È vero che i libri di racconti non
si scelgono di sovente, a meno che non si tratti di una autrice o di un
autore che si siano distinti per la loro abilità e allora può capitare
addirittura di preferire un’antologia a un romanzo, o di rimpiangere
quegli esordi in cui l’impegno per scrivere un brano perfetto copriva
esattamente la misura di qualche pagina, con risultati eccellenti. Nella
prefazione al volumetto di Maurizio Valtieri, Confini di pelle
(Edizioni Croce, pp. 121, euro 15) Antonio Veneziani sottolinea la
tendenza a considerare il racconto secondario rispetto alla forma lunga,
concludendo invece su quanto proprio la raccolta di Maurizio Valtieri
smentisca i pregiudizi e sia un’opera degna di essere letta per le
ragioni più giuste: la qualità della lingua, la capacità narrativa. È
utile, però, non mettere da parte la forma, utilizzarla come fattore
d’analisi principale: una specificità che si costruisce anche a partire
dal fatto che le storie e i personaggi di questo libro durano poche
pagine e poi cambiano, radicalmente.
GLI OTTO RACCONTI di cui si compone Confini di pelle
fanno risaltare, come in un bassorilievo, alcuni tratti della
condizione umana: quelli che stanno dalla parte del nero, la metà mai
esatta dello yin. Proprio per la eco potente della forma breve che crea
un testo in cui come in una stanza piccola tutto ha più risonanza, si
prova profonda inquietudine nel racconto Christmas Box, leggendo il
dialogo fra la voce e lo schizofrenico, fra la parte rimossa che qui è
donna e quella conscia, rappresentata da un personaggio maschile, un
uomo sposato. La disabilità mentale torna, seppur di diversa natura, ne
Il gradino in cui l’autore sa colpire a fondo, raccontando senza
sbiancamenti appunto, l’insensatezza della violenza che conduce al
carcere e che lì dentro si alimenta e di nuovo si amplifica, per le mura
strette. Quasi come per ricordare a chi legge l’esistenza permanente
del buio, del minuscolo come dell’imprevisto, Valtieri tratteggia
l’incontro di un padre di famiglia «regolare» e della donna che lavora
per strada e a cui tocca occuparsi delle sue pericolose devianze.
Il desiderio, filo conduttore che sembra
animare la raccolta, mostra come la vita umana si svolga sempre nel
perseguire di questa alternanza fra la sfortuna e la meraviglia, la
disperazione e il successo, il vano e il serioso. Grazie a questa
intersezione, spesso dicotomica eppure costantemente implicata, Valtieri
racconta bene delle cose di cui di norma si sa solo parlare: gli attimi
(e i corpi che annegano) di una famiglia, di un padre a cui si
addormentano le braccia, che è partito profugo dalla Siria, dove fu un
ragazzo agiato, che andava in piscina. Particolarmente riuscito il
parallelismo fra una giovane musicista vittima di violenza e una nota
musicale perfetta: unico racconto del libro in cui la penna dell’autore
si stacca dalla materia e davvero volteggia per accompagnare questo
suono perfetto e umanizzato alla ricerca di un senso della bellezza e
della giustizia che pare non esistere più. A volte anche la ricerca
della verità non basta per tessere il reale, è necessario saperlo
immaginare.
[Laura Marzi 16/02/2018]
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