Il territorio è un’entità impersonale, buona per misurazioni e
cubature, e i luoghi, che esprimono le comunità, provano a dargli un
senso diverso: tra questi due poli spesso è conflitto. È forte e deciso
il no che arriva dalla Sardegna contro l’esproprio legalizzato di terre e
prospettive sostenibili grazie alle megacentrali termodinamiche, che si
apprestano a calare su Gonnosfanadiga e Guspini, Decimoputzu e
Villasor.
UN NO MOLTO ASPRO dopo il parere positivo dato il 22 luglio scorso della commissione tecnica del Ministero dell’Ambiente sulla Valutazione di Impatto Ambientale del progetto «Flumini Mannu» (comuni di Decimoputzu e Villasor) della Green Power, gruppo Angelantoni: pannelli solari radianti su quasi trecento ettari, «espropriabili» (ma alcuni imprenditori agricoli operanti su questi terreni, come il combattivo signor Cualbu, non sembrano esattamente d’accordo). Una seconda è prevista al confine fra Gonnosfanadiga e Guspini: più ampia, con i suoi trecento ettari, dell’intera area del centro di Guspini.
I TERRENI AGRICOLI sono simili a quelli ben descritti da Emilio Sereni – che pure trascurava la Sardegna – nel suo Storia del paesaggio agrario italiano. Ci vai e vedi pianure e montagne come quinte in un’ampia area delimitata a nord-ovest dal castello di Arcuentu e a sud da quello di Acquafredda. Grandi serie monumentali dalla preistoria al medioevo; campi aperti e montagne, sorgenti: paesaggi culturali, identità che trova senso nei luoghi e ritroviamo nel «no» della Soprintendenza che sottolinea il rischio di distruzione della tipologia dell’openfield, irreversibile, attraverso la «distorsione della percezione e detrimento dei valori storico-culturale e paesaggistico».
L’OPPOSIZIONE SOCIALE espressa da comitati, sindaci, associazioni e forze ambientaliste, movimenti indipendentisti si è costituita in forma unitaria (Consulta Ambiente Territorio Energia) ed ha manifestato con forza il 25 marzo scorso a Gonnosfanadiga. Anche istituzionalmente la situazione è in movimento: se a suo tempo la Regione diede parere negativo, da poco persino il Presidente Pigliaru ha dovuto esprimere al premier Gentiloni «il forte malcontento e la netta contrarietà della popolazione alla realizzazione di questi impianti», e le «forti tensioni di carattere economico-sociale che potrebbero derivarne».
Questo termodinamico piuttosto ingombrante è ora sul tavolo del Presidente del Consiglio, come prescritto dalla procedura, e rappresenta un test delicato che non sfuggirà a Gentiloni. Lo è anche per una classe politica che – dopo lo «Sblocca Italia» – ha provato senza riuscirci a sistemare le autonomie territoriali con il referendum costituzionale, che in Sardegna ha registrato una sconfitta particolarmente netta, e prosegue costruendo modifiche ed eccezioni alle norme della tutela: sulle regole della Valutazione di Impatto Ambientale, sui parchi, sulle trivelle con concessioni entro le 12 miglia! Intanto la nuova proposta di legge urbanistica regionale mostra parole avvenenti («Programmi e progetti ecosostenibili di grande interesse sociale ed economico») e formule grimaldello come «l’accordo di programma».
SE OGGI I PAESAGGI della Sardegna, complessi e irripetibili, sono attraversati da un diffuso senso di appartenenza, dal racconto che diventa proposta, reticolare e integrata, di transiti e letture, tragitti e itinerari, e su questa base si pensa di costruire ricchezza, inserire impianti del genere significa sabotare, anche alterando i «punti di vista, passaggio e osservazione», una delle risorse principali della Sardegna.
Quando poi, a prescindere dai modelli, l’intervento vuole essere autorizzato nonostante la contrarietà generale, si pone, come abbiamo detto all’inizio, un serio problema di democrazia. Gli specchi prodigiosi di questi pannelli solari riflettono un modello neo-centralista e post-coloniale che sarebbe saggio, oltreché democratico, abbandonare.
UN NO MOLTO ASPRO dopo il parere positivo dato il 22 luglio scorso della commissione tecnica del Ministero dell’Ambiente sulla Valutazione di Impatto Ambientale del progetto «Flumini Mannu» (comuni di Decimoputzu e Villasor) della Green Power, gruppo Angelantoni: pannelli solari radianti su quasi trecento ettari, «espropriabili» (ma alcuni imprenditori agricoli operanti su questi terreni, come il combattivo signor Cualbu, non sembrano esattamente d’accordo). Una seconda è prevista al confine fra Gonnosfanadiga e Guspini: più ampia, con i suoi trecento ettari, dell’intera area del centro di Guspini.
I TERRENI AGRICOLI sono simili a quelli ben descritti da Emilio Sereni – che pure trascurava la Sardegna – nel suo Storia del paesaggio agrario italiano. Ci vai e vedi pianure e montagne come quinte in un’ampia area delimitata a nord-ovest dal castello di Arcuentu e a sud da quello di Acquafredda. Grandi serie monumentali dalla preistoria al medioevo; campi aperti e montagne, sorgenti: paesaggi culturali, identità che trova senso nei luoghi e ritroviamo nel «no» della Soprintendenza che sottolinea il rischio di distruzione della tipologia dell’openfield, irreversibile, attraverso la «distorsione della percezione e detrimento dei valori storico-culturale e paesaggistico».
L’OPPOSIZIONE SOCIALE espressa da comitati, sindaci, associazioni e forze ambientaliste, movimenti indipendentisti si è costituita in forma unitaria (Consulta Ambiente Territorio Energia) ed ha manifestato con forza il 25 marzo scorso a Gonnosfanadiga. Anche istituzionalmente la situazione è in movimento: se a suo tempo la Regione diede parere negativo, da poco persino il Presidente Pigliaru ha dovuto esprimere al premier Gentiloni «il forte malcontento e la netta contrarietà della popolazione alla realizzazione di questi impianti», e le «forti tensioni di carattere economico-sociale che potrebbero derivarne».
Questo termodinamico piuttosto ingombrante è ora sul tavolo del Presidente del Consiglio, come prescritto dalla procedura, e rappresenta un test delicato che non sfuggirà a Gentiloni. Lo è anche per una classe politica che – dopo lo «Sblocca Italia» – ha provato senza riuscirci a sistemare le autonomie territoriali con il referendum costituzionale, che in Sardegna ha registrato una sconfitta particolarmente netta, e prosegue costruendo modifiche ed eccezioni alle norme della tutela: sulle regole della Valutazione di Impatto Ambientale, sui parchi, sulle trivelle con concessioni entro le 12 miglia! Intanto la nuova proposta di legge urbanistica regionale mostra parole avvenenti («Programmi e progetti ecosostenibili di grande interesse sociale ed economico») e formule grimaldello come «l’accordo di programma».
SE OGGI I PAESAGGI della Sardegna, complessi e irripetibili, sono attraversati da un diffuso senso di appartenenza, dal racconto che diventa proposta, reticolare e integrata, di transiti e letture, tragitti e itinerari, e su questa base si pensa di costruire ricchezza, inserire impianti del genere significa sabotare, anche alterando i «punti di vista, passaggio e osservazione», una delle risorse principali della Sardegna.
Quando poi, a prescindere dai modelli, l’intervento vuole essere autorizzato nonostante la contrarietà generale, si pone, come abbiamo detto all’inizio, un serio problema di democrazia. Gli specchi prodigiosi di questi pannelli solari riflettono un modello neo-centralista e post-coloniale che sarebbe saggio, oltreché democratico, abbandonare.
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