L’ultima volta ho visto Predrag
Matvejevic nel novembre scorso. Era in una clinica a Zagabria, sulla
sedia a rotelle, ma ancora lucido e molto contento del nostro incontro.
Teneva la mano della moglie Mira nella sua e parlava in italiano con il
mio compagno. Cercavamo di ricordare i suoi anni romani. Era il mio
testimone al matrimonio, ma soprattutto a Roma, all’università La
Sapienza, aveva tenuto per quattordici anni la cattedra di letteratura
jugoslava cercando di aiutare e indirizzare gli studenti che arrivavano
dal nostro ex paese. Molti devono a lui l’inserimento e la comprensione
della società italiana. Non era affatto apatico né si lamentava, bensì
cosciente del suo ormai precario stato di salute. Aveva anche un aspetto
migliore di quel che mi aspettavo conoscendo la sua situazione. In
qualche modo a Zagabria, a casa sua, credo si sentisse sereno.
UNA VITA «TRA ESILIO E ASILO»,
come diceva, era stata la sua esistenza negli ultimi decenni subito
dopo le prime avvisaglie del conflitto che avrebbe tolto dalla carta
geografica il suo paese per sempre. Il paese dove lui si sentiva bene
ovunque, a Zagabria come a Belgrado, a Ljubljana come a Sarajevo, e
soprattutto nella sua nativa Mostar. A causa delle minacce quotidiane e
delle lettere anonime nella cassetta postale, ha dovuto, dopo i colpi di
rivoltella alla scritta con il suo nome, lasciare Zagabria dove era
professore universitario per stabilirsi a Parigi nel 1991. Alla Sorbona
ha insegnato Letterature comparate e scritto i suoi Il mondo ex e Le
lettere dell’altra Europa. Si trasferisce a Roma tre anni dopo per
rimanervi fino al 2008.
IL LIBRO PIÙ IMPORTANTE
di Predrag Matvejevic è sicuramente Breviario mediterraneo, oggi
tradotto in più di venti lingue e vincitore di numerosi premi, definito
dallo stesso autore «un saggio poetico» e «un diario di bordo» e che
Claudio Magris saluterà come un «libro geniale, fulminante, inatteso».
Viene pubblicato nel 2003 L’altra Venezia, scritto in Italia e vincitore
del premio Strega; l’ultimo è Pane nostro, del 2010. Nel frattempo
Matvejevic riceve anche diverse onorificenze tra cui quella di Ufficiale
della legione d’onore francese, Cavaliere dell’Ordine della stella
della solidarietà italiana insieme alla cittadinanza onoraria e il
titolo di Cavaliere delle Arti e delle Lettere di Spagna.
Tuttavia è L’epistolario dell’altra Europa il lavoro che a mio avviso descrive meglio il coraggio e la parte sempre molto combattiva e ribelle di Predrag. Perché lui era un grande combattente, sempre in soccorso degli ultimi.
Nel 1993 scrive lettere a Milosevic e Tudjman consigliando a entrambi il suicidio per il bene dei loro popoli. Ma ancora prima si era rivolto a Tito consigliandogli di dimettersi e pensare a un successore per il bene del paese. Ovviamente, tutti messaggi e suggerimenti inascoltati. Erano una critica serrata, dolente e vissuta del socialismo reale, la radiografia di quella temperie politica. Come si evince dalle lettere scritte a Havel, Sacharov, Solzenicin, Brodski, Kundera, per citare solo alcuni dei suoi interlocutori; in quelle righe vi erano chiarimenti ma anche appoggio agli intellettuali dell’Est perseguitati dai regimi totalitari.
Tuttavia è L’epistolario dell’altra Europa il lavoro che a mio avviso descrive meglio il coraggio e la parte sempre molto combattiva e ribelle di Predrag. Perché lui era un grande combattente, sempre in soccorso degli ultimi.
Nel 1993 scrive lettere a Milosevic e Tudjman consigliando a entrambi il suicidio per il bene dei loro popoli. Ma ancora prima si era rivolto a Tito consigliandogli di dimettersi e pensare a un successore per il bene del paese. Ovviamente, tutti messaggi e suggerimenti inascoltati. Erano una critica serrata, dolente e vissuta del socialismo reale, la radiografia di quella temperie politica. Come si evince dalle lettere scritte a Havel, Sacharov, Solzenicin, Brodski, Kundera, per citare solo alcuni dei suoi interlocutori; in quelle righe vi erano chiarimenti ma anche appoggio agli intellettuali dell’Est perseguitati dai regimi totalitari.
MATVEJEVIC CI TENEVA a
dirsi jugoslavo (era figlio di padre russo e di madre croata bosniaca) e
soffriva per la «balcanizzazione» del suo paese. Nella guerra cui
abbiamo assistito, non parteggiava per nessuno anche se riconosceva la
maggiore tragedia subita dai musulmani. Nei Signori della guerra metteva
insieme i tre «distruttori»: Milosevic, Tudjman e Izetbegovic, eppure
non tralasciava neanche le influenze esterne e del Vaticano. Come
chiedeva di non parlare sempre di «quanti» clandestini sono approdati e
«quanti» devono andarsene ma di gettare uno sguardo anche sui loro
«fagotti», sapere cosa portano da quei paesi da dove sono stati
costretti ad andarsene.
LA SITUAZIONE ATTUALE
dell’Europa (si identificava alla fine come intellettuale europeo) lo
faceva sentire sconfitto. Ormai, diceva, l’identità è precipitato nella
«particolarità», un particolarismo – inteso come valore – molto dannoso.
«Anche il cannibalismo rappresenta una particolarità ma non per questo è
un valore! Nei paesi dell’Est dal socialismo di Stato si è passati alla
democratura, una democrazia solo di nome mentre l’Europa ormai si sta
jugoslavizzando. Il Mediterraneo che doveva diventare un ponte ormai è
un mare di morti. L’Unione Europea non ha creato l’Europa unita. E
dappertutto si erigono i muri a difesa delle nostre mere nazionalità. Il
nazionalismo ha vinto ovunque: in Ungheria come in Bulgaria, in Polonia
come in Romania. Molti ancora non si rendono conto. Un po’ come ballare
sul Titanic con l’iceberg in agguato che non vogliamo vedere», scrive
ne La storia non è una merce di scambio.
«Sono nato in un paese senza frontiere e poi le frontiere si sono costruite» diceva Predrag Matvejevic. Speriamo che non se ne sollevino molte altre.
«Sono nato in un paese senza frontiere e poi le frontiere si sono costruite» diceva Predrag Matvejevic. Speriamo che non se ne sollevino molte altre.
[Dunja Badnjevic 03/02/2017]
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