domenica 18 febbraio 2018

Quello che rimane, Paula Fox

Caseggiati popolari degradati, clochard che barcollano tra l’immondizia e gli appartamenti degli spacciatori in quello che sembra «un grande mare grigio di scorie»: per Sophia e Otto Bentwood, una coppia di borghesi esuli da Manhattan, la vita a Brooklyn all’inizio degli anni Settanta offre un punto di vista privilegiato sui cambiamenti che stanno trasformando la città. Agenti immobiliari e speculatori hanno iniziato a cacciare i vecchi abitanti, e sono mondi diversi quelli che si fissano dalle finestre a pochi metri di distanza.
Pubblicato per la prima volta nel 1970, Quello che rimane (traduzione di Alessandro Cogolo, Fazi, pp. 206, euro16,50) era passato inosservato, e non è sorprendente: la scrittura di Fox è meticolosa nella ricostruzione di ambienti e sonda l’interiorità dei personaggi con un’intensità e un rigore lontani dalla leggerezza ironica della narrativa postmoderna, che in quegli anni conosceva una delle sue fasi più entusiasmanti.
Quello che rimane descrive, il weekend in cui il matrimonio tra Sophia e Otto viene messo a dura prova da un evento in apparenza minimo: il morso di un gatto randagio accarezzato in modo incauto dalla donna. Segue lo sbandamento innescato dalla scoperta di un’imprevista fragilità, la rabbia per l’ingiustizia, il timore del contagio, il sospetto di non essere in fondo innocenti quanto si vorrebbe: le emozioni espresse e quelle ignorate si intrecciano in un crescendo di tensione che scava un abisso tra i coniugi. La stessa tensione contrappone Sophia e Otto, insieme questa volta, al mondo che cambia intorno a loro. I figli dei loro amici sono diventati hippies, vestono e parlano in modi che loro non capiscono, così che, da compiaciuti esponenti della cultura progressista liberal del dopoguerra – Sophie ha lavorato come traduttrice, Otto è avvocato – i due scoprono a cinquant’anni di impersonare una generazione in stallo, incapace di abbracciare i nuovi ideali e senza direzione.
I Bentwood sono coetaenei della loro autrice: Paula Fox, nata nel 1923, negli anni Settanta era nota soprattutto come autrice di libri per l’infanzia; tutto cambiò quando venne salutata come maestra del romanzo americano da due degli scrittori più influenti di fine Novecento: Jonathan Franzen, che in occasione della ristampa americana del romanzo, lo descrisse come «superiore» a qualsiasi opera di Philip Roth o Saul Bellow. E da David Foster Wallace, che lo inserì come lettura obbligatoria nei suoi corsi, lodando la serietà e l’ostinazione con cui Paula Fox ha ritratto le torsioni dell’interiorità.
[Valeria Gennero 18/02/2018]

Nessun commento:

Commenti

il 12/08 SR ha commentato Non credo che D'Avenia possa far parte del nostro blog. Certo i suoi libri sono best-sellers tra gli adolescenti, e probabilmente hanno il merito di avviare qualche giovane alla lettura, ma la banalità delle situazioni e del linguaggio non permettono di considerare questi testi letteratura. Diciamo che sono testi "di servizio", nella migliore delle ipotesi. su Prossimamente
il 14/05 SR ha commentato Purtroppo J.K.J. non sembra più funzionare con le ultime generazioni: un tentativo di leggere a scuola Three Men In a Boat è finito miseramente in noia. I ragazzi non capivano cosa c'era da ridere e io non capivo perché non capivano. Tristissimo. Jerome per me è finito in quell'armadio dove tengo gli autori speciali che voglio proteggere dagli studenti... su Jerome K. Jerome, fare ridere l’uomo moderno, spaventato
il 29/02 Ida ha commentato A proposito di classifiche: "Oggi se vai al cinema devi entrare a un’ora fissa, quando il film incomincia, e appena incomincia qualcuno ti prende per così dire per mano e ti dice cosa succede. Ai miei tempi si poteva entrare al cinema a ogni momento, voglio dire anche a metà dello spettacolo, si arrivava mentre stavano succedendo alcune cose e si cercava di capire che cosa era accaduto prima (poi, quando il film ricominciava dall’inizio, si vedeva se si era capito tutto bene - a parte il fatto che se il film ci era piaciuto si poteva restare e rivedere anche quello che si era già visto). Ecco, la vita è come un film dei tempi miei. Noi entriamo nella vita quando molte cose sono già successe, da centinaia di migliaia di anni, ed è importante apprendere quello che è accaduto prima che noi nascessimo; serve per capire meglio perché oggi succedono molte cose nuove." Anch'io,come U.ECO sono andata al cinema nel modo ricordato e quindi io amo ricordare e vorrei tanto poter fare liste di su Chi siamo
il 28/02 Ida ha commentato Grazie Roberta per aver riaperto il blog.Trovo che è un modo per uscire dalla solitudine delle letture personali.Scrivere e leggere accanto, trovo che è un bel modo per parlarci e parlarmi. su Chi siamo