“Non
sono povero, ma poveri sono quelli che hanno bisogno di molto per vivere,
quelli sono i veri poveri. La mia idea di vita è la sobrietà. Concetto ben
diverso da austerità, termine che avete prostituito in Europa, tagliando tutto
e lasciando la gente senza lavoro. Io consumo il necessario ma non accetto lo
spreco. Perché quando compro qualcosa non la compro con i soldi, ma con il tempo della mia vita che è
servito per guadagnarli. E il tempo della vita è un bene nei confronti del
quale bisogna essere avari. Bisogna conservarlo per le cose che ci piacciono e
ci motivano. Questo tempo per se stessi io lo chiamo libertà. E se vuoi essere libero devi essere sobrio nei consumi.
L’alternativa è farti schiavizzare dal lavoro per permetterti consumi cospicui,
che però ti tolgono il tempo per vivere.” (José Alberto “Pepe” Mujica Cordano,
presidente dell’Uruguay).
La
lettura di questo estratto da uno dei discorsi di Mujica ha aperto la mia
settimana che, poi, si è rivelata abbastanza ricca di coincidenze e di stimoli
ulteriori che mi hanno fatto pensare che, se anche un po’ in anticipo, tutti assieme potevano essere il
mio modo per celebrare 25 aprile e 1 maggio in modo un po’ diverso dal solito.
In
effetti al di là dell'evidente e, per me, del tutto condivisibile valore politico delle considerazioni di Pepe che
centra i nodi veri della crisi economica
attuale e allude ai veri responsabili, la considerazione sul concetto di tempo
ha una portata se non filosofica, certamente esistenziale, assai più ampia. Discorsi
ben radicati nelle nostre radici culturali che rimandano agli antichi, a Seneca
( la frase che apre il paragrafo è una
sua perifrasi), agli stoici, a Epicuro, a un certo Buddismo magari un
po’ occidentalizzato. Ma anche al Marx della teoria del plus valore ( che è, di
fatto, tempo rubato e cristallizzato nelle merci) e, si parva licet , alle teorie del Movimento bolognese del (19)77 sul
“rifiuto del lavoro” come ricerca e rivendicazione di “tempo liberato”. A dire il vero il
Movimento allora aveva qualche
contraddizione rispetto al Pepe anticonsumista che si incarnava nella pratica (
io mai !) dell’esproprio proletario e quasi mai di pane e formaggio. Ma bisogna
capire i tempi. Diciamo che era una declinazione del concetto de “il pane e le
rose” e,poi, erano troppo giovani per avere capito che eleganza e stile non
sono mai sinonimi di lusso anzi, quasi sempre ne sono antinomi.
Tutti
rimandi che, però e appunto, mi hanno posto di fronte al mio personale rapporto
con il tempo e che, come prima e forse scontata considerazione, mi hanno fatto
riflettere sul fatto che le due forme artistiche che prediligo ( e che per
seguire le quali mi costringo a rubare
tempo ad altro, ad esempio al sonno) sono la musica e il cinema ovvero proprio
quelle che più delle altre si basano sul tempo e sulla sua
contrazione/dilatazione (sia oggettiva
che, soprattutto, soggettiva). E, un po’ più banalmente, sullo choc che fu per me il concetto di libera
uscita quand’ero militare.
Mentre
mi trastullavo su queste considerazioni
ho trovato l’articoletto che
segue, pubblicato su “La Stampa” e, lo stesso giorno, mi hanno chiesto di presentare il film di Truffaut “Jules e Jim”.
Una stimolante coincidenza.
“La
nuova sfida di Pepe l’asceta, è quella di insegnare ai giovani a consumare
correttamente la marijuana per diminuirne gli effetti e limitarne i danni.
Evitare, ad esempio, di fumarla per non danneggiare i polmoni ma inalarla o
consumarla con cibi - da qui la nascita di ricettari in cui la marijuana
diventa base per tisane, torte, ripieno per empanadas, panacea per
ingagliardire salse, per macerare pesci e carni destinate ad essere asade,
manosanta per zuppe, per rendere più stuzzicante la mayonese per il sandwich
olimpico e per l’agnello e la carne di nandú.
E’ da più di un anno e mezzo che Pepe
cerca di convincere il suo paese a legalizzare la marijuana e a delegare
allo Stato il monopolio per poter produrla e venderla, così da infliggere un
colpo letale al narcotraffico e allontanare definitivamente i giovani dal
mercato nero, dove, oltre alla marijuana, si vendono droghe pesanti e le
micidiali droghe sintetiche”.
Perfettamente d’accordo anche su questo.
E,
però, ho pensato, ma perché legalizzare solo la marijuana? E l’hashish, perché
nessuno parla mai dell’hashish? Magari dell’hashish consumato a Marsiglia. E
che cosa c’entra Marsiglia? E perché Marsiglia mi sembrava collegata a Jules e
Jim che è ambientato a Parigi e a Monaco?
A quel punto mi sono ricordato
che avevo letto, da poco, un piccolo reportage del grande pensatore
ebreo- tedesco Walter Benjamin intitolato “Hashish a Marsiglia” contenuto nella raccolta
“Immagini di città” e che , tra le tante cose che aveva fatto e detto Benjamin, una delle più
importanti era quella di riproporre il concetto di flâneur e di flâneurie ovvero l’arte di “andare a
passeggio”. Concetto teorizzato per primo da Charles Baudelaire per cui il flâneur è colui che cammina senza meta per le strade della
città, fermandosi ogni tanto a guardare con un
percorso che non coincide con il resto della moltitudine. Quello che per
il passante è un cammino predeterminato - il percorso del mercato, lo
definisce Benjamin - per il flâneur è un labirinto che cambia forma ad ogni
passo: si lascia guidare dal colore di una facciata, l'inquietante uniformità
di alcune finestre, lo sguardo di una mulatta. I Surrealisti lo
chiameranno,poi, deambulazione. E
negli anni '50 il Situazionismo riprenderà
il concetto e la pratica chiamandola deriva
psicogeografica.
Qui
mi fermo, perché il discorso diventerebbe assai lungo, ma ricordo che, se il
concetto originario è figlio dello choc della metropoli capitalistica, uno dei
testi simbolo della flâneurie resta “La passeggiata” dello scrittore svizzero Robert
Walser che non passeggia nella metropoli ma in una cittadina svizzera tra
parchi e campagna e, però, altrettanto vive di associazioni mentali. E che,
insomma, l’arte del passeggiare è soprattutto l’arte del riprendersi il tempo.
E
Jules e Jim che c’entrano? C’entrano
perché in fondo il film è una grande messa in scena del vagabondaggio
intellettuale, sentimentale, sessuale, artistico. E perché il film, che anche
alla visione di giovedì scorso, mi si è manifestato come “il testo” che tutti
dovrebbero conoscere per capire come un film deve essere girato, ha nel giocare
sul tempo, direi scontatamente, uno
dei suoi grandi punti di forza e di suggestione.
Jules
e Jim ha accompagnato molte stagioni della mia vita e, ogni volta, ci trovo
qualcosa di nuovo. L’altra sera ad esempio quello che mi ha colpito di più è
stata la riflessione sul “tempo storico” con le due fondamentali fratture della
I guerra mondiale e del preannuncio della II. E certe inquadrature “tedesche”
mi hanno rivelato i modo assai più netto il debito profondo che ha la saga di
“Heimat” di Edgar Reitz nei suoi confronti.
“Heimat”,
è un film di 64 ore , diviso in 3 cicli, più una coda di 4 ore ambientata
nell’800, che racconta la storia della Germania dal 1918 agli anni ’90, con il
lungo ciclo centrale che parla “solo” del decennio 1960 -1970 e in cui il
concetto di tempo legato al cinema, alla musica e anche al romanzo
è dissezionato in tutti i suoi aspetti. E da qui, altro passetto, mi sono,poi
venuti in mente tutti i film amati che
della evidente dilatazione – contrazione
temporale hanno fatto la loro principale ragion d’essere “Quarto potere”
di Welles ( il capostipite), “Andrej Rublëv” di Tarkovskij, “Ludwig” di
Visconti, “Lola Montes” di Ophuls, “C’era una volta in America” di Leone e ho
pensato che curiosamente sono tutti film ( compreso Heimat e compreso Leone)
biografici. Così come biografico è Jules e Jim. Perché Jim, l’autore del
romanzo da cui è tratto il film, si chiamava Henry Pierre Rochè, Jules Franz
Hessel e Catherine Helen Grund e nessuno ha fatto la fine narrata nel film ( e
nel romanzo che è ricavato dai diari di Jim
e Catherine e vi è in fondo per molti aspetti abbastanza fedele).
Se
il personaggio più straordinario dei tre è Helen ( morta a 90 anni dopo aver
visto il film ed essersi complimentata con Truffaut) quello per me, in questo
contesto, più intrigante è Franz Hessel, ebreo tedesco, raffinato critico
d’arte, grande amico di Walter Benjamin con cui tradusse in tedesco “Alla ricerca del tempo perduto”. Scrittore, poeta, autore di molti libri, uno dei
quali è intitolato “L’arte di andare a passeggio”. Ebreo, tedesco, la cosa apre inevitabilmente un’altra finestra. Hessel rifugiato in
Francia, dopo “La notte dei cristalli”, internato tra il 1939 e il 1940 in
campo di concentramento morì nel 1941 tra le braccia di Helen a seguito dei
maltrattamenti subiti. (per inciso il loro figlio maschio, Stéphane Hessel,
partecipò alla Resistenza con la madre e dopo la guerra ebbe importanti
incarichi diplomatici sino ad essere ambasciatore all’ONU. Divenne famoso anche
in Italia nel 2003 per la pubblicazione di un pamphlet intitolato “Indignatevi”).
Walter
Benjamin era morto nel 1940, suicida, al
confine tra Francia e Spagna respinto dai Franchisti e braccato dalla Gestapo.
Benjamin
ed Hessel che erano stati marxisti negli
anni’20, si erano avvicinati successivamente, forse anche per reazione al
nazismo, o forse per quel tanto di messianismo che è ben presente nell’opera di
Marx, allo studio della mistica ebraica ( in particolare Benjamin), alla studio
della Kabbalah.- in ebraico Qabbaláh (קַבָּלָה) - che è l'atto di ricevere la tradizione
e rappresenta il livello più elevato e
profondo della mistica e si manifesta nel metodo d'interpretazione esegetica
ebraica della Torah definito in ebraico
Sod, segreto.
Anche
questo concetto è piuttosto suggestivo e
mi ha portato a qualche ulteriore “viaggio”. Un’altra piccola
flâneurie che partendo da Rovigo ci
porta a New York.
Il
25 marzo a Rovigo, misteri di questa città, nell’ambito del Festival del jazz,
ha suonato, tra l’altro in modo memorabile, uno dei più importanti trombettisti
americani, Ralph Alessi. Alessi che non penso sia parente delle pentole ma
sicuramente è un paisano ,oltre che
leader in proprio ha collaborato, soprattutto, con due dei più importanti
cenacoli musicali newyorkesi. Uno “bianco” , quello che fa riferimento alla
c.d. radical new jewish culture, su
cui ritornerò, e uno ( e la cosa è abbastanza inusuale) “nero”, la Mystic
Rhythm Society che fa capo al sassofonista Steve Coleman. La storia e
l’importanza di Coleman sarebbero troppo lunghe da raccontare, quello che è sufficiente sapere è
che Coleman partendo dal suono della
batteria, sia jazz che funky, e del tamburo sacro afro caraibico ( e incorporando
via via il gamelan thailandese, i
tamburi marocchini, la tradizione ritmica giapponese, le tabla e il tampura
indiani ecc. ecc.) ha girato mezzo mondo
da Cuba, al Senegal, a Bahia, alla ricerca della radice del ritmo - ciò che da
il tempo alla musica- perché per
Coleman tutto comincia ( e finisce) con il ritmo: il battito del cuore, i primi
passi del bambino, il tempo, la
vita. E a conclusione di questo suo viaggio, della sua ricerca, in particolare
in un CD intitolato “Lucidarium”, in cui suona anche Alessi, ha deciso di
utilizzare alla base del suo sistema
compositivo la simbologia numerica della cabala incidendo tra gli altri un
brano intitolato proprio Kabbalah .
Se
complicata da raccontare è la vicenda musicale di Steve Coleman, ancor di più
lo è quella di John Zorn. Anche qui basti sapere che Zorn, anche lui sassofonista,
ma soprattutto compositore che spazia dalla classica contemporanea, al jazz,
dal rock più trash a quello più sperimentale, all’elettronica- tanto che la sua
musica viene complessivamente definita American
new music - nel 1992, a Monaco (
quella di Jules e Jim e di Heimat 2 ma anche dei rigurgiti antisemiti), insieme
al chitarrista Marc Ribot, ha lanciato, appunto, il manifesto della Radical
new jewish culture. E per documentarla ha fondato una casa discografica la
Tzadik (in ebraico צדיק, il giusto) la cui grafica, rigorosamente basata sulla
tradizione ornamentale ebraica, è opera della
percussionista e designer giapponese Ikue Mori.
Scopo
della Tzadik è principalmente documentare tutto quanto di attuale si fa in
musica a partire dalla tradizione musicale ebraica sia quella dell’Est Europa ,
il Klezmer, che quella di origine sefardita ( ovvero spagnola e medio
orientale). Con gruppi che si chiamano Masada o Bar Kochba (in ebraico: שמעון בר כוכבא il nome dell’ultimo grande condottiero
antiromano). Ma naturalmente il tutto declinato secondo i multiformi e già
elencati modi della musica che fa Zorn.
E,
ai fini dei nostri ragionamenti, vi voglio segnalare una recente pubblicazione
dell’etichetta intitolata “Bella ciao”, incisa da un gruppo che si chiama
Barbez e che viene direttamente da Brooklyn. Il leader
del gruppo, che fa una musica orientata al rock e all’elettronica, si chiama
Dan Kaufman ed è sia chitarrista che musicologo. Leggendo le note di copertina
si scopre che la distruzione della comunità ebraica di Roma nel 1943 da parte
dei nazi fascisti è stata ( anche) una terribile mutilazione culturale. La
comunità di Roma, infatti, era la più antica fuori dalla Palestina e proponeva
una musica che potremmo definire autonoma ( come del tutto peculiare era la
loro cultura). Una comunità popolare e una musica dal forte sapore folk.
Kaufman ha vissuto mesi nel ghetto di Roma recuperando, il più possibile,
quanto ancora vi è del ricordo di quei suoni, di quelle melodie. Il disco è
assai commovente e come valore aggiunto musica anche una poesia di Pier Paolo
Pasolini e una di Alfonso Gatto intitolate ( lo scrivo in inglese) The
Resistance and its Light e Anniversary.
L’album contiene,poi, una versione stupefacente di Bella Ciao cantata,
in italiano, da una straordinaria signorina di nome Dawn McCarthy.
Questo
lungo ( forse troppo) viaggio nel tempo
si sta concludendo ma vorrei segnalarvi un’ultima scoperta che ho fatto
cercando un po’ in rete ( wikipedia, lo
ammetto) notizie sulla tradizione cabalistica.
Ebbene,
vi ricordate Ikue mori? Ho scoperto che l'anime ( cartoon giapponese) televisivo Neon Genesis Evangelion (新世紀エヴァンゲリオン Shin seiki
Evangerion, lett. «Il vangelo del nuovo secolo») sceneggiato e diretto da
Hideaki Anno e ambientato a Neo-Tokyo 3
a distanza di quindici anni da una catastrofe planetaria, oltre ad essere il cartone di maggior successo critico degli anni novanta
e uno dei più acclamati di tutti i tempi,
è caratterizzato sia da una profonda introspezione psicologica dei
protagonisti, in particolare sul tema della solitudine, che dalla presenza di numerosi riferimenti
religiosi, specie cabalistici, ebraici, e biblici.
Ora
ve bene che i giapponesi, secondo la vulgata, copiano tutto, ma … gli ebrei?
Almeno
un forte legame purtroppo c’è perché Ebrei e Giapponesi condividono il destino di
essere stati le vittime dei due più grandi esperimenti di razionalità tecnica
mai tentati – la Shoa e l’olocausto atomico, il sogno proibito del capitalismo
si diceva un tempo - e Auschwitz e
Hiroshima sono i luoghi dove il tempo
è stato annichilito.
A
questo punto per non chiudere in modo così drammatico sarei tentato di
riprendere il vagabondaggio ricordandovi/ci uno straordinario cineasta
scomparso novantenne da pochissimi mesi, Alain Resnais, forse il regista che ha
più riflettuto in modo diretto sul tempo nel cinema con due film straordinari
che si chiamano “Notte e nebbia” ( primo e insuperato documentario sull’Olocausto)
e “Hiroshima mon amour” che per certi aspetti contiene molti dei discorsi che (im)modestamente ho
cercato di fare. Ma, ahimè, non ce ne è il tempo
e qui saluto.
Andrea
Tincani
Poiché
non dimentico che siam pur sempre un gruppo di lettura vi trascrivo di seguito
una piccola bibliografia dei testi che, citati e no, sono un po’ alla base
delle mie considerazioni. E molti sono per me più delle suggestioni, non avendoli
ancora letti, in particolare quelli di Sebald.
Bibliografia
Charles
Baudelaire I fiori del male Einaudi
Walter
Benjamin Immagini di città Einaudi
Walter
Benjamin I passages di Parigi Einaudi
Robert
Walser La passeggiata Adelphi
Andrè
Breton L’amour fou Einaudi
Henry
Pierre Roché Jules e Jim Adelphi
Franz
Hessel L'arte di andare a passeggio Elliot
Franz
Hessel Romanza parigina. Carte di un disperso Adelphi
Franz
Hessel Gli errori degli amanti Elliot
Franz
Hessel Marlene Dietrich. Un ritratto Elliot
Marie-Françoise
Peteuil Helen Hessel, la donna
che amò Jules e Jim Baldini & Castoldi
Stéphane
Hessel, Indignatevi! ADD Editore
Giuseppe
Montesano Il ribelle in guanti rosa -
Charels Baudelaire Mondadori
Winfried
G. Sebald Gli anelli di Satrurno Adelphi
Winfried
G. Sebald Gli Emigrati Adelphi
Winfried
G. Sebald Il passeggiatore solitario. In ricordo di Robert Walser
Adelphi
Pier
Paolo Pasolini Tutte le poesie Mondadori
Milan
Kundera La festa dell’insignificanza Adelphi
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