Yasujiro Ozu (o Ozu Yasujiro) è fuori da ogni ragionevole dubbio uno dei
grandi maestri del cinema di tutti i tempi. Molti registi contemporanei
si sono ispirati al suo lavoro, o ne hanno sottolineato l’importanza
per la storia del cinema: ad esempio Paul Schrader che, come ricorda
Dario Tomasi nella sua bella e limpida prefazione al volume degli Scritti sul cinema
pubblicati da Donzelli (pp. XXIV-248, euro 26,00), è uno dei rari
registi a contribuire in modo sistematico alla teoria del cinema,
discutendo il lavoro di altri autori. Il volume degli scritti di Ozu
raccoglie articoli, interviste, lettere e testi di altra natura,
coprendo un periodo che va grosso modo dagli anni trenta agli anni
sessanta del secolo scorso.
Il fatto che l’opera di Ozu possa essere considerata un modello di
cinema comporta un paradosso, che può essere enunciato nella maniera
seguente: nel cinema i classici non sono modelli, e i modelli non sono
classici. Un regista – a patto di non limitarsi a fare film, ma volendo
mettere in pratica un’idea di cinema – tende a un certo grado di
consapevolezza del suo potere e dei suoi compiti, in rapporto con la
realtà o con il cinema che li ha preceduti, stando almeno a un celebre
adagio godardiano. Per questo autore la norma consolidata, il classico,
non sarà mai presa come modello da imitare. I modelli si cercano
altrove, e si cercano proprio per facilitare la trasgressione delle
norme. Fin qui niente di eccezionale: questo modo di intendere la
tensione dialettica tra classicità e anti-classicità fa parte della
nostra tradizione artistica e letteraria. È abbastanza ovvio pensare che
le opere d’arte «di genio», come direbbe Kant, rompano gli schemi
pregressi, aprendo nuovi orizzonti per gli artisti e per il pubblico.
Poi sono riassorbite, più o meno integralmente, in un canone.
Per il cinema le cose non stanno esattamente così. Leggere gli articoli,
i brevi saggi, le interviste e le lettere di Yasujiro Ozu, avendo nella
memoria magari qualche scena di un suo film, ci aiuta a capire perché.
Nel cinema ai modelli si torna sempre per rompere con una classicità che
ha un’identità ben precisa. È il cinema hollywoodiano, quello definito
appunto «classico» in contrapposizione con il cinema «moderno». È il
cinema del montaggio invisibile e della verosimiglianza assoluta.
L’affermazione forse più importante, a cui Ozu dedica ben due articoli, è
che violare le norme del montaggio, la sua «grammatica», è legittimo.
L’affermazione è tanto più interessante in quanto Ozu non ama
presentarsi come teorico. Preferisce presentarsi come un «artigiano» del
cinema: lo apprendiamo dall’introduzione degli eccellenti curatori,
Franco Picollo e Hiromi Yagi, i quali hanno approntato anche un apparato
critico impressionante, informandoci che tra l’altro il regista non
amava scrivere. Ozu si è formato nell’industria cinematografica
giapponese degli anni venti del secolo scorso. Non amava studiare da
ragazzo, mentre il cinema è stato per lui un’esperienza di liberazione.
Entra nella produzione cinematografica come aiuto-regista. Sarà un
diverbio alla mensa a convincere i dirigenti a proporgli di presentare
una sceneggiatura su cui fare un film suo. Il ragazzo ha carattere,
avranno forse pensato. I testi di Ozu sono anche un modo per scoprire
diversi aspetti del mondo del cinema giapponese di quegli anni – è
l’epoca del film muto – e dei decenni successivi.
I registi erano all’epoca suddivisi per generi narrativi ben definiti:
commedie sentimentali, film storici, drammi impegnati e così via. Se
realizzava film di un certo genere, un regista non poteva occuparsi
degli altri generi. Ozu usa l’immagine di un cuoco specializzato nella
preparazione di un unico piatto. Gli attori a volte vengono dalla
tradizione teatrale giapponese, ad esempio dal kabuki, a volte diventano
attori grazie al cinema. I registi sollecitano spesso una recitazione
enfatica; Ozu ricerca piuttosto la semplicità dell’espressione. Evita i
primi piani per rendere un determinato sentimento: altrimenti, scrive,
più aumenterà l’intensità del sentimento, più dovrò inquadrare un
dettaglio minuscolo del volto! Sa che il procedimento della
«illuminazione facciale» del kabuki è considerato spettacolare. Lui
preferisce puntare sulla sobrietà come cifra di naturalezza. Ozu ricorre
a un termine giapponese, tradotto di solito con «sensibilità estetica»,
che, come spiegano i curatori, rimanda alla capacità di cogliere con i
sensi la forma delle cose nella loro transitorietà. Una sensibilità
estetica che rinvia alla tensione non scioglibile tra immanenza e
trascendenza.
Dai testi di Ozu emerge l’immagine di un artigiano che forma la sua
squadra di collaboratori, che mantiene il più possibile invariata,
impara a dirigere gli attori e a riconoscerne le qualità e si
impadronisce dei trucchi del mestiere. Ma Ozu, tra ricordi e consigli da
‘maestro dell’arte’, fa un’affermazione dalla caratura teorica
notevole. Vale a dire che un buon regista può, forse deve, violare la
grammatica consolidata del montaggio. La grammatica del montaggio è
un’invenzione degli studios hollywoodiani. Non si tratta di puro
arbitrio: essa risponde a esigenze reali. Il problema è quando dalla
Hollywood di Griffith le norme transitano in un contesto culturale
diverso, ad esempio l’industria del cinema giapponese, e diventano un
codice. Infrangere le regole «grammaticali» del montaggio dev’essere un
modo di entrare nel merito della costruzione dell’immagine. Ozu porta un
esempio concreto, che rende ancora più pregnante la sua spiegazione.
Prendiamo la scena di un dialogo tra due personaggi. Se la prima
inquadratura riprende il personaggio A alla sinistra dell’immagine,
allora il personaggio B dovrà essere ripreso a destra nell’inquadratura
successiva. In questo modo si renderà visivamente l’idea di due persone
che parlano. Ozu ricorda di non aver seguito questa regola in molti suoi
film. La cosa gli è stata fatta notare, alcuni colleghi gli hanno detto
che all’inizio era un po’ spiazzante, ma poi ci si abituava e si
smetteva di farci caso: la visione scorreva naturalmente. Per Ozu è la
riprova che il suo stratagemma ha funzionato: è possibile educare la
percezione dello spettatore.
Il punto è che non si tratta di puro divertissement. Se Ozu ha violato
la grammatica del montaggio di un dialogo, ciò accade perché, come
scrive, sono regole che non tengono in alcun conto come è costruito lo
spazio di una camera in una casa tradizionale giapponese. È difficile
che in quello spazio due persone si trovino a parlare faccia a faccia,
magari in piedi o sedute su delle sedie, magari presso un tavolo, perché
sono spazi piuttosto piccoli, quasi senza mobilio. È dunque la forma
dell’ambiente, più che una grammatica astratta, a dover guidare la
visione del regista. Ecco tornare l’idea secondo cui il vero criterio
guida è una certa sensibilità per le cose, la capacità di coglierle in
modo insieme più autentico e nuovo grazie alla mediazione della macchina
da presa. Penso a una considerazione che Ozu affida a una delle lettere
dal fronte della guerra sino-giapponese. Durante un attacco il soldato
Ozu vede cadere i boccioli dei fiori accanto a lui, a causa delle
raffiche di spari. E immagina una sequenza in cui raccontare un episodio
di battaglia così: i rumori dell’artiglieria come controcanto a una
pioggia di petali. Ozu non cita mai Ejzenstejn. Ma quello immaginato da
Ozu per raccontare la sua esperienza di guerra ci pare un bell’esempio
di montaggio verticale.
[Dario Cecchi 2/10/2016]
Questo blog accoglie la nuova avventura di quelli di Sguardi d’Altrove, e il Reverendo Dogdson, con i suoi dubbi sulla realtà, si aggiunge al nostro olimpo di numi tutelari. Non dimentichiamo gli autori che più spesso ci hanno accompagnati nel viaggio di Sguardi d’Altrove, anzi, da loro ripartiamo. Quindi, un pensiero affettuoso e ammirato, in particolare, ad Alan Bennet a alla sua Sovrana Lettrice, mantenendo ben fermo il principio che ragguagliare non è leggere.
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Commenti
il 12/08 SR ha commentato Non credo che D'Avenia possa far parte del nostro blog. Certo i suoi libri sono best-sellers tra gli adolescenti, e probabilmente hanno il merito di avviare qualche giovane alla lettura, ma la banalità delle situazioni e del linguaggio non permettono di considerare questi testi letteratura. Diciamo che sono testi "di servizio", nella migliore delle ipotesi. su Prossimamente
il 28/02 Ida ha commentato Grazie Roberta per aver riaperto il blog.Trovo che è un modo per uscire dalla solitudine delle letture personali.Scrivere e leggere accanto, trovo che è un bel modo per parlarci e parlarmi. su Chi siamo
il 14/05 SR ha commentato Purtroppo J.K.J. non sembra più funzionare con le ultime generazioni: un tentativo di leggere a scuola Three Men In a Boat è finito miseramente in noia. I ragazzi non capivano cosa c'era da ridere e io non capivo perché non capivano. Tristissimo. Jerome per me è finito in quell'armadio dove tengo gli autori speciali che voglio proteggere dagli studenti... su Jerome K. Jerome, fare ridere l’uomo moderno, spaventato
il 29/02 Ida ha commentato A proposito di classifiche: "Oggi se vai al cinema devi entrare a un’ora fissa, quando il film incomincia, e appena incomincia qualcuno ti prende per così dire per mano e ti dice cosa succede. Ai miei tempi si poteva entrare al cinema a ogni momento, voglio dire anche a metà dello spettacolo, si arrivava mentre stavano succedendo alcune cose e si cercava di capire che cosa era accaduto prima (poi, quando il film ricominciava dall’inizio, si vedeva se si era capito tutto bene - a parte il fatto che se il film ci era piaciuto si poteva restare e rivedere anche quello che si era già visto). Ecco, la vita è come un film dei tempi miei. Noi entriamo nella vita quando molte cose sono già successe, da centinaia di migliaia di anni, ed è importante apprendere quello che è accaduto prima che noi nascessimo; serve per capire meglio perché oggi succedono molte cose nuove." Anch'io,come U.ECO sono andata al cinema nel modo ricordato e quindi io amo ricordare e vorrei tanto poter fare liste di su Chi siamoil 28/02 Ida ha commentato Grazie Roberta per aver riaperto il blog.Trovo che è un modo per uscire dalla solitudine delle letture personali.Scrivere e leggere accanto, trovo che è un bel modo per parlarci e parlarmi. su Chi siamo
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