Non è solo la Francia ospite d’onore alla Fiera internazionale
del libro di Francoforte, ma più in generale il mondo della francofonia,
dall’Africa ai Caraibi, passando per il Maghreb. L’edizione di
quest’anno dedica ampio spazio a scrittori di lingua francese il cui
percorso personale e artistico si confronta con il fenomeno sempre più
attuale e globale della migrazione. È il caso del congolese Alain
Mabanckou, nato nel 1966 a Pointe-Noire, studente a Parigi negli anni
Ottanta e oggi professore alla Ucla (dove insegna Letterature
francofone), acclamato autore di una decina di romanzi e di altrettanti
saggi.
NELLE SUE OPERE, popolate da nomadi e migranti, Mabanckou fa sfoggio di una straordinaria creatività linguistica e letteraria, giocando su pastiche e citazioni letterarie, o ancora facendo uso di un’oralità esuberante e grottesca, come nel celebre Verre cassé (Pezzi di Vetro, 66thand2nd, 2015), volutamente sgrammaticato e privo di punteggiatura. L’originalità dei suoi romanzi e l’uso singolare della lingua francese, fanno di Mabanckou uno degli autori più apprezzati del panorama contemporaneo: è stato, fra l’altro, il primo autore africano a ricoprire una cattedra al Collège de France, nell’anno accademico 2015-2016.
ALL’INSEGNA delle migrazioni anche il percorso di un altro invitato alla Buchmesse, il gibutiano Abdourahman A. Waberi, partito dal corno d’Africa per arrivare, dopo un lungo soggiorno in Francia, a Washington, dove insegna Letterature francofone e scrittura creativa alla George Washington University. Per definirsi, e definire gli scrittori della sua generazione, Waberi ha inventato il concetto di «figli della postcolonia», a indicare quegli autori che non hanno vissuto direttamente il periodo coloniale e le cui preoccupazioni sono molto diverse da quelle dei predecessori letterari.
Tra le firme del panorama francofono internazionale, parteciperà alla Fiera di Francoforte anche Dany Laferrière, autore haitiano emigrato in Québec, la cui recente elezione all’Académie française testimonia l’interesse crescente per il mondo francofono extra-europeo da parte delle istituzioni culturali francesi. Laferrière è noto per i suoi romanzi dal sapore urbano, in cui s’incrociano i destini di personaggi migranti dalle avventure picaresche, a tratti drammatiche, a tratti divertenti. Tra gli scrittori americani francofoni figura anche l’antillano Patrick Chamoiseau, autore di numerosi romanzi che raccontano i Caraibi come specchio del métissage globale, in una sofisticata tessitura linguistica ricca di giochi, immagini e invenzioni basati sul creolo della Martinica.
NON MANCANO gli autori di origine maghrebina, da sempre molto presenti nel panorama letterario francese: ci saranno volti noti – come quello di Tahar Ben Jelloun, prolifico autore marocchino emigrato a Parigi – e meno conosciuti, come la giovane Leïla Slimani, la cui seconda prova narrativa Chanson douce (Ninna nanna, Rizzoli), narra il lato oscuro della maternità attraverso il racconto di un infanticidio. Interessante sarà anche seguire Kaouther Adimi, che s’inserisce nella linea consolidata degli autori francofoni di origine algerina raccontando la vita all’interno di un vecchio palazzo nel cuore di Algeri in un romanzo fuori dagli schemi, L’envers des autres (2011), tradotto quest’anno in italiano (Le ballerine di papicha, Il Sirente).
FRA GLI ESORDI eccellenti, quello della scrittrice di origine iraniana Négar Djavadi, autrice di un romanzo pluripremiato, Désorientale (Disorientale, e/o), dove in un raffinato intreccio mescola il passato dell’Iran al presente della Francia, affrontando in questa saga famigliare il complesso tema dell’identità e dell’integrazione delle «seconde generazioni», spesso vittime del ritorno di quei fondamentalismi che negli ultimi tempi si sono riaffacciati con prepotenza sulla scena politica e sociale francese.
Ad arricchire il romanzo di Djavadi contribuisce la riflessione sull’identità di genere e sulla procreazione assistita. Un programma di grande eterogeneità e ricchezza, dunque, quello che la Buchmesse riserva alla Francia contemporanea multietnica e alla comunità francofona internazionale in continua evoluzione.
[Ilaria Vitali 11/10/20.17]
NELLE SUE OPERE, popolate da nomadi e migranti, Mabanckou fa sfoggio di una straordinaria creatività linguistica e letteraria, giocando su pastiche e citazioni letterarie, o ancora facendo uso di un’oralità esuberante e grottesca, come nel celebre Verre cassé (Pezzi di Vetro, 66thand2nd, 2015), volutamente sgrammaticato e privo di punteggiatura. L’originalità dei suoi romanzi e l’uso singolare della lingua francese, fanno di Mabanckou uno degli autori più apprezzati del panorama contemporaneo: è stato, fra l’altro, il primo autore africano a ricoprire una cattedra al Collège de France, nell’anno accademico 2015-2016.
ALL’INSEGNA delle migrazioni anche il percorso di un altro invitato alla Buchmesse, il gibutiano Abdourahman A. Waberi, partito dal corno d’Africa per arrivare, dopo un lungo soggiorno in Francia, a Washington, dove insegna Letterature francofone e scrittura creativa alla George Washington University. Per definirsi, e definire gli scrittori della sua generazione, Waberi ha inventato il concetto di «figli della postcolonia», a indicare quegli autori che non hanno vissuto direttamente il periodo coloniale e le cui preoccupazioni sono molto diverse da quelle dei predecessori letterari.
Tra le firme del panorama francofono internazionale, parteciperà alla Fiera di Francoforte anche Dany Laferrière, autore haitiano emigrato in Québec, la cui recente elezione all’Académie française testimonia l’interesse crescente per il mondo francofono extra-europeo da parte delle istituzioni culturali francesi. Laferrière è noto per i suoi romanzi dal sapore urbano, in cui s’incrociano i destini di personaggi migranti dalle avventure picaresche, a tratti drammatiche, a tratti divertenti. Tra gli scrittori americani francofoni figura anche l’antillano Patrick Chamoiseau, autore di numerosi romanzi che raccontano i Caraibi come specchio del métissage globale, in una sofisticata tessitura linguistica ricca di giochi, immagini e invenzioni basati sul creolo della Martinica.
NON MANCANO gli autori di origine maghrebina, da sempre molto presenti nel panorama letterario francese: ci saranno volti noti – come quello di Tahar Ben Jelloun, prolifico autore marocchino emigrato a Parigi – e meno conosciuti, come la giovane Leïla Slimani, la cui seconda prova narrativa Chanson douce (Ninna nanna, Rizzoli), narra il lato oscuro della maternità attraverso il racconto di un infanticidio. Interessante sarà anche seguire Kaouther Adimi, che s’inserisce nella linea consolidata degli autori francofoni di origine algerina raccontando la vita all’interno di un vecchio palazzo nel cuore di Algeri in un romanzo fuori dagli schemi, L’envers des autres (2011), tradotto quest’anno in italiano (Le ballerine di papicha, Il Sirente).
FRA GLI ESORDI eccellenti, quello della scrittrice di origine iraniana Négar Djavadi, autrice di un romanzo pluripremiato, Désorientale (Disorientale, e/o), dove in un raffinato intreccio mescola il passato dell’Iran al presente della Francia, affrontando in questa saga famigliare il complesso tema dell’identità e dell’integrazione delle «seconde generazioni», spesso vittime del ritorno di quei fondamentalismi che negli ultimi tempi si sono riaffacciati con prepotenza sulla scena politica e sociale francese.
Ad arricchire il romanzo di Djavadi contribuisce la riflessione sull’identità di genere e sulla procreazione assistita. Un programma di grande eterogeneità e ricchezza, dunque, quello che la Buchmesse riserva alla Francia contemporanea multietnica e alla comunità francofona internazionale in continua evoluzione.
[Ilaria Vitali 11/10/20.17]
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