Le canzoni mi hanno creato, non io loro;
Le canzoni mi tengono in loro
potere.
Johan Wolfgang Goethe .
Solo quelli che hanno
amato la Sapienza come una donna ,
e una donna ( sublime
cortesia, inaudito conoscere) come la Sapienza,
hanno ricavato dal
Cantico tutta la possibile luce.
Guido Ceronetti
Amo
la musica.
L'occasione
per parlarne mi è data da una deviazione/ritorno dei miei gusti musicali che mi
hanno riportato a privilegiare l'ascolto delle voci rispetto a quello degli
strumenti.
E
peraltro, una voce può essere trattata come puro suono e, quindi, direttamente
come musica? Domanda assai retorica, ne convengo.
E
che voci? Per quanto mi riguarda, da sempre, soprattutto, voci femminili.
Seguendo
questo desiderio e incuriosito da una recensione mi sono procurato un CD
intitolato "Shìr Hasshirìm" che è scritto in ebraico e
tradotto è "Il Cantico dei
cantici" o, semplicemente "Il Cantico" ( altri lo
traslitterano Shir ha-shirim e in aramaico si scrive שיר השירים ).
Ma
che cosa è innanzitutto il Cantico? (fonte Wikipedia).
"Il
Cantico dei Cantici, fu composto non prima del IV secolo a.C. ed è uno
degli ultimi testi accolti nel canone della Bibbia, addirittura un secolo dopo
la nascita di Cristo, col sinodo rabbinico di Iadne.È composto da 8 capitoli
contenenti poemi d'amore in forma dialogica tra un uomo ("Salomone")
e una donna ("Sullamita").Il nome del libro, con la ripetizione della
parola cantico, secondo il modo di costruire le frasi degli antichi ebrei,
è da considerarsi come un superlativo e andrebbe reso come Il più sublime
tra i cantici. Il Cantico dei Cantici è un testo laico derivato e copiato
da alcuni poemi della Mesopotamia ad opera di uno scrittore anonimo del IV
secolo a.c. che ha fatto confluire nel testo diversi poemi antecedenti. È un canto nuziale entrato
nel canone biblico "a furor di popolo". La parola "Dio" non
è mai menzionata.Viene conosciuto anche come Cantico di Salomone , poiché se ne
attribuisce la paternità all'antico re del X secolo a.C, celebre per la sua
saggezza, per i suoi canti e per i suoi amori.: la tradizione ebraica vuole sia
stato scritto con la costruzione del
Tempio di Gerusalemme. In molte
comunità ebraiche viene recitato durante la Pesach, la pasqua ebraica." (
per approfondimenti su Salomone si veda
il film "Salomone e la Regina di Saba" passato alla storia per le
scollature di Gina Lollobrigida, perché all'inizio delle riprese morì l'attore
protagonista Tyron Power, perché venne sostituito da Yul Brinner che recitò con
i capelli e perché, purtroppo, è l'addio assai mesto al cinema di un regista
glorioso come King Vidor .).
Cosa
ha ancora di così ammaliante il cantico? Ha che, diversamente dal
significato allegorico sull'amore divino che secondo molti interpreti è il suo
significato finale, è in realtà un testo poetico impregnato di vita terrena. Un
testo che canta in modo "sublime" l'amore fisico, tra uomo e
donna,raggiungendo vette altissime di erotismo. E quello che ha di
straordinario è che " a furor di popolo" sia stato inserito nel
testo che contiene la parola di Dio per eccellenza.
Già,
la parola. Non vi è, credo, altra religione come è quella ebraica che ponga al
centro della propria riflessione "la parola" ed è, pertanto, assai
suggestivo che Elena Lowenthal ci dica che protagoniste del Cantico siano,
assai più che un uomo e una donna, le parole. E' un libro su come le parole
accendono o leniscono l'amore. Sullo spasimo e la nostalgia, sull'intensità del
ricordo e la tenacia della speranza. Si parla di un amore nel momento in cui
non c'è : vi è l'esperienza del passato e l'attesa del ritorno. Intanto, le
parole tengono tutto vivo.
Il CD "Shìr Hasshirìm" è,però, di una
suggestione ulteriore, del tutto particolare. Dovrebbe, date le premesse,
essere un trionfo della parola cantata ed, invece, così non è. E' il trionfo
del potere suggestivo del suono, della forza poetica del puro suono della voce
umana. Infatti il compositore non ha musicato le 8 parti in cui,
convenzionalmente, è suddiviso il Cantico. Ha composto 8 madrigali minimalisti,
ciascuno ispirato a una delle "stanze”, e li ha affidati a 5 voci
femminili che vocalizzano,senza parola o strumento alcuno, le composizioni.
L'effetto è sorprendente e spettacolare e, come il cantico, riesce ad essere etereo, evanescente, in una parola
"spirituale"e, al contempo, assolutamente erotico e carnale, oltre
che ipnotico.
La
tecnica è raffinata e si avvale del madrigale rinascimentale, delle armonie
bitonali care a Burt Bacharach ( il legame con i pop e il jazz) e delle
modularità di Steve Reich ( la classica contemporanea, in questo caso il
minimalismo, ma anche la tradizione
musicale ebraica).
Chi
ha inciso e chi ha composto il CD? Le 5 voci appartengono a Martha Cluver, Lisa
Bielawa, Kathryn Mulvehill, Abigail Fischer, Kirsten Sollek. Il compositore è
John Zorn di cui ho già descritto i grandi meriti nella mia precedente nota sul
tempo, e il CD è stato inciso a New York dalla sua casa discografica, la
TZADIK.
La
cosa non finisce qui. Perché l'album in questo caso è anche un bellissimo
oggetto. La copertina , infatti, fatta di cartoncino pergamenato ripiegato,
riporta su ogni facciata la riproduzione di un acquarello erotico di Auguste
Rodin. Quando ho iniziato l'ascolto ho sfogliato gli acquarelli e mi sono accorto
che sono 7. Curioso dal momento che, come dicevo, le parti del poema sono 8 e 8
sono i brani incisi. Poi finito l’ascolto, ho estratto il CD e ho scoperto che
l’ottavo acquarello era riprodotto sulla
facciata . E’ “un’origine del mondo” assai più raffinata di quella di Courbet.
Ma tutti gli acquarelli sono assai belli .
FINE DEL PRIMO TEMPO
SECONDO TEMPO
Ascoltata
la musica mi sono ricordato dove per la
prima volta, e assai tardi, avevo appreso dell’esatto significato e avevo
soprattutto sentito leggere alcune parti del Cantico: vedendo “C’era una volta
in America” di Sergio Leone.
Il
film, lo ricorderete, narra una saga di gangster ebrei newyorchesi a partire dall’infanzia. E ha, in
particolare, una prima parte molto bella che ricostruisce – a Montreal – la
vita nel Lower east side ebreo di New York intorno agli anni ‘20. Il che mi
porta ad una nuova deviazione ( ma sul film ritorneremo) su un personaggio che
ho scoperto da pochissimo, sempre
tramite John Zorn, il quale in
un ennesimo CD ha pubblicato la colonna sonora di un documentario su di
lui. Parlo di Sholem Aleichem.
Ma
chi era costui ? ( se già lo sapete mi scuso per la saccenteria).
Sholem
Aleichem, in ebraico שלום־עליכם,
pseudonimo di Sholem Naumovich Rabinovič nato in Russia nel1859 e
morto a New York nel 1916 è stato uno
scrittore autore di novelle e
romanzi umoristici in lingua yiddish.
Operò
per promuovere gli scrittori yiddish e fu il primo a scrivere libri per bambini
in quella lingua. Tema principale delle sue opere è la vita delle comunità
ebraiche nei piccoli centri dell'Europa dell'est e nelle metropoli degli Stati
Uniti.
Ci
sono molte opere sue tradotte in italiano ma una in particolare è qui da
segnalare: “Cantico dei cantici”. Ebbene
sì. La storia che narra è quella di un amore tra due giovani che vivono in uno shtetl, un villaggio ebraico dell’Europa
orientale, e non ve ne rivelerò la fine. Quello che affascina è lo stile, tra
la ballata popolare e la favola, e il fatto che i versi del Cantico fanno da
contrappunto continuo alla narrazione. Grande scoperta. Tra l’altro il
libro è edito da Belforte, una piccola
casa editrice ebraica di Livorno ( c’è anche un’edizione Adelphi), ed è
impreziosito dalle bellissime illustrazioni di Emanuele Luzzati, il nostro Marc
Chagall.
Marc
Chagall? Piccolissima deviazione ma, parlando del Cantico, non si può evitare
di ricordare il ciclo di dipinti da lui dedicati all’opera ( insieme ad altri
che illustrano vari episodi della Bibbia) e che sono conservati al Museo del
messaggio biblico di Nizza.
Nizza
è una città bellissima. E a Nizza e dintorni hanno vissuto alcuni dei più
grandi pittori del ‘900. Uno degli ultimi non è proprio un pittore ma,
certamente, uno dei grandi del fumetto contemporaneo : Joann Sfar. Se ancora
non siete amanti della graphic novel Sfar, che è nizzardo, mezzo sefardita e mezzo askenazita, potrebbe farvi cambiare idea. Uno dei suoi
“romanzi” è dedicato proprio al giovane Chagall, quando viveva ancora in Russia
in uno shtetel. Un altro è intitolato “Kletzmer” e racconta, come se fosse una
favola, la nascita della musica popolare ebraica. Il suo capolavoro, in più
volumi, è, però, a tutt’oggi “Il gatto del rabbino” che narra le avventure del
gatto del rabbino dell’Algeri dei primi del ‘900. Il gatto che è, ovviamente,
un gatto parlante è protagonista di innumerevoli avventure tra Algeri, Parigi e
l’Africa nera e di altrettanto innumerevoli discussioni con rabbini, figlie di
rabbini ( è un gatto anche lascivo), arabi, asini parlanti … Discussioni nelle
quali - secondo una tecnica di interpretazione talmudica che si chiama Pilpul ( speziare) e che consiste in
creare scontri dialettici violenti e polemici che mettono continuamente in
discussione il significato dei testi al fine di non raggiungere mai un
punto fermo - si parla di tutto: di religione, di filosofia, di esistenza e -
non voglio andare fuori tema - di amore. E si ride molto.
Algeri,
primi ‘900 : Albert Camus. Mi concedo un’altra piccola deviazione, data la
statura del personaggio, e rammento,
tanto per rimanere in tema “L’estate e altri saggi solari”, una raccolta
di saggi giovanili che sanno quasi più
di poesia che d’altro e sono uno dei più bei “canti” alla bellezza e alla
sensualità del Mediterraneo tra Algeria Grecia e Italia. E poi, l’autobiografico
e incompiuto “Il primo uomo” da cui, oltretutto, Gianni Amelio ha tratto, un
paio di anni fa, l’omonimo film che è, a mio parere, uno dei pochi film
italiani veramente belli e “necessari” degli ultimi anni.
FINE DEL SECONDO TEMPO
TERZO TEMPO
Ritorniamo
a New York e alle storie di amori
ebraici, anzi di amori Yiddish. Perché, poi, è tragicamente l’America il luogo
ove è sopravvissuta la cultura degli ebrei orientali e la loro lingua. Una
lingua e una scrittura che hanno anche
ottenuto un Nobel, a Isaac Bashevis Singer. Ma Singer aveva un fratello più
grande, che secondo lui era più bravo di lui, e che si chiamava Israel Joshua Singer e che nel 1933 scrisse un romanzo intitolato “Yoshe
Kalb” che lui giurava tratto da una storia vera accaduta in Galizia ai tempi
dell’impero asburgico. In cui Yoshe costretto a sposare la figlia scialba del
rabbino si innamorava della quarta giovane moglie del rabbino medesimo si univa
a lei impazziva per il rimorso diventando Yoshe l’idiota e poi…. Il romanzo è
assai bello. Venne scritto ( anche) in
polemica modernista contro la cultura oscurantista dello shtetl ma riletto oggi
ce ne restituisce, assai fresco, anche tutto il fascino e la vivacità. Ed è un
grande romanzo di donne. Donne che rivendicano il loro piacere , fino al sacrificio. E della paura che gli
uomini hanno di queste donne. E in cui alla fine alla fisicità dell’amore non
si può che cedere a prescindere dalle conseguenze. Il libro è da poco uscito da Adelphi.
I
due fratelli Singer erano arrivati, già
scrittori, a Nuova York dalla Polonia nel 1934 in previdente fuga da
Hitler. Chissà se avevano conosciuto
Noodles e Max i due gangster protagonisti di “C’era una volta in America”? O
meglio Harry Gray le cui memorie di gangster sono alla base del film? No, penso
di no. I due teppisti, come sappiamo, avevano concluso la loro vicenda l’anno
prima, con la fine del Proibizionismo. Ed erano fuggiti uno nel Midwest,
l’altro in California. Ma, come dicevo, l’amore di Noodles per Deborah è la mia
fonte di conoscenza del Cantico dei cantici e val la pena che ci ritorni su.
Deborah
recita, ancora fanciulla, a Noodles alcuni
versi del Cantico ma lui, pur incantato, in una delle sequenze chiave
del film, scappa perché richiamato dall’amico Max. Poco dopo subirà un pestaggio
e commetterà il suo primo omicidio. Nel carcere minorile userà il cantico sia
per ricordare Deborah che come libro pornografico. Uscito e ormai
definitivamente gangster cercherà di conquistarla in modo romantico ma,
respinto da lei che vuole continuare la sua carriera di ballerina, la
violenterà in una delle sequenze più disturbanti del film. Salvo continuare ad
amarla per tutta la vita. Qui mi fermo perché, se già conoscete il film sapete
come si svilupperà la vicenda, se non lo conoscete non è giusto rivelarvela.
Quello
che mi preme sottolineare è che Leone in un film che è anche un riassunto di
tutti i miti alla base del cinema e della cultura americana fissa i suoi
protagonisti ad una sessualità decisamente infantile, masturbatoria, ( anche se
viene il forte sospetto che il problema,
nei confronti delle donne, sia del regista medesimo). Ciò detto, tutta la
componente femminile del film subirà, più o meno accettandoli, trattamenti
analoghi. E tutte le donne saranno prima o poi possedute sia da Max che da
Noodles. Ma siamo assai lontani da “Jules e Jim”. La sensazione è che il
possedere le stesse donne sia il compimento del desiderio rimosso di un amore
omosessuale che è - definito come
“amicizia virile” - alla base dei miti fondanti dell’America protestante e
anglosassone, i miti della libertà e
della ….violenza.
Lo
osservava acutamente, già negli anni’60, uno dei grandi saggisti americani il jewish Leslie Fiedler, in due testi assai importanti “Amore e morte
nel romanzo americano” e “Il ritorno del pellerossa”. Partendo da Moby Dick (
un equipaggio multicolor) da “L’ultimo
dei Mohicani” ( cacciatore bianco e
guerriero pellerossa) e da “Huckleberry Finn” ( vagabondo bianco e ex
schiavo), Fiedler osservava come il sogno sotteso alla cultura
“bianca” americana è quello della fuga ( On the road?) dalla civiltà, della
paura della responsabilità rappresentata
dalla donna, per poter correre, cacciare, pescare ( Ernest Hemingway?) e amarsi
insieme a un compagno “selvaggio”, in quanto più vicino allo stato di natura.
La cosa abbastanza atroce è che questo desiderio del “diverso” è anche,
traslato, un’elaborazione del grande rimo(r)sso della civiltà americana: il
fatto di essere fondata su due genocidi, quello dei nativi americani, prima,
quello dei negri, dopo.
Allora
possiamo dire che il grande film d’amore americano è “La parete di fango” di
Stanley Kramer in cui i due evasi, il razzista Tony Curtis e il nero Sidney
Poitier, fuggono incatenati assieme nei boschi, fingono di odiarsi per tre
quarti del film, ma poi nel finale, avendo scoperto di “amarsi”, preferiscono
farsi catturare piuttosto che separarsi.
Chissà
se a queste cose hanno mai pensato i Bush, padre e figlio? Certamente le conosceva bene il Kubrick sia
del “Dottor Stranamore” che di “Eyes wide shut” nel segno di quella che,
finemente, si definisce una bella coerenza autoriale e in cui il cavalcare una
fallica bomba atomica vale il terribile dialogo tra Tom Cruise e Sidney Pollack
nel film “viennese” suo strepitoso “testamento”.
FINE DEL TERZO TEMPO
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