martedì 14 gennaio 2020

Femonazionalismo. Il razzismo nel nome delle donne, SaraR: Farris

Non si può ricordare tutto e a volte non si vuole. Per esempio la campagna della Lega nel 2005 contro l’ingresso in Europa della Turchia, l’Italia tappezzata di cartelloni che rappresentano tre donne: una con il velo, imprigionata, e due vestite all’occidentale coi capelli corti, in un ufficio luminoso e poi «la didascalia sulla sinistra dice “loro”, quella sulla destra “noi”. Sotto l’immagine c’è una domanda quasi retorica: volete correre il rischio? No alla Turchia in Europa». Sara R. Farris nel suo Femonazionalismo. Il razzismo nel nome delle donne (Edizioni Alegre, pp. 303, euro 18, traduzione di Marie Moïse e Marta Panighel) ricorda questo e altro, in un’analisi che all’interno di un quadro teorico molto ampio e approfondito definisce la nozione di femonazionalismo, contestualizzandola all’interno dei casi nazionali di Paesi Bassi, Francia e Italia.
IL FEMONAZIONALISMO è la «convergenza» del femminismo con posizioni nazionaliste e neoliberali, avvenuta in nome della difesa dei diritti delle donne. A far muovere alcune femministe verso posizioni xenofobe è stata l’esistenza di un nemico comune: l’Islam. Alla base di tale convergenza c’è, quindi, la convinzione della supremazia occidentale, per cui la nostra civiltà, essendo maestra in tema di parità di genere, costituirebbe il modello a cui anche le altre dovrebbero adattarsi. Farris, però, evidenzia: «suggerendo che l’uguaglianza di genere sia un problema soprattutto per le donne non occidentali, le femministe e femocrate anti-musulmane hanno contribuito a distogliere l’attenzione dalle molteplici forme di disuguaglianza che ancora colpiscono le donne occidentali».
I rischi del femonazionalismo ricadono, ovviamente, anche sulle donne migranti: sono considerate, infatti, soggetti chiave nel processo di integrazione: «se educhi una madre, educhi una famiglia!». Le politiche in merito nei Paesi Bassi, in Italia o in Francia, insistono molto sul ruolo fondamentale delle donne che possono – e devono – favorire l’integrazione dei propri figli, partecipando al processo educativo, alle attività scolastiche, salvo poi vedersi rifiutare l’accesso a scuola (succede in Francia) perché indossano il velo. Le femministe che aderiscono a questa politica di liberazione delle migranti dal giogo islamico, allora, cercano di imporre a queste donne quel ruolo di Madre da cui loro hanno cercato invece di emanciparsi.
L’AUTRICE SARDA, docente alla Goldsmith University of London, dettaglia come il femonazionalismo sia anche conseguenza del neoliberismo. L’emancipazione delle donne attraverso il lavoro salariato è un’altra delle richieste che nazionalisti e femministe insieme fanno alle donne migranti: devono trovarsi un impiego per rendersi autonome e liberarsi dalle imposizioni di padri e mariti. Quale lavoro, però? Di cura. Di nuovo, allora, ci troviamo di fronte a una violenta contraddizione: perché le donne migranti dovrebbero voler svolgere quel tipo di attività, della riproduzione sociale appunto, da cui le femministe in Occidente hanno cercato di liberarsi? La risposta è tanto chiara quanto dolorosa: «l’etica produttivista del femminismo converge con le politiche neoliberiste di workfare».
L’emancipazione femminile attraverso la produttività ha creato in Occidente un bisogno di lavoro di cura che le donne migranti assolvono, con condizioni salariali ingiuste e spesso senza garanzie. Farris fa infatti notare come la retorica dello straniero che venendo qui ci ruba il pane vale solo per gli uomini che sarebbero «d’ostacolo alla integrazione sociale e culturale». Che tolgano il velo, quindi, e mettano il fazzoletto in testa.

martedì 7 gennaio 2020

Prossimo incontro

Ci troviamo lunedì 13 alle 21.00 a casa di Roberta per rileggere  "Il Pastore d'Islanda" di Gunnar Gunnarsson.




Commenti

il 12/08 SR ha commentato Non credo che D'Avenia possa far parte del nostro blog. Certo i suoi libri sono best-sellers tra gli adolescenti, e probabilmente hanno il merito di avviare qualche giovane alla lettura, ma la banalità delle situazioni e del linguaggio non permettono di considerare questi testi letteratura. Diciamo che sono testi "di servizio", nella migliore delle ipotesi. su Prossimamente
il 14/05 SR ha commentato Purtroppo J.K.J. non sembra più funzionare con le ultime generazioni: un tentativo di leggere a scuola Three Men In a Boat è finito miseramente in noia. I ragazzi non capivano cosa c'era da ridere e io non capivo perché non capivano. Tristissimo. Jerome per me è finito in quell'armadio dove tengo gli autori speciali che voglio proteggere dagli studenti... su Jerome K. Jerome, fare ridere l’uomo moderno, spaventato
il 29/02 Ida ha commentato A proposito di classifiche: "Oggi se vai al cinema devi entrare a un’ora fissa, quando il film incomincia, e appena incomincia qualcuno ti prende per così dire per mano e ti dice cosa succede. Ai miei tempi si poteva entrare al cinema a ogni momento, voglio dire anche a metà dello spettacolo, si arrivava mentre stavano succedendo alcune cose e si cercava di capire che cosa era accaduto prima (poi, quando il film ricominciava dall’inizio, si vedeva se si era capito tutto bene - a parte il fatto che se il film ci era piaciuto si poteva restare e rivedere anche quello che si era già visto). Ecco, la vita è come un film dei tempi miei. Noi entriamo nella vita quando molte cose sono già successe, da centinaia di migliaia di anni, ed è importante apprendere quello che è accaduto prima che noi nascessimo; serve per capire meglio perché oggi succedono molte cose nuove." Anch'io,come U.ECO sono andata al cinema nel modo ricordato e quindi io amo ricordare e vorrei tanto poter fare liste di su Chi siamo
il 28/02 Ida ha commentato Grazie Roberta per aver riaperto il blog.Trovo che è un modo per uscire dalla solitudine delle letture personali.Scrivere e leggere accanto, trovo che è un bel modo per parlarci e parlarmi. su Chi siamo