Poeta, slam performer, editore, melomane. Nii Ayikwei Parkes si
destreggia tra una doppia cultura ghanese e inglese, un padre jazzista e
consulente industriale, che lo lasciava da bimbo solo sulle piazze dei
paesini rurali, dove ascoltava storie e racconti tradizionali.
Padroneggia quattro lingue, tra cui i dialetti Twi e Fante e l’inglese,
ma usa il pidgin (lingua vernacolare dell’Africa Occidentale) come
lingua a sé. L’humour è la caratteristica della sua scrittura acuta e
palpitante come un rap. Dopo aver preferito la scrittura (alle botte),
studiato scienze e girato in lungo e largo l’Inghilterra con le sue
performance di slam poetry, si mette alla prova con la finzione e Tail
of the Blue Bird, il suo primo romanzo, finalista al Commonwealth Book
Prize, uscirà a breve in Italia per Stampa Alternativa. L’abbiamo
incontrato nella primavera scorsa nel suo rifugio italiano, nello
splendido castello-residenza di Civitella Ranieri per artisti
internazionali, dove scrittori, scultori, pittori, poeti, e coreografi,
trovano il silenzio e la fantasia delle contaminazioni con gli altri per
creare.
Come e quando hai iniziato a scrivere?
Sono un sognatore, adoro le storie e raccontarle, in mezzo alla gente.
Sono cresciuto in Ghana, dove da bambino trascorrevo il tempo a giocare a
calcio, ma a differenza degli altri ragazzi, dopo la partita tornavo a
casa e leggevo fino al calare del sole. Sono cresciuto a calcio e
racconti. Avevo un carattere terribile, ero manesco, facevo di continuo a
pugni a scuola. Mio padre ha allora fatto un patto con me,
costringendomi a scrivere sui ragazzi che mi davano noia; se dopo averli
descritti, continuavo a voler litigare, allora avrebbe scelto la mia
parte. Ed è cosi che ho iniziato a scrivere! Ho scoperto che mi piaceva
di più scrivere che fare a botte. A dieci anni circa, ho fatto leggere
qualcosa a mio padre che mi ha detto: «è poesia»! Era la prima volta che
potevo nominare quello che combinavo.
Qual è stata la tua formazione in Ghana?
Durante le medie, un compagno di classe che usciva contemporaneamente
con tre ragazze, si era accorto che avevamo la stessa calligrafia, mi
chiese di scrivere bigliettini d’amore per le sue tresche. Man mano mi
sono messo a scriverne pure il contenuto, e in cambio di soldi sono
finito per scrivere le lettere d’amore dei miei coetani! Poi ho scritto
alcuni poesie per l’Università, durante un breve soggiorno Erasmus in
Francia, e a Manchester. Con la morte di mio padre, non sentivo più
nulla, scrivere mi rendeva vivo. Di ritorno in Ghana, ho iniziato a
lavorare come scienziato per una grande multinazionale, ma mi annoiavo,
mi perturbava la mancanza di etica, quindi dopo il lavoro scrivevo ore
per sentirmi meglio. Alcuni editori inglesi hanno risposto alle mie
prime poesie, ho deciso di emigrare in Gran Bretagna; lì ho svolto tutti
i mestieri per sopravvivere, poetry slam, numerose performance che mi
permettevano di andare in giro. Poi Courttia Newland mi chiese una
short-fiction e me la ha rimandata indietro completamente bocciata: per
sfida decisi di padroneggiare quel genere.
Il personaggio di Kayo in «Tail of the Blue Bird» sembra autobiografico.
Come vivi questa dualità tra cultura ghanese e cultura coloniale?
Non ho mai vissuto quel conflitto, che esiste in tanti paesi con un
passato coloniale e dove due culture vivono una accanto all’altra. Ho
avuto genitori educati al livello universitario, da sempre siamo stati
immersi in questa doppia cultura. Il personaggio di Kayo però
impersonifica il dilemma della mia generazione in Africa Occidentale,
che avendo conosciuto in primis il modello di educazione coloniale, ha
avuto problemi nell’incontro con la cultura tradizionale. Ma è un
conflitto interessante, se non scegli una parte o respingi l’altra, hai
una possibilità di maggiore compassione e empatia verso il mondo.
Cosa simbolizza la coda dell’uccello azzurro che la donna insegue all’inizio del tuo racconto?
Nasco come poeta e la mia scrittura è ricca di metafore. L’uccello
azzurro è un bee-eater un uccello che mangia le mosche, che consuma
quello che ferisce gli altri. La storia inizia con questa immagine di
una donna che insegue l’uccello. Senza di lui, non ci sarebbe la storia,
è l’eterna questione filosofica dell’origine. E poi è una piuma, blu
come l’inchiostro: ci sono tanti livelli di analogia con la scrittura.
Devo divertirmi io per primo mentre scrivo.
E chi è il vecchio Yao Poku, quel vecchio del paese che conosce le regole invisibili del mondo rurale?
Il vecchio Yao Poku rappresenta una verità nella verità. La storia del
paese è ispirata ad un fatto di cronaca, la scoperta alcuni anni fa di
una comunità indigena totalmente isolata in Amazzonia, poi annessa al
Brasile, pensavo a questi indigeni che di colpo sarebbero diventati
soggetti di un passato portoghese senza conoscere la propria storia. La
colonizzazione si diffondeva spesso solo in superficie, sulle coste e
non nell’interno dei paesi colonizzati. L’idea di essere parte di un
tutto senza veramente esserne parte, mi ha ispirato la storia del
villaggio di Sonokrom. Yao Poku è la voce di quel paese, che ha le
proprie regole, non rigetta il cambiamento ma l’imposizione
dall’esterno, come invece vogliono fare i poliziotti e la scientifica.
Con quale effetto voluto usi il Pidgin?
Per riflettere la città, le strade di Accra, rendere il suono della
città. Passiamo costantamente da una lingua all’altra, qualche volta
usiamo fino a quattro lingue diverse: il pidgin fa parte delle nostre
esistenze. Se scrivi romanzi e devi essere fedele alla realtà, o se ci
vuoi conoscere devi leggere pidgin. La scrittura poi è in primis musica,
guida la scelta delle parole; di sicuro la mia mente è diversa da
quella di uno educato a Oxford e che parla solo academic English!
Si sente un ritmo molto particolare nella tua scrittura, ascolti musica mentre scrivi?
Si sempre. Questi giorni mentre scrivo una storia ambientata su un’isola
nei Caraibi, ascolto rumba e salsa cubana. Per la mia prima fiction
Tail of a blue bird, ascoltavo il musicista Egya Koo Nimo, che suona la
chitarra tradizionale sopranominata «Palm wine guitar». Faccio anche
molto uso di immagini. Sul muro del mio studio campeggia la foto
inventata dell’isola imaginaria. Ho anche insegnato durante il mio
servizio militare in un paese del profondo Nord Ghana. Tutto quello che
evoca è riusato.
Cosa pensi della creolizzazione?
Succede, semplicemente, come nella vita. La lingua si trasforma
prendendo in prestito parole da altre lingue. Ho solo messo giù questa
lingua, il pidgin, che è molto vitale e evolve costantamente. Quando
torni in Ghana ci vuole sempre un momento di adattamento, perché nuove
parole sono comparse e le devi imparare. É fantastico, svela la
trasformazione costante. È gioia, la vita è breve, la gioia può essere
minuscola come scoprire una nuova parola.
Ti riconosci nella definizione di «Afropolitan» coniata da Taiye Selasi?
È un concetto interessante ma errato, anche se non ho alcuna forma di
rifiuto emotivo del concetto. Sottintenderebbe che se sei africano non
sei cosmopolita. In realtà l’Africa è cosmopolita dalle origini e ha il
suo proprio melting pot. Accra per esempio è una città di mercanti,
traders, somali, ucraini, cinesi, indiani, un mio antenato era persino
scozzese. Prima della colonizzazione potorghese e olandese la cultura
ashanti, regnava da una una costa all’altra fino al MedioOriente. Per me
quindi è superfluo aggiungere la parola «afro» a «cosmopolita» e se si
vuole limitare il cosmopolitismo all’Ovest è un loro problema. La mia
realtà è diversa. Sono cosmopolita non perché «emigrato» ma perché sono
di Accra!
Il razzismo è di ritorno al livello globale, cosa ne pensi?
È diffuso da politici che cercano capri espiatori. Dipende dalla idea
che uno si fa della vita, se pensi che la devi controllare. Poi c’è
un’escalation esasperata dovuta alla crisi economica. L’esito dipenderà
da quanti esprimeranno violenza o meno.
L’odierna gestione della crisi migratoria non rivela un subdolo neoloconialismo?
Si è tremendo. Ma la nostra discussione è possibile solo perché c’è
stato un colonialismo precedente gli accordi economici, come i Bank
loans, che costringono i paesi africani a negoziare. Ogni volta che
incontro migranti, mi dicono che vorrebbero migrare per cercare quello
di cui hanno bisogno e poi tornare a casa (come d’altronde altri Europei
che emigrano in Uk per lavoro). Ma se ostacoli i migranti africani e li
combatti durante il viaggio, gli fai perdere troppo, il prezzo pagato è
allora troppo alto, per tornare indietro con meno di quello che hanno
perso. Allora li costringi a rimanere in Europa, li intrappoli. Quei
politici contribuiscono alla stessa situazione che vorrebbero
combattere.
Come mai hai scelto la forma del giallo in «Tail of the blue bird»?
Nell’infanzia leggevo tanta pulp fiction, avventure, escapade, gang,
sex. Più avanti, ho letto tanti gialli. Volevo scegliere questa cornice
per rendere omaggio, a quel genere e alla mia città. Kayo non esisteva
all’inizio. Ho cercato di non fare annoiare il lettore. Il giallo dà la
struttura ma anche realismo su Accra, un senso di musica, cibo, ecc… io
amo divertirmi. Devo ridere. In arte, l’humour è sottostimato come una
delle qualità fra le forme artistiche. Mentre in realtà esso permette a
delle idee di viaggiare sotto nella corrente: l’humour per me è vitale.
Anche nella più cruda scena di morte, puoi scovarlo. Persino in un
funerale, dovresti cercarlo nonostante la perdita di una persona cara.
Se non ce l’hai nella vita, la depressione ti aspetta.
[Flore Murard Yovanovitch 31/12/2016]
Questo blog accoglie la nuova avventura di quelli di Sguardi d’Altrove, e il Reverendo Dogdson, con i suoi dubbi sulla realtà, si aggiunge al nostro olimpo di numi tutelari. Non dimentichiamo gli autori che più spesso ci hanno accompagnati nel viaggio di Sguardi d’Altrove, anzi, da loro ripartiamo. Quindi, un pensiero affettuoso e ammirato, in particolare, ad Alan Bennet a alla sua Sovrana Lettrice, mantenendo ben fermo il principio che ragguagliare non è leggere.
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Commenti
il 12/08 SR ha commentato Non credo che D'Avenia possa far parte del nostro blog. Certo i suoi libri sono best-sellers tra gli adolescenti, e probabilmente hanno il merito di avviare qualche giovane alla lettura, ma la banalità delle situazioni e del linguaggio non permettono di considerare questi testi letteratura. Diciamo che sono testi "di servizio", nella migliore delle ipotesi. su Prossimamente
il 28/02 Ida ha commentato Grazie Roberta per aver riaperto il blog.Trovo che è un modo per uscire dalla solitudine delle letture personali.Scrivere e leggere accanto, trovo che è un bel modo per parlarci e parlarmi. su Chi siamo
il 14/05 SR ha commentato Purtroppo J.K.J. non sembra più funzionare con le ultime generazioni: un tentativo di leggere a scuola Three Men In a Boat è finito miseramente in noia. I ragazzi non capivano cosa c'era da ridere e io non capivo perché non capivano. Tristissimo. Jerome per me è finito in quell'armadio dove tengo gli autori speciali che voglio proteggere dagli studenti... su Jerome K. Jerome, fare ridere l’uomo moderno, spaventato
il 29/02 Ida ha commentato A proposito di classifiche: "Oggi se vai al cinema devi entrare a un’ora fissa, quando il film incomincia, e appena incomincia qualcuno ti prende per così dire per mano e ti dice cosa succede. Ai miei tempi si poteva entrare al cinema a ogni momento, voglio dire anche a metà dello spettacolo, si arrivava mentre stavano succedendo alcune cose e si cercava di capire che cosa era accaduto prima (poi, quando il film ricominciava dall’inizio, si vedeva se si era capito tutto bene - a parte il fatto che se il film ci era piaciuto si poteva restare e rivedere anche quello che si era già visto). Ecco, la vita è come un film dei tempi miei. Noi entriamo nella vita quando molte cose sono già successe, da centinaia di migliaia di anni, ed è importante apprendere quello che è accaduto prima che noi nascessimo; serve per capire meglio perché oggi succedono molte cose nuove." Anch'io,come U.ECO sono andata al cinema nel modo ricordato e quindi io amo ricordare e vorrei tanto poter fare liste di su Chi siamoil 28/02 Ida ha commentato Grazie Roberta per aver riaperto il blog.Trovo che è un modo per uscire dalla solitudine delle letture personali.Scrivere e leggere accanto, trovo che è un bel modo per parlarci e parlarmi. su Chi siamo
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