mercoledì 28 febbraio 2018

Lancio a effetto, Omar Shahid Hamid

Un poliziotto incorruttibile e di umili origini; una mente sopraffina e criminale, votata al terrorismo islamico. Sullo sfondo, la società pachistana contemporanea finalmente restituita con complessità e stratificazioni, in grado di superare la nomea unidimensionale di «stato canaglia» spesso affibbiata senza troppi complimenti alla Repubblica islamica.
Questi gli ingredienti che alimentano il motore narrativo di Lancio a effetto (pp. 256, euro 15), secondo romanzo di Omar Shahid Hamid, tradotto egregiamente da Giovanni Garbellini – specie nelle annotazioni dei termini in urdu – per Metropoli d’Asia. Hamid, già caso letterario nel subcontinente col suo romanzo d’esordio The Prisoner (2013), vanta una biografia dolorosamente adeguata all’indagine dell’estremismo islamico anche in ambito letterario: il padre Malik, direttore della Karachi Electric Supply Corporation, fu assassinato nel 1997 da un membro del Muttahida Quami Movement, formazione politica vicina all’estremismo islamico, evento che spinse il giovane Omar a entrare nelle forze dell’ordine, divisione antiterrorismo.
Dopo 17 anni di servizio, minacciato di morte dai Taliban pachistani, nel 2011 Hamid decide di prendersi un periodo sabbatico, tornando in servizio a Karachi solo a fine 2016 in qualità di sovrintendente di polizia presso il Counter Terrorism Department (Ctd) pachistano.
DISMESSA temporaneamente la divisa, Hamid ha messo al servizio della narrativa le conoscenze da «insider» maturate nell’antiterrorismo pachistana, aggiungendoci una certa abilità nell’organizzazione di «crime stories» dal ritmo serrato e fortemente aderenti alla cronaca criminale del Pakistan.
Così i personaggi principali di Lancio a effetto, il sovrintendente Abbasi e il terrorista Sheikh Ahmed Uzair Sufi, sono di fatto la trasposizione letteraria di Sanaullah Abbasi, agente antiterrorismo molto noto nella provincia del Sindh, e Omar Saeed Sheikh, terrorista britannico di origini pachistane autore, tra le altre, del rapimento e omicidio di Daniel Pearl, giornalista del Wall Street Journal, nel 2002.
Abbasi, per effetto di un tipico scaricabarile subcontinentale, si ritrova insignito della responsabilità di sorvegliare, in un ex istituto agrario dismesso nella campagna pachistana, il pericoloso terrorista Sufi appena trasferito dalla prigione di Hyderabad (dove il terrorista in carne ed ossa Sheikh tuttora risiede).
SHEIKH AHMED UZAIR SUFI, o meglio Ausi, nomignolo con cui era conosciuto ai tempi del college, deve essere tenuto in isolamento totale, evitando ogni contatto umano che possa dargli l’opportunità di mettere in pratica doti affabulatorie che, nel carcere di Hyderabad, per poco non hanno portato a un ammutinamento collettivo dei celerini, stregati dalla retorica del prigioniero. Esca cui Abbasi abbocca attratto dalle vicende pre-terroristiche di Ausi, svelate da una serie di lettere scambiate in gioventù tra il prigioniero e i migliori amici del college esclusivo – La Scuola – frequentato dal giovane: Sana, affascinante «prima della classe» lontana anni luce dallo stereotipo della «brava ragazza musulmana» ed Eddy, rampollo di miliardari e asso del cricket.
Imboccato da Ausi, Abbasi si lancia alla ricerca delle missive tra i tre, che l’autore utilizza per far emergere l’umanità di un personaggio archetipo della disumanità criminale, colpevole del rapimento e della decapitazione, ripresa in video, di una giornalista occidentale incinta. Il carteggio tra i tre post-adolescenti, con i loro amori non corrisposti, il senso di spaesamento dell’emigrazione di lusso accordata alla meglio gioventù pachistana spedita nelle università statunitensi, la disillusione dell’esperienza politica di Ausi – che per ristrettezze economiche deve rinunciare a una borsa di studio oltreoceano – e la passione per il cricket, aiutano Hamid a delineare delle circostanze plausibili che possono spingere, nel romanzo come nella realtà, un ragazzo di buone speranze tra le braccia dell’estremismo militante. Fino a trasformare un ragazzo come tanti in un mostro che, parafrasando le parole del padre di Ausi – tragica figura tra le più riuscite del romanzo -, «distrugge tutto ciò che tocca».
Il crescere della curiosità per il compimento della metamorfosi criminale di Ausi è degno del «binge watching» da serie tv e compensa alcune soluzioni narrative piuttosto banali o, purtroppo, non sviluppate come avrebbero meritato: su tutte, il mancato approfondimento dell’ispettore Shahab, personaggio promettente eppur sbrigativamente accantonato nella narrazione.
PRESI DALLA FRETTA di scoprire la conclusione delle indagini del sovrintendente Abbasi, sarebbe un peccato soprassedere ad alcuni passaggi illuminanti delle «confessioni» di Ausi, utili per orientarsi anche nella cronaca del terrore di questi tempi.
Hamid mette in bocca al terrorista delle ammissioni pesanti che, in clima di islamofobia diffusa, contribuiscono a slegare l’Islam dalla condotta criminale degli estremisti: la crescente efferatezza dei crimini di Ausi non ha nulla a che fare con la religione, ma risponde invece alle aspettative di sostenitori e aspiranti terroristi smaniosi di arruolarsi sotto il comando del leader più ambizioso, più carismatico e più senza scrupoli in circolazione. La descrizione, per filo e per segno, della lotta tra le varie sigle del terrorismo islamico attive in Pakistan negli ultimi anni.
[Matteo Miavaldi 28/2/2018]

Nessun commento:

Commenti

il 12/08 SR ha commentato Non credo che D'Avenia possa far parte del nostro blog. Certo i suoi libri sono best-sellers tra gli adolescenti, e probabilmente hanno il merito di avviare qualche giovane alla lettura, ma la banalità delle situazioni e del linguaggio non permettono di considerare questi testi letteratura. Diciamo che sono testi "di servizio", nella migliore delle ipotesi. su Prossimamente
il 14/05 SR ha commentato Purtroppo J.K.J. non sembra più funzionare con le ultime generazioni: un tentativo di leggere a scuola Three Men In a Boat è finito miseramente in noia. I ragazzi non capivano cosa c'era da ridere e io non capivo perché non capivano. Tristissimo. Jerome per me è finito in quell'armadio dove tengo gli autori speciali che voglio proteggere dagli studenti... su Jerome K. Jerome, fare ridere l’uomo moderno, spaventato
il 29/02 Ida ha commentato A proposito di classifiche: "Oggi se vai al cinema devi entrare a un’ora fissa, quando il film incomincia, e appena incomincia qualcuno ti prende per così dire per mano e ti dice cosa succede. Ai miei tempi si poteva entrare al cinema a ogni momento, voglio dire anche a metà dello spettacolo, si arrivava mentre stavano succedendo alcune cose e si cercava di capire che cosa era accaduto prima (poi, quando il film ricominciava dall’inizio, si vedeva se si era capito tutto bene - a parte il fatto che se il film ci era piaciuto si poteva restare e rivedere anche quello che si era già visto). Ecco, la vita è come un film dei tempi miei. Noi entriamo nella vita quando molte cose sono già successe, da centinaia di migliaia di anni, ed è importante apprendere quello che è accaduto prima che noi nascessimo; serve per capire meglio perché oggi succedono molte cose nuove." Anch'io,come U.ECO sono andata al cinema nel modo ricordato e quindi io amo ricordare e vorrei tanto poter fare liste di su Chi siamo
il 28/02 Ida ha commentato Grazie Roberta per aver riaperto il blog.Trovo che è un modo per uscire dalla solitudine delle letture personali.Scrivere e leggere accanto, trovo che è un bel modo per parlarci e parlarmi. su Chi siamo