In Liguria, su certe mulattiere rose
dagli anni e da milioni di zoccoli a volte può ancora capitare di
vedere la protezione «a coltello». Sono certe lamine affilate e lisce di
pietra che stanno le une accanto alle altre, come menhir in miniatura,
in punti ventosi, dove la furia dell’aria porterebbe detriti e foglie ad
occupare il sentiero. Così è la lingua accorta che usa nei suoi romanzi
e racconti Marino Magliani: affilata, precisa, liscia. A protezione.
Per salvare il salvabile di quanto può ancora essere detto in modo
asciutto e sgombro di qualsiasi cascame retorico, sentimentale o
ideologico che possa essere.
LA MEMORIA SÌ,
l’autobiografia composta e ricomposta da mille prospettive e stimoli
indotti da un paesaggio – specchio sì. Il compatimento mai. Sono queste
le impressioni che rimangono, forti, appena chiuse le pagine del suo
ultimo romanzo – memoir, titolo al solito incantante e foriero di
curiosità: L’esilio dei moscerini danzanti giapponesi (Exòrma).
Nel penultimo Carlos Paz e altre mitologie private
lo scrittore ligure da molto tempo con base olandese, in un luogo che è
una sfida all’anima, aveva mostrato di padroneggiare registri
stilistico – linguistici disparati, come una sorta di supercoordinamento
di arti diversificarti in un unico grande corpo narrativo.
Qui la riflessione torna invece a
concentrarsi, a trovare un centro ossessivo di riflessione che allarga
cerchi concentrici: è l’ «esilio del titolo». La condizione di chi, come
Magliani, fa parte di quella generazione di persone che hanno fatto in
tempo a vivere scampoli significativi di anni Sessanta e Settanta, e da
allora vivono la lacerazione non pacificata del proprio paesaggio
interiore affettivo con una continua dromomania, l’ossessione
dell’essere continuamente in movimento, di spostarsi per esorcismo
personale.
Per Magliani, dopo le esperienze di vita
e mestieri duri in mezzo mondo un pendolo continuo tra il paesino della
sua Liguria di Ponente e Zeewijk, Olanda, dove il paesaggio è fatto di
dune sabbiose, di silenzi spettrali, di freddo e di case ricostruite
ogni vent’anni.
I Moscerini danzanti giapponesi ci sono
davvero, lì: sono le nuvole di insetti che, migrati dall’Oriente, da
mezzo secolo hanno colonizzato le coste sabbiose del Nord. Si muovono
assieme in aria disegnando segni, facili prede degli uccelli, in una
sorta di balletto sacrificale. L’esilio non perdona, ma lascia posto per
un’ultima danza elegante.
[Guidop Festinese 23/06/2017]
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