In alcuni romanzi dello scrittore inglese David Almond (Newcastle
Upon Tyne, 1951) la bruma nordica si espande, diventando la
protagonista di paesaggi e solitudini; in altri, invece, al centro del
racconto c’è la sfida dei ragazzini con la morte, un conflitto che si
consuma tutto in gallerie buie, che molto ricordano quel sottosuolo dove
sparivano gli uomini, il «mondo rovesciato» che ha accompagnato
l’infanzia dell’autore, cresciuto in una cittadina del nord est,
nell’Inghilterra mineraria.
Almond, che nel 1998 regalò ai lettori di ogni età uno dei personaggi più affascinanti della letteratura degli ultimi anni – Skellig, un po’ angelo e un po’ demone, creatura indecifrabile e bisognosa di cure – arriva in Italia sull’onda del suo ultimo libro, Mio papà sa volare! (Salani, illustrazioni di Polly Dunbar, traduzione di Alessandro Peroni, pp. 128, euro 14,90). Se in un romanzo come Il grande gioco ha narrato il tunnel nero dell’adolescenza, qui l’aria è azzurra, ha i colori del cielo e delle nuvole, tutto è improntato a una certa leggerezza, nonostante la malinconia del tema: ungenitore andato fuori di testa e depresso, che cerca di dimenticare la moglie morta inventandosi ali assurde per volare, e una figlia-bambina che lo accudisce, incerta se assecondare le sue fantasie o riportarlo con i piedi per terra. Dopo l’incontro di ieri alla fiera dell’editoria milanese Tempo di libri, David Almond torna fra il pubblico oggi, in dialogo con Pierdomenico Baccalario (ore 11,30, Sala Tahoma).
In «Mio papà sa volare!», come accadeva in «Skellig», l’essere umano cerca l’ibridazione con altre creature fantastiche – in questo caso per cancellare lo sconforto di una vita difficile. La capacità di librarsi nell’aria è forse una via di fuga dall’esistenza ordinaria?
Naturalmente, siamo in molti a sognare di volare. E fin dalla notte dei tempi, racconti e immagini ci hanno mostrato creature umane alate. Esistono inoltre numerose poesie e canzoni che parlano dei gorgheggi degli uccelli o delle loro traiettorie di volo. Il desiderio di volare sembra essere qualcosa che ci appartiene, davvero fondamentale. Forse esprime la smania di libertà. È un anelito spirituale e fisico insieme. Si tratta di una metafora per la nostra immaginazione, che ci permette di sperimentare cosa significhi essere pienamente umani.
Il suo libro condivide lo stesso senso dell’umorismo e del
ritmo che troviamo in diverse storie di Roald Dahl: è un autore che ha
apprezzato?
Sì, ho sempre pensato che Dahl sia uno scrittore incantevole: è divertente, eccentrico e anche piuttosto dark.
«Skellig» è stato il suo primo romanzo per lettori giovanissimi. Come mai ha scelto questo settore della letteratura?
La storia di Skellig è arrivata d’improvviso, un giorno, mentre camminavo lungo una strada. Avevo appena finito di scrivere una raccolta di racconti (il libro sarebbe poi stato pubblicato con il titolo Counting Stars, in italiano Contare le stelle, Mondadori, ndr), mi sentivo leggero e libero. Non avevo intenzione di cominciare nient’altro, ma d’un tratto lì c’era la storia di un ragazzo che va in un garage e scopre qualcosa di sconosciuto e strano. Non sapevo cosa sarebbe accaduto né in cosa si fosse imbattuto quell’adolescente, ma appena ho iniziato a scrivere, ho sentito che era il racconto migliore che avessi mai prodotto fino a quel momento. Certo, nasceva da tutto ciò che avevo fatto prima, ma ero anche consapevole, con mio grande stupore, che stavolta ero alle prese con un libro rivolto soprattutto a un pubblico di giovani. Ho impiegato sette mesi per terminarlo. Era scaturito dalla mia vita, dalla mia infanzia, dalla casa in cui vivevo, a volte la storia sembrava quasi procedere da sola. Ignoravo come sarebbe andata a finire.
Che cosa hanno amato di più in «Skellig» i suoi lettori? Si sono forse identificati nella solitudine straniata del personaggio che così bene rappresenta incubi e sogni dell’«età di passaggio»?
In genere, amano l’idea di entrare in un luogo pericoloso, segreto e trovare qualcosa di sorprendente. Si riconoscono nel libro, sono coinvolti in un’esperienza che condividono con Michael, Mina e Skellig. Sembra quasi che traggano ispirazione dal romanzo, che li aiuti a pensare e a sentire profondamente. Gli adulti mi scrivono raccontandomi episodi molto personali delle loro esperienze come genitori. E i bambini desiderano esprimere l’entusiasmo provato durante la lettura del libro.
Cosa leggeva invece lei da bambino e poi in gioventù? Quali sono stati i personaggi letterari e cinematografici preferiti?
Ho amato i miti e le leggende, soprattutto il ciclo di re Artù. Andavo pazzo per la fantascienza di John Wyndham. Da ragazzo, poi, ho scoperto Hemingway e ho avuto la sensazione che i suoi romanzi mi avrebbero spinto a diventare uno scrittore. Ho letto un sacco di storie su fantasmi e poltergeist e anche sugli astri.
Come riesce a tenere incollata alle sue storie la generazione dei nativi digitali?
Sono un ottimista. Mi capita di incontrare, in tutto il mondo, bambini che adorano i libri e la lettura, che sono affascinati dal processo di scrittura: spesso, scrivono loro stessi racconti, poesie e canzoni. Ovviamente, utilizzano i media digitali (lo facciamo tutti, in fondo!), ma il volume stampato non scomparirà mai. Come autori, dobbiamo continuare a scrivere le nostre storie nel modo migliore che ci è proprio. Lavoriamo per chi costruirà il futuro.
In tutti i suoi romanzi con grande semplicità, lei mescola realtà e finzione, scenari fantastici e mondi reali…
I giovani possono contare su un’immaginazione aperta, flessibile. Sono in grado di godere di qualsiasi storia nell’emozionante caleidoscopio di forme in cui si dipana. Nel mio mestiere, sembra che io mixi realtà e vicende appartenenti al «fantastico», ma non è una decisione che prendo a tavolino. Scrivo in quel modo perché voglio esprimere cosa vedo e sperimentare lo stupore del mondo.
Può descriverci la sua tipica giornata di lavoro?
Uso quaderni per i miei schizzi, matite, penne, matite colorate, sperimento e gioco con le parole, le idee, le immagini. Quando la storia comincia a prendere vita, inizio a comporre frasi, paragrafi, pagine, capitoli sul mio computer. Viaggio molto, ma al centro c’è sempre una routine di scrittura. Quando sono a casa, continuo a farlo con orari regolari: parto di mattina e finisco nel tardo pomeriggio. Quando sto componendo le varie parti di un romanzo, provo a scrivere 1000 parole al giorno, e registro quello che faccio. Continuo poi a disegnare e a scarabocchiare nel mio taccuino per non perdere le idee che via via zampillano.
Cosa sta accadendo nella scuola oggi?
Abbiamo diversi insegnanti meravigliosi, scuole meravigliose e, naturalmente, meravigliosi bambini creativi. I pericoli per l’educazione provengono da quei politici che immaginano le scuole come fossero fabbriche per gli esami e classificano i bambini come unità economiche. La resistenza è una pratica sempre necessaria.
[Arianna Di Genova 20/04/2017]
Almond, che nel 1998 regalò ai lettori di ogni età uno dei personaggi più affascinanti della letteratura degli ultimi anni – Skellig, un po’ angelo e un po’ demone, creatura indecifrabile e bisognosa di cure – arriva in Italia sull’onda del suo ultimo libro, Mio papà sa volare! (Salani, illustrazioni di Polly Dunbar, traduzione di Alessandro Peroni, pp. 128, euro 14,90). Se in un romanzo come Il grande gioco ha narrato il tunnel nero dell’adolescenza, qui l’aria è azzurra, ha i colori del cielo e delle nuvole, tutto è improntato a una certa leggerezza, nonostante la malinconia del tema: ungenitore andato fuori di testa e depresso, che cerca di dimenticare la moglie morta inventandosi ali assurde per volare, e una figlia-bambina che lo accudisce, incerta se assecondare le sue fantasie o riportarlo con i piedi per terra. Dopo l’incontro di ieri alla fiera dell’editoria milanese Tempo di libri, David Almond torna fra il pubblico oggi, in dialogo con Pierdomenico Baccalario (ore 11,30, Sala Tahoma).
In «Mio papà sa volare!», come accadeva in «Skellig», l’essere umano cerca l’ibridazione con altre creature fantastiche – in questo caso per cancellare lo sconforto di una vita difficile. La capacità di librarsi nell’aria è forse una via di fuga dall’esistenza ordinaria?
Naturalmente, siamo in molti a sognare di volare. E fin dalla notte dei tempi, racconti e immagini ci hanno mostrato creature umane alate. Esistono inoltre numerose poesie e canzoni che parlano dei gorgheggi degli uccelli o delle loro traiettorie di volo. Il desiderio di volare sembra essere qualcosa che ci appartiene, davvero fondamentale. Forse esprime la smania di libertà. È un anelito spirituale e fisico insieme. Si tratta di una metafora per la nostra immaginazione, che ci permette di sperimentare cosa significhi essere pienamente umani.
Sì, ho sempre pensato che Dahl sia uno scrittore incantevole: è divertente, eccentrico e anche piuttosto dark.
«Skellig» è stato il suo primo romanzo per lettori giovanissimi. Come mai ha scelto questo settore della letteratura?
La storia di Skellig è arrivata d’improvviso, un giorno, mentre camminavo lungo una strada. Avevo appena finito di scrivere una raccolta di racconti (il libro sarebbe poi stato pubblicato con il titolo Counting Stars, in italiano Contare le stelle, Mondadori, ndr), mi sentivo leggero e libero. Non avevo intenzione di cominciare nient’altro, ma d’un tratto lì c’era la storia di un ragazzo che va in un garage e scopre qualcosa di sconosciuto e strano. Non sapevo cosa sarebbe accaduto né in cosa si fosse imbattuto quell’adolescente, ma appena ho iniziato a scrivere, ho sentito che era il racconto migliore che avessi mai prodotto fino a quel momento. Certo, nasceva da tutto ciò che avevo fatto prima, ma ero anche consapevole, con mio grande stupore, che stavolta ero alle prese con un libro rivolto soprattutto a un pubblico di giovani. Ho impiegato sette mesi per terminarlo. Era scaturito dalla mia vita, dalla mia infanzia, dalla casa in cui vivevo, a volte la storia sembrava quasi procedere da sola. Ignoravo come sarebbe andata a finire.
Che cosa hanno amato di più in «Skellig» i suoi lettori? Si sono forse identificati nella solitudine straniata del personaggio che così bene rappresenta incubi e sogni dell’«età di passaggio»?
In genere, amano l’idea di entrare in un luogo pericoloso, segreto e trovare qualcosa di sorprendente. Si riconoscono nel libro, sono coinvolti in un’esperienza che condividono con Michael, Mina e Skellig. Sembra quasi che traggano ispirazione dal romanzo, che li aiuti a pensare e a sentire profondamente. Gli adulti mi scrivono raccontandomi episodi molto personali delle loro esperienze come genitori. E i bambini desiderano esprimere l’entusiasmo provato durante la lettura del libro.
Cosa leggeva invece lei da bambino e poi in gioventù? Quali sono stati i personaggi letterari e cinematografici preferiti?
Ho amato i miti e le leggende, soprattutto il ciclo di re Artù. Andavo pazzo per la fantascienza di John Wyndham. Da ragazzo, poi, ho scoperto Hemingway e ho avuto la sensazione che i suoi romanzi mi avrebbero spinto a diventare uno scrittore. Ho letto un sacco di storie su fantasmi e poltergeist e anche sugli astri.
Come riesce a tenere incollata alle sue storie la generazione dei nativi digitali?
Sono un ottimista. Mi capita di incontrare, in tutto il mondo, bambini che adorano i libri e la lettura, che sono affascinati dal processo di scrittura: spesso, scrivono loro stessi racconti, poesie e canzoni. Ovviamente, utilizzano i media digitali (lo facciamo tutti, in fondo!), ma il volume stampato non scomparirà mai. Come autori, dobbiamo continuare a scrivere le nostre storie nel modo migliore che ci è proprio. Lavoriamo per chi costruirà il futuro.
In tutti i suoi romanzi con grande semplicità, lei mescola realtà e finzione, scenari fantastici e mondi reali…
I giovani possono contare su un’immaginazione aperta, flessibile. Sono in grado di godere di qualsiasi storia nell’emozionante caleidoscopio di forme in cui si dipana. Nel mio mestiere, sembra che io mixi realtà e vicende appartenenti al «fantastico», ma non è una decisione che prendo a tavolino. Scrivo in quel modo perché voglio esprimere cosa vedo e sperimentare lo stupore del mondo.
Può descriverci la sua tipica giornata di lavoro?
Uso quaderni per i miei schizzi, matite, penne, matite colorate, sperimento e gioco con le parole, le idee, le immagini. Quando la storia comincia a prendere vita, inizio a comporre frasi, paragrafi, pagine, capitoli sul mio computer. Viaggio molto, ma al centro c’è sempre una routine di scrittura. Quando sono a casa, continuo a farlo con orari regolari: parto di mattina e finisco nel tardo pomeriggio. Quando sto componendo le varie parti di un romanzo, provo a scrivere 1000 parole al giorno, e registro quello che faccio. Continuo poi a disegnare e a scarabocchiare nel mio taccuino per non perdere le idee che via via zampillano.
Cosa sta accadendo nella scuola oggi?
Abbiamo diversi insegnanti meravigliosi, scuole meravigliose e, naturalmente, meravigliosi bambini creativi. I pericoli per l’educazione provengono da quei politici che immaginano le scuole come fossero fabbriche per gli esami e classificano i bambini come unità economiche. La resistenza è una pratica sempre necessaria.
[Arianna Di Genova 20/04/2017]
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