attraverso la rievocazione della morte del primo antenato Dyongu
Seru, rappresentato dalla iminana una grande maschera che viene intagliata a
forma di serpente ed è alta circa 10 metri. Questa straordinaria maschera viene
poi conservata in una grotta segreta.
Ma la cosa più stupefacente dei Dogon, quella che
li ha resi così ricchi di interesse per gli antropologi occidentali è il loro sistema cosmogonico.
Infatti i Nommo, dopo essere stati dispersi da Amma
hanno recato i loro doni agli uomini
ritornando dallo spazio e più precisamente dalla stella Sirio.
Gli antropologi francesi Marcel Griaule e
Germaine Dieterlen, che per oltre un
trentennio, tra il 1931 e il 1956, hanno vissuto tra i Dogon hanno riferito che
essi sembravano possedere conoscenze astronomiche molto avanzate, sull'origine
delle quali si sono sviluppate numerose controversie. In particolare nel 1933
Griaule entrò in contatto con i Dogon partecipando alla famosa esplorazione
etnografica descritta nel suo libro “L'Afrique fantôme” da Michel Leiris
etnografo, scrittore, critico d’arte, amico e compagno prima di Breton e
successivamente di Bataille, Queneau, Perec, Calvino nonché membro
fondatore e Satrapo del Collegio di
patafisica.
Durante la suddetta spedizione Griaule trascorse un lungo periodo in compagnia dello
sciamano dogon Ogotemmêli, che è la
fonte primaria delle notizie relative alla cosmogonia dei Dogon. Stando a quanto riportato da Griaule, da
oltre 400 anni i Dogon sarebbero stati
al corrente del fatto che la stella Sirio (sigi tolo o "stella del
Sighi o Sigui) ha una stella compagna
(pō tolo o la "stella del fonio"), che orbita attorno ad essa,
effettivamente scoperta nel 1844 e nota come Sirio B. I Dogon sosterrebbero,
inoltre, l'esistenza di una terza stella compagna (ęmmę ya tolo o "stella
del sorgo). Secondo Griaule le simbologie, i miti, i rituali e i sacrifici dei
Dogon sono realtà interconnesse in un sistema coerente e autonomo di pensiero
che forma una vera e propria cosmologia. Tutto questo è descritto e argomentato
in uno dei libri di antropologia più letti: “Il dio d'Acqua” del 1948. La tesi di Griaule è che non solo un popolo africano può possedere una
cosmologia organizzata ma che questa cosmologia è il punto di partenza per capire la vita
sociale, economica, rituale e sessuale dei Dogon.
Il libro
suscitò un ampio dibattito Era lecito
ricostruire la cosmologia dei Dogon intervistando solo Ogotemmeli ? e chi era
Ogotemmeli? Un vecchio saggio che parla del suo modo di interpretare la vita
dogon oppure un portavoce degli anziani dogon? La cultura dogon era fondata
solo sul mito oppure era opportuno prendere in considerazione anche la storia?
Detto in altre parole: e se Ogotemmeli avesse invece preso un po' per il culo Griaule, stufo delle sue domande, secondo le tecniche di autodifesa dei popoli
colonizzati che sarebbero poi state mirabilmente descritte da Georges Perec nel suo romanzo
“La vita istruzioni per l’uso”.?
A complicare le cose nel 1976 lo scrittore Robert
K.G. Temple, nel suo libro “The Sirius Mystery”, riprendendo le osservazioni di
Griaule e Dieterlen, si spinse a sostenere che la cosmologia dogon era il frutto di un remoto contatto con una
civiltà extraterrestre, appunto i Nommo,
esseri anfibi intelligenti provenienti da un pianeta di Sirio C. E non caso i Dogon sono oggi delle star in
qualunque sito di ufologia.
Purtroppo le tesi di Griaule sono confutate da
tempo. In particolare nel 1991, l'antropologo olandese Walter van Beek, dopo un
lungo periodo di ricerche tra i Dogon, concludeva che essi non sembravano
possedere conoscenze astronomiche particolarmente approfondite né il sistema di
Sirio assumeva per la popolazione una particolare importanza.
Tali verifiche hanno fatto sorgere dubbi sul valore
dell'opera di Griaule, che da taluni viene oggi considerata una colossale
mistificazione; altri, più benevolmente, ritengono che Griaule possa avere
inconsapevolmente influenzato i suoi interlocutori o che, più semplicemente,
possa avere avuto accesso a conoscenze che nel frattempo siano andate perdute.
Al di là delle controversie sulla buonafede di
Griaule, resta la forte probabilità che la fonte delle eventuali conoscenze dei
Dogon su Sirio, piuttosto che in una misteriosa entità extraterrestre possa
essere ricercata nei frequenti contatti avuti dalla popolazione con
esploratori, viaggiatori, missionari e soldati occidentali. In particolare la
spiegazione "più probabile" è che i Dogon avessero attinto le informazioni
da un gruppo di astronomi che nel 1893 si era recato in Mali per assistere ad
un'eclissi di sole. Anche se non possiamo nasconderci che quest’ultima
spiegazione sarebbe veramente deprimente e deludente.
Anche perché Sirio è veramente una stella magica
che ha ispirato scrittori e poeti. Per restare solo alla letteratura italiana,
Sirio è citata da Pascoli nel poemetto “La mietitura” e soprattutto da il
titolo alla prima raccolta, datata 1929 di quello straordinario poeta che è
Attilio Bertolucci e da cui estraggo le due poesie che seguono. La prima perché
mi piace molto, la seconda perché ci inoltra verso nuove tappe del viaggio.
MATTINO
Dalla finestra aperta
Entran le
voci calme
Del fiume,
Del fiume,
I canti
lontani
Delle
lavandaie
Laggiù fra i
pioppi e gli ontani,
Presso la
pura corrente
Che mormora
sì dolcemente
Il fumo dei vapori
Il fumo dei vapori
Si confonde
con quello delle case
Sotto il
riso trionfale
Del cielo.
Sull’altra
riva, nel viale
Le affiches azzurre
Delle
compagnie di navigazione
Riempiono di
nostalgia e d’illusione
Il cuore
degli uomini
Seduti sulle
panchine.
Penso a una
fanciulla bionda.
Fra poco
sarà mezzogiorno
E una gran
tenerezza m’invade,
E una voglia
di piangere senza perché
STRUMENTI
Cornamusa,
flebile
rivo di
armonia
che
incrini il verde dei prati,
gracile
melodia.
Violino,
elegante
sospiro,
ricciuto
angelo
pellirossa che voli
in uno
smorto cielo di velluto.
Chitarra,
dai larghi fianchi,
colore del
vecchio oro,
bicchiere
tavola uomo,
strumento
dal riso sonoro.
Saxofono,
torbido grido
di un
mulatto vestito di cotone.
Banjo,
lunare nostalgia,
splendi
fra l’acque chiare,
ed una
mano mozza ti suona
In realtà forse la
soluzione del mistero era già stata
ipotizzata a St.Louis nel 1971 sulle
note di copertina di un disco dal
suggestivo titolo di “Dogon A.D.”
St. Louis situata come è alla confluenza
del fiume Missouri con il Mississippi e, quindi, fin dal '700, grande porto
commerciale per i battelli a vapore, nonché nodo di
passaggio dei flussi migratori degli ex schiavi, è,
insieme a New Orleans e a Chicago uno dei grandi centri di sviluppo del Jazz.
Oltretutto è terra di grandi trombettisti,
Miles Davis Lester Bowie tra gli altri,
per la forte presenza anche di immigrati tedeschi con la loro tradizione delle
bande militari di ottoni.
Ebbene a St. Louis nel 1968 venne fondato il Black artits group (BAG) una associazione
culturale di musicisti, poeti, pittori, ballerini, teatranti per affermare e
rivendicare, anche politicamente, la
specificità della cultura afroamericana nel grande melting pot statunitense.
Non vi è nè spazio, nè tempo per approfondire
questi discorsi. Basti ricordare per dare conto della diffusione del fenomeno
che in quegli anni, che sono gli anni della protesta contro la guerra in
Vietnam e delle lotte per i diritti
civili, vennero fondati a Chicago, nel 1965, l' Association for the Advancement
of Creative Musicians (AACM), tuttora esistente e operante (i suoi componenti
continuano a fare anche oggi il miglior jazz che si sente in America) e a Los
Angeles, dal 1963 The Union of God's Musicians and Artists Ascension (UGMAA).
Tutti questi gruppi avevano in comune, oltre alle
radici piantate musicalmente nella
tradizione del blues e dell'avanguardia del free jazz, il recupero, anche
ingenuo a tratti, delle radici africane, la riscoperta delle terre da cui
provenivano gli schiavi, soprattutto l'Africa occidentale, ma anche dei grandi
regni africani uno dei più importanti dei quali era il Mali.
E quando il musicista più dotato del BAG, oltre che uno dei fondatori, il
sassofonista, compositore (anche classico), arrangiatore Julius Hemphill incide
il suo primo disco, insieme al trombettista Baikida Carroll, lo dedicò ai Dogon la cui peculiare cultura è
portata ad esempio della grande tradizione culturale e spirituale africana. Ma
in termini fortemente rivendicativi tanto che sulla copertina del disco
campeggia una maschera dogon di guerra. E in cui il guerriero ha come
arma......
Nelle note di copertina, molto più laicamente di
quanto fatto dagli antropologi bianchi si ipotizza, poi, che la cosmogonia
dogon abbia le proprie radici non tanto
in misteriosi popoli venuti dallo spazio ma in antiche cosmogonie egizie nonché
in miti risalenti alla prima colonizzazione della valle del Nilo. E questo è
vero così come è vero che analoghe leggende su esseri anfibi sono presenti nella mitologia
assiro babilonese (e d'altra parte noi, all'inizio da dove se non
dall'acqua, veniamo fuori ? Io,
conoscendomi mi sarei, poi, fermato ad
albero, probabilmente).
Dogon, antichi regni egiziani, gli assiro
babilonesi ? Viene in mente qualcosaltro ? Vengono in mente due signori che hanno pubblicato due libri assai
importanti - e molto discussi - che spesso liquidati in modo sprezzante dal
mondo accademico hanno però avuto una grande risonanza nel mondo intellettuale
soprattutto afro americano ( ma se ne è parlato a lungo anche da noi alla loro
uscita).
Mi riferisco a "L'origine africana della
civilizzazione: mito o realtà" (1974) di
Cheikh Anta Diop e "Atena
nera" (1987) di Martin Bernal. I
due libri sono in qualche modo complementari. Diop, senegalese, una delle figure più eminenti della cultura
africana, storico, fisico, antropologo, docente dell'università di Dakar, nel
suo libro sostiene, portandone molte prove, che
gli antichi Egizi furono espressione di una cultura nera africana e che, quindi, vi è anche un forte rapporto di influenza da parte di una cultura
africana sulle culture del mediterraneo, quella greca in primis. D'altra parte
Diop non si spinge a dire che la cultura egiziana è tutta la cultura africana.
Anzi. L'Egitto "africano" ha
avuto una parte importante nell'influenzare quella che può essere definita la
culla della civiltà del sud, uno sviluppo indigeno insediato nella valle del
Nilo. E nonostante Diop affermi che i
Greci abbiano appreso molto dalla
civiltà egizia, non dice che la cultura
greca è un semplice derivato di quella egizia. Egli vede i Greci come parte
della culla della civilizzazione del nord, e la distingue in quanto influenzata
da condizioni climatiche e culturali ben diverse.
Complementari ma assai
più estremiste la tesi di Bernal, londinese, professore emerito di studi
asiatici alla Cornell University di New
York, che sostiene che la cultura greca
classica ha subito influssi determinanti e fondamentali da quella fenicia e
ancora più da quella dell'antico Egitto. La civiltà greca, nelle sue diverse
manifestazioni (lingua, tecniche, arte, filosofia) sarebbe l'erede del sapere
sviluppato sin dal III millennio a.C. in Mesopotamia ed Egitto; erede non in
senso lato ma concreto, in quanto le più importanti città della grecia arcaica
e classica (Micene, Cnosso, Tebe, Atene) sarebbero state colonie egizie e
fenicie, fatti che
Di più non dico, anche perché snaturerei la natura di questo scritto che è più che altro un suggerimento di viaggio. Approfondimenti in rete.
Una cosetta però la aggiungo. Da una breve corrispondenza con Sandra S. ho appreso che esistono moltissime similitudini tra il mito dell'"origine del mondo" pensato dai Dogon e pensato dai Greci. E che il mito greco lei lo ha appreso in uno dei libri di Piero Coppo. E che Piero Coppo è, oggi, in Italia probabilmente il più importante esponente dell' etno psichiatria. E che le sue ricerche sul campo le ha svolte prevalentemente in Mali. E che due dei suoi libri più noti si intitolano: "Guaritori di follia, Storie dell'altopiano Dogon" (1994) e "Negoziare con il male. Stregoneria e controstregoneria dogon" ( 2007).
Devo, però, dire a onor del vero che quanto detto forse non lo avrei mai scritto e mi sarei limitato solo a delle belle conversazioni in riva al mare se, poi, in quei giorni non fosse apparso su Internazionale un articolo intitolato: “La lingua segreta del Mali” tratto da New Scientist e che mi riportava a terreni a me più consoni, ovvero meno spirituali.
L’articolo infatti descrive una ricerca svolta dalla linguista americana Abbie Hantgan in una delle regioni più remote del Mali, a Bounou. Qui vivono i Bangande che, pur definendosi Dogon, parlano una lingua del tutto particolare chiamata Bangime. Come ho scritto all’inizio i Dogon parlano molti dialetti però tutti i dialetti hanno almeno un 50% di parole in comune. Il Bangime ha solo un 10% di parole Dogon.
La ricostruzione di tutto lo studio è affascinate e per i dettagli vi rimando all’articolo pubblicato sul numero 1058 del 4/10 luglio 2014 della rivista. Le conclusioni però sono strepitose. Bang si traduce infatti con “segreto” e conseguentemente Bangande si traduce con “quelli che si nascondono” e Bangime con “la lingua segreta”. Una lingua segreta dunque, e perché? La Hantgan ha scoperto dai racconti degli abitanti che i villaggi bangande erano il rifugio degli schiavi evasi dalle carovane arabe e berbere che rifornivano il commercio interno e quello transatlantico. Molti dei fuggitivi erano bambini che venivano rapiti e incappucciati e la necessità di nascondersi spiegherebbe la necessità di creare una lingua “segreta”.
Insomma i Bangande sarebbero una sorta di enclave di schiavi fuggiaschi cosa che mi ha fatto venire in mente un'altra enclave di origine analoga , assai più nota, quella della confraternita degli Gnawa che ha il suo centro culturale soprattutto nella città marocchina di Essaouira e che ha sviluppato nei secoli una cultura religiosa e musicale del tutto peculiare.
Ma prima di spostarci nelle terre dei Gnawa a nord ovest del Mali permettetemi, sull'onda delle suggestioni di Diop, di fare una breve deviazione a est, nel Sudan, nella terra dei Nuba, il cui nome dà il titolo ad uno dei più bei dischi degli anni '80.
Continua.........
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