E’ opinione diffusa che il boom della letteratura fantastica
risalga all’inizio dell’Ottocento in concomitanza con l’affermazione
delle estetiche romantiche in luogo del razionalismo settecentesco, e
con la conseguente rivalutazione della qualità soggettiva e visionaria
del testo letterario e di un folklore popolato di miti e di fiabe.
La tradizione europea tuttavia conta diversi precursori, e il Giappone non è da meno, soprattutto se pensiamo al fantastico non come a un genere letterario ma come a un modo, a una categoria fluida e meno codificata, che – come scrisse Remo Ceserani – «si caratterizza per un ventaglio abbastanza ampio di procedimenti utilizzati e per un buon numero di temi trattati, nessuno forse esclusivo e peculiare, molti diffusi anche in altri modi e generi letterari».
Il periodo pre-bellico
A buon diritto rientrano dunque nei primi esempi di fantastico giapponese l’episodio delle discesa agli Inferi di Izanagi alla ricerca della sposa perduta nel Kojiki (712 d.C.) e i capitoli del Genji monogatari (1008 d. C.) che vedono protagonista Rokujo, l’incarnazione del potere distruttivo detenuto dalla gelosia femminile, un potere tale da trasformarla in spirito vivente, ossessionato dal desiderio di vendetta nei confronti delle rivali. L’elenco potrebbe continuare a lungo, dalla ricca tradizione del filone popolare di epoca Edo, dove si raccontano viaggi immaginari che disegnano una incredibile e dettagliata cartografia fantastica, fin quasi alle soglie del tramonto della cultura Tokugawa, con i fantasmi dei racconti per le notti di pioggia e di luna di Ueda Akinari.
L’ingresso del paese nella modernità, segnato alla metà del XIX secolo dal traumatico impatto con l’Occidente colonialista, determina – come nel ’700 europeo – la vittoria del razionalismo illuminista sul potere dell’immaginazione, percepita come oscura e pericolosa. Eppure, solo pochi decenni dopo, la forza della fantasia riemerge nella nascente letteratura giapponese moderna, tramite le sue voci più innovative, nelle forme più sperimentali. È questa la fase, nella quale si va plasmando il fantastico novecentesco, di cui offre un saggio Lo scudo dell’illusione Racconti fantastici della letteratura giapponese moderna, il volume di racconti a cura di Massimo Soumaré (Atmosphere edizioni) attraverso la proposta di alcuni autori fra i più significativi del periodo pre-bellico, che si sono cimentati con il modo fantastico nelle forme e nei generi più svariati, giocando con la libera combinazione di motivi tratti dalla tradizione autoctona e dalla cultura d’oltreoceano, conosciuta per esperienza diretta o grazie all’imponente lavoro di traduzione svolto dai primi intellettuali di epoca Meiji.
Il fantastico rappresenta una sorta di rivincita dell’irrazionale e del perturbante sulla esaltazione della ragione e di una sopravvalutata oggettività scientifica. Dà voce alle inquietudini e alle ansie della generazione che alla fine dell’Ottocento si era trovata a correre nel giro di pochi anni il cammino percorso dall’Occidente nell’arco di due secoli. Così la interpreta Natsume Soseki, icona del Giappone moderno e non a caso autore di «La Torre di Londra», il primo dei racconti proposti nello Scudo dell’illusione. Ambientato a Londra, nel periodo che lo scrittore vi trascorse ai primi del Novecento, lascia trasparire una insolita influenza del romanticismo europeo ma, soprattutto, al di là delle ingenuità tipiche di un esordio sperimenta alcune delle varianti tipiche del fantastico moderno: lo smarrimento dell’identità, le distorsioni spazio-temporali, l’uso anche in chiave grottesca e satirico-parodistica del mito e della leggenda. E soprattutto l’esplorazione del potenziale narrativo dell’atto mancato, del non detto: non sono tanto i fantasmi dei personaggi storici che nella Torre di Londra hanno perso la vita a determinare il fantastico, quanto l’impatto sensoriale, emotivo e anche intellettuale sul narratore/autore.
Italo Calvino scrisse, in Una pietra sopra, che «nel Novecento è un uso intellettuale (e non più emozionale) del fantastico che s’impone: come gioco, ironia, ammicco, e anche come mediazione sugli incubi o i desideri nascosti dell’uomo contemporaneo». È questa è la cifra del fantastico moderno, che ritroviamo nel lirismo malinconico delle short short story di Yamamura Bocho, come nelle atmosfere rarefatte delle storie delicate di Miyazawa Kenji, che pure non esitano a confrontarsi con temi forti, religiosi e/o sociali. Unno Joza, considerato il padre della fantascienza nipponica, ci introduce invece a un altro aspetto, quello della visionarietà: i fantasmi e le presenze sovrannaturali vengono sostituiti da robot nati da un progresso scientifico affascinante ma fin da subito incontrollabile e spaventoso, che già prefigura un futuro distopico.
Uno spazio straniero
A chiudere il cerchio, Dazai Osamu che in «Corri Melos» ripropone come spazio privilegiato dell’immaginazione un ambiente spazio-temporale «straniero», rappresentato nel racconto dalla Siracusa ellenica. Qui il fantastico si conferma come il modo letterario che più di ogni altro consente uno spazio di espressione alle alternative alla quotidianità che la letteratura porta con sé, permettendo di «leggere il reale su molteplici livelli» – ha detto Calvino, in Mondo scritto e mondo non scritto – e in molteplici linguaggi simultaneamente, riuscendo a includere i coni di luce e le zone d’ombra dell’incontro tra il Giappone e l’Europa.
[Paola Scrolavezza 24 /09/2017]
La tradizione europea tuttavia conta diversi precursori, e il Giappone non è da meno, soprattutto se pensiamo al fantastico non come a un genere letterario ma come a un modo, a una categoria fluida e meno codificata, che – come scrisse Remo Ceserani – «si caratterizza per un ventaglio abbastanza ampio di procedimenti utilizzati e per un buon numero di temi trattati, nessuno forse esclusivo e peculiare, molti diffusi anche in altri modi e generi letterari».
Il periodo pre-bellico
A buon diritto rientrano dunque nei primi esempi di fantastico giapponese l’episodio delle discesa agli Inferi di Izanagi alla ricerca della sposa perduta nel Kojiki (712 d.C.) e i capitoli del Genji monogatari (1008 d. C.) che vedono protagonista Rokujo, l’incarnazione del potere distruttivo detenuto dalla gelosia femminile, un potere tale da trasformarla in spirito vivente, ossessionato dal desiderio di vendetta nei confronti delle rivali. L’elenco potrebbe continuare a lungo, dalla ricca tradizione del filone popolare di epoca Edo, dove si raccontano viaggi immaginari che disegnano una incredibile e dettagliata cartografia fantastica, fin quasi alle soglie del tramonto della cultura Tokugawa, con i fantasmi dei racconti per le notti di pioggia e di luna di Ueda Akinari.
L’ingresso del paese nella modernità, segnato alla metà del XIX secolo dal traumatico impatto con l’Occidente colonialista, determina – come nel ’700 europeo – la vittoria del razionalismo illuminista sul potere dell’immaginazione, percepita come oscura e pericolosa. Eppure, solo pochi decenni dopo, la forza della fantasia riemerge nella nascente letteratura giapponese moderna, tramite le sue voci più innovative, nelle forme più sperimentali. È questa la fase, nella quale si va plasmando il fantastico novecentesco, di cui offre un saggio Lo scudo dell’illusione Racconti fantastici della letteratura giapponese moderna, il volume di racconti a cura di Massimo Soumaré (Atmosphere edizioni) attraverso la proposta di alcuni autori fra i più significativi del periodo pre-bellico, che si sono cimentati con il modo fantastico nelle forme e nei generi più svariati, giocando con la libera combinazione di motivi tratti dalla tradizione autoctona e dalla cultura d’oltreoceano, conosciuta per esperienza diretta o grazie all’imponente lavoro di traduzione svolto dai primi intellettuali di epoca Meiji.
Il fantastico rappresenta una sorta di rivincita dell’irrazionale e del perturbante sulla esaltazione della ragione e di una sopravvalutata oggettività scientifica. Dà voce alle inquietudini e alle ansie della generazione che alla fine dell’Ottocento si era trovata a correre nel giro di pochi anni il cammino percorso dall’Occidente nell’arco di due secoli. Così la interpreta Natsume Soseki, icona del Giappone moderno e non a caso autore di «La Torre di Londra», il primo dei racconti proposti nello Scudo dell’illusione. Ambientato a Londra, nel periodo che lo scrittore vi trascorse ai primi del Novecento, lascia trasparire una insolita influenza del romanticismo europeo ma, soprattutto, al di là delle ingenuità tipiche di un esordio sperimenta alcune delle varianti tipiche del fantastico moderno: lo smarrimento dell’identità, le distorsioni spazio-temporali, l’uso anche in chiave grottesca e satirico-parodistica del mito e della leggenda. E soprattutto l’esplorazione del potenziale narrativo dell’atto mancato, del non detto: non sono tanto i fantasmi dei personaggi storici che nella Torre di Londra hanno perso la vita a determinare il fantastico, quanto l’impatto sensoriale, emotivo e anche intellettuale sul narratore/autore.
Italo Calvino scrisse, in Una pietra sopra, che «nel Novecento è un uso intellettuale (e non più emozionale) del fantastico che s’impone: come gioco, ironia, ammicco, e anche come mediazione sugli incubi o i desideri nascosti dell’uomo contemporaneo». È questa è la cifra del fantastico moderno, che ritroviamo nel lirismo malinconico delle short short story di Yamamura Bocho, come nelle atmosfere rarefatte delle storie delicate di Miyazawa Kenji, che pure non esitano a confrontarsi con temi forti, religiosi e/o sociali. Unno Joza, considerato il padre della fantascienza nipponica, ci introduce invece a un altro aspetto, quello della visionarietà: i fantasmi e le presenze sovrannaturali vengono sostituiti da robot nati da un progresso scientifico affascinante ma fin da subito incontrollabile e spaventoso, che già prefigura un futuro distopico.
Uno spazio straniero
A chiudere il cerchio, Dazai Osamu che in «Corri Melos» ripropone come spazio privilegiato dell’immaginazione un ambiente spazio-temporale «straniero», rappresentato nel racconto dalla Siracusa ellenica. Qui il fantastico si conferma come il modo letterario che più di ogni altro consente uno spazio di espressione alle alternative alla quotidianità che la letteratura porta con sé, permettendo di «leggere il reale su molteplici livelli» – ha detto Calvino, in Mondo scritto e mondo non scritto – e in molteplici linguaggi simultaneamente, riuscendo a includere i coni di luce e le zone d’ombra dell’incontro tra il Giappone e l’Europa.
[Paola Scrolavezza 24 /09/2017]
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