È stato bello trovarci per parlare dei romanzi di
Jane Austen e di quello che significano per noi. Purtroppo per il gruppo, è
stato necessario anche subire la lezioncina che qui riporto. Ho letto molte
cose interessanti su Austen in questo periodo, ma anche molte cose superficiali
e attribuzioni un po’ troppo pop, così non ho potuto trattenermi dal dire la mia... Quindi,
in questo anno di celebrazioni di Jane Austen, spesso anche molto stucchevoli,
va detto chiaramente che Austen non è nessuna delle versioni cinematografiche e
televisive dei suoi libri. Ci sono dei tentativi discreti, ma niente si
avvicina veramente agli originali. I motivi sono piuttosto semplici da
identificare: la caratterizzazione, lo stile e l’intensità.
Virginia Woolf spiega questa cosa molto bene: apparentemente non succede niente di
particolare, non c’è tragedia, non c’è eroismo. Vediamo un ballo in una
cittadina di campagna, persone che si incontrano e scambiano qualche parola.
Eppure, per qualche ragione, la scena diventa importante, solenne, perché
Austen è una maestra nel descrivere e produrre emozioni molto più profonde di
quanto non appaia in superficie, fornisce a chi legge qualcosa che si espande
nella mente del lettore e dona persistenza alle scene apparentemente più
frivole.
Questa cosa funziona perché la sua
scrittura è rivoluzionaria, per i suoi tempi, ma anche per i nostri: abbandona
i tradizionali narratori in prima o terza persona, e perfeziona lo stile
indiretto libero, che apre le porte ai romanzieri moderni, al monologo interiore
e al flusso di coscienza. Insomma, apre le porte alla complessità,
concetto non molto popolare tra scrittori e lettori contemporanei (ritengo che
la responsabilità sia principalmente di chi scrive: se non si fornisce
materiale complesso, il lettore si impigrisce e si abitua alla banalità.)
I suoi libri, invece, ti danno
modo di riflettere. Per esempio, se fate attenzione agli spazi descritti, non sono mai
veramente descritti. Non descrive le stanze, i vestiti, le carrozze, ma quello
che i personaggi pensano di queste cose, rendendoli vivi nello stesso spazio
contemporaneamente. Però i momenti topici e -soprattutto- la soluzione delle
storie non arrivano quasi mai in spazi chiusi, ma all’aperto, durante lunghe
passeggiate. È questo il Romanticismo di Jane Austen: non la storia d’amore,
anche se sentimenti ed emozioni in senso lato sono importanti, ma il rapporto
tra le sue eroine e la natura.
Il soggetto di questi libri è il vivere con gli altri, tutte le protagoniste
stanno imparando a vivere con gli altri, allo stesso tempo cercando di rimanere
se stesse. Il finale è sempre il matrimonio perché qui finisce la maturazione
delle protagoniste. Le eroine di questi romanzi sono spesso davvero stoiche,
soffrono in silenzio pensando di non avere più speranze di felicità. Le storie,
infatti, non riguardano solo la ricerca della felicità, ma l’accettazione che
il lieto fine può non essere possibile per te. Ma non c’è autocommiserazione,
c’è l’idea che la vita è un processo di adattamento costante alle sfide che si
incontrano, è un processo di accettazione e di apprendimento dai propri errori.
of loving longest, when existence or when hope is gone.
Un’altra cosa da sottolineare è che Austen è un genio comico-satirico: Mrs Bennet, Mr Collins, sir Walter Elliott, c’è un’intera galleria di sciocchi -o peggio- per cui non c’è scusa né pietà. L’uso magistrale dell’ironia nei suoi vari gradi è una componente fondamentale dei suoi romanzi.
La STORIA sembra rimanere fuori da questi libri, concentrati sul microcosmo di
una fetta di società specifica, la piccola aristocrazia di campagna e sulle
relazioni sociali. In realtà, troverete riferimenti alle guerre, allo
schiavismo e allo sviluppo del capitalismo, alla condizione dei poveri e degli
zingari e, soprattutto, alla condizione delle donne ( è probabile che
Austen conoscesse il lavoro di Mary Wollstonecraft, A Vindication of the
Rights of Women). Queste ragazze appartengono a una classe sociale che non
permette loro alcuna accettabile alternativa al matrimonio: non possono avere
una professione, non possono ereditare, non possono aspirare a nessuna forma di
indipendenza che non sia il loro pensiero, la loro capacità di giudizio. Sono
intrappolate in un sistema che le soffoca, possono salvarsi solo se
riescono a trovare marito per amore. In Pride and Prejudice e in Sense
and Sensibility questo è particolarmente evidente: le eroine che non si
sottomettono a un matrimonio di convenienza saranno -forse- felici.
In Persuasion, Anne Elliott rifiuta di accettare l’autorità dei
libri per parlare di donne. Il discorso è su chi è più costante in amore, gli
uomini o le donne, e il suo interlocutore sostiene che i libri sono pieni di
esempi dell’incostanza femminile:
“If you please,” she says, “no reference
to examples in books. Men have had
every advantage of us in telling their own story. Education has been theirs in
so much higher a degree; the pen has been in their hands. I will not allow books to prove anything.”
La penna è sempre stata in mano agli uomini. Mancano pochi anni al romanzo proto-femminista per eccellenza, Jane Eyre, di Charlotte Brontë.
Si parla spesso di libri nei romanzi di Jane Austen. La lettura è un
elemento importante in tutti quanti. Ci viene spesso detto cosa stanno leggendo
i personaggi e perché questo è importante. Le protagoniste giudicano gli uomini
che sperano di sposare in base a quello che leggono (e come). In Persuasion.
Anne riesce finalmente a conversare con piacere quando può parlare di libri con
qualcuno che ne capisce.
Un’altra caratteristica importante dei libri di Jane Austen è che si tratta
di comfort reading: il che non significa che si tratta di lettura
leggera per non pensare ad altro, anzi! Durante la prima Guerra Mondiale
c’erano dei veri e propri gruppi di lettura di Austenites nelle trincee
inglesi, e i romanzi venivano prescritti ai soldati in recupero dai casi più
gravi di shell shock; nel ‘43 Winston Churchill ammalato trovava calma e
consolazione facendosi leggere Pride and Prejudice da sua figlia, e per
venire a tempi più recenti, durante la pandemia le vendite dei romanzi di Jane
Austen sono salite del 20% sia in USA che in UK -non ho dati su di noi.
Funziona così: quando leggi Austen con attenzione, trovi consolazioni inaspettate. Al di sotto delle preoccupazioni relative alle storie d’amore, c’è una specie di strato d’acciaio e c’è una celebrazione della resilienza che può davvero ispirare il lettore a resistere nei momenti difficili. Per esempio, Austen è molto precisa quando scrive di soldi: sapeva bene cos’è l’incertezza economica, e lo stesso vale per le sue eroine. E poi ci sono tante altre situazioni: la perdita di una persona cara e/o della propria casa, la frammentazione della vita familiare (e i primi accenni a famiglie disfunzionali), il senso di smarrimento quando sei in un posto che non senti tuo, la sensazione di essere intrappolata in una vita che non hai scelto: sono tutte esperienze vissute dalle sue protagoniste (e anche dalla stessa scrittrice), esperienze che chiunque può doversi trovare ad affrontare. Identificarsi nello stress psicologico dei personaggi, in questo essere costantemente sotto pressione, può aiutare chi sta attraversando un momento difficile: perché, se ce la fanno Elizabeth, Elinor e Anne, posso farcela anch’io.
Posso testimoniare che davvero funziona, per esperienza personale. Sono profondamente convinta che leggere Austen mi abbia aiutata a mantenere la sanità mentale nei momenti più difficili della mia vita. Poi ci sono stati altri autori, altri libri, ma il primo intervento sono stati i suoi romanzi. Un vero e proprio Pronto Soccorso. Il potere curativo dei libri di Jane Austen sta anche nel ritmo delle frasi: ti costringe a rallentare e a riflettere. Ti conforta e ti sfida allo stesso tempo, affrontando gli aspetti bui della vita, ma senza abbandonare il tocco lieve e l’ironia, assolutamente necessari nei momenti difficili.
Il mio romanzo preferito, insieme con Pride and Prejudice - e per ragioni molto diverse- è Persuasion (come si sarà notato dalle citazioni). Pride and Prejudice è il più brillante, con la trama più perfetta in assoluto, e i dialoghi più scoppiettanti. Persuasion è il più profondo, con la protagonista più matura, con la satira più impietosa, un’anticipazione di quello che Austen avrebbe potuto scrivere poi, se non fosse morta così giovane (questa, almeno, è la teoria di Virginia Woolf). Anne parla relativamente poco nel libro, vediamo per lo più i suoi pensieri, e sono pensieri di perdita. Quando parla, sembra parlare con se stessa, anche perché la stragrande maggioranza delle persone che la circondano non sono assolutamente in grado di capirla. È un personaggio di ispirazione shakespiriana: la conversazione decisiva alla White Hart Inn ricalca il dialogo tra Viola e il Duca in Twelfth Night.
Un consiglio di lettura per chi non ha ancora approfondito Austen, o non è stato
catturato dal suo lavoro: torniamo al discorso del ritmo di lettura. Leggete
lentamente e rileggete: a volte il ritmo della trama è trascinante, ti
viene il raptus di leggere rapidamente per vedere se l’eroina riesce a
catturare l’eroe. La risposta è sì, si sposano, ma non è quello l’importante.
Quello che importa è il come e il perché. Per questo puoi leggere e rileggere
questi romanzi all’infinito. Le eroine di Austen fanno proprio così, rileggono
e ripensano a quello che è stato fatto e detto. E così imparano. In Pride
and Prejudice, la seconda parte riconsidera, ricostruisce e accresce gli
avvenimenti della prima. Questo permette ai personaggi di riformulare i propri
pensieri e opinioni, e di recuperare la proporzione delle cose. Per Austen la proporzione è un fattore sia stilistico, formale, che
morale.
Se leggete lentamente, potete interrompervi in qualsiasi momento: la completezza di ogni singola frase vi lascerà comunque con qualcosa su cui riflettere.
Per concludere, ho ritrovato una citazione divertente ma significativa
che definisce una volta per tutte il valore letterario di Austen. Un filosofo
britannico, Gilbert Ryle, un filosofo del linguaggio della generazione
influenzata da Wittgenstein, alla domanda se leggesse mai qualche romanzo oltre
a libri di filosofia rispose:
“Naturalmente, li leggo tutti e sei ogni
anno”
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