martedì 27 settembre 2016

Le Lupe, Flavia Perina

Un figlio ammazzato senza ragione, più per stupidità che per crudeltà. Un genitore che decide di farsi giustizia da solo. È uno schema noto, quasi un archetipo: rappresenta quindi la sfida più rischiosa. Ricalcare il modello sembra semplice. Impadronirsene riempiendolo di un contenuto personale e inedito, capace tittavia di reggere la forza implicita nell’archetipo stesso,è un impresa. Anche per questo Le Lupe, il primo romanzo di Flavia Perina, giornalista ed ex parlamentare (Baldini&Castoldi, pp. 194, euro 15) è un libro coraggioso.
Flaminia, la protagonista, è una signora di mezza età con una vita come tante: anonima e felice. Fa l’agente immobiliare. Vive a Roma Nord, la parte ricca o ricchetta della Capitale. Ha due figli belli e contenti, il più grande diciottenne, buon giocatore di rugby, la minore ancora un’adolescente. Non sembrano aver risentito troppo del divorzio dei genitori e poi della morte del padre. Se Flaminia dovesse trarre un bilancio, sarebbe in netto attivo.
Tutto va in pezzi in un attimo per una catena di coincidenze, come spesso succede nelle morti assurde. Il ragazzo, Carlo, esce nella notte per comprare le sigarette. Pesca alla cieca un casco dalla camera della sorella e il destino vuole che sia dipinto in giallo e rosso. Intorno allo stadio ci sono appena stati scontri con i tifosi, i poliziotti hanno ancora voglia di menare le mani: quando vedono il casco coi colori della Magica fanno due più due e nel gruppo in divisa ce n’è uno che va giù troppo pesante. Carlo, che non è nemmeno tifoso, muore così.
Anche questo sembra una specie di archetipo letterario, ma questa non è narrativa: è cronaca. Carlo Livi muore nel romanzo di Flavia Perina esattamente come sono morte in questi anni troppe persone nelle strade, nei commissariati o nelle prigioni italiane. Senza intenzioni omicide. Per una botta troppo forte o per una presa troppo stretta. Per essersi dimenati troppo al momento del fermo o per aver disturbato strillando dalla cella.
Anche l’agente omicida è un figura nota: è come se l’avessimo già visto ogni volta che si sono ripetute atrocità di questo genere. Non è un sadico né un torturatore: è solo tronfio e vanesio, incapace di comprendere le conseguenze delle proprie azioni, certo non solo di restare impunito ma di avere tutto il diritto di restarlo: non si deve forse anche a lui la sicurezza di tutti? È il male esposto nel suo versante più ottuso e quotidiano, nella sua desolante stupidità.
La cronaca e la denuncia finiscono qui. Perché la tragedia non solo strazia la protagonista: la spinge a revocare in dubbio tutte le sue scelte, l’intera sua esistenza adulta. La morte del figlio apre nell’animo di Flaminia una porta segreta dalla quale rientra la se stessa del lontano passato, quella degli anni che per convenzione si dicono di piombo. Se la protagonista adulta ricorda l’autrice, in quella giovane l’aspetto autobiografico rasenta l’assoluta coincidenza. Come Flavia Perina, Flaminia è stata una militante di estrema destra. È stata in prigione per uno scontro di piazza. Ha pianto i suoi camerati uccisi e covato propositi di vendetta che nella destra di allora occupavano una postazione molto più centrale di quanto non avvenisse dall’altra parte della barricata: «La vendetta è sacra» era un atto di fede.
Flaminia vuole vendetta e sa che non avrà neppure giustizia. La pulsione che riscopre e che nega in radice tutto quel che è diventata nel corso dei decenni è barbara e ancestrale, in qualche modo strettamente femminile: la furia delle madri a cui è stato strappato il figlio. Infatti non si rivolge agli antichi camerati ma alle amiche di allora, in forza di un vincolo che va oltre la politica e forse anche oltre l’amicizia, per cercare l’arma, imparare a usarla, studiare l’appostamento. Le Lupe, già dal titolo, è una storia di donne.
C’è un momento preciso della propria vita, un bivio, che Flaminia rivede e sul quale si interroga: quello in cui, a differenza di una delle antiche amiche di cui cerca ora l’aiuto per la sua vendetta, aveva scelto di non prendere le armi. La politica non c’entra, su quel fronte Flaminia non ha rimpianti. Però ora vede il mondo, la sua vita, il matrimonio, la famiglia, con gli occhi di quell’intrusa riportata in superficie dalla tragedia, e ne scopre la futilità e il vuoto. È un mondo fatto a misura di Mascio, il poliziotto vanitoso e soddisfatto che le ha ammazzato il figlio.
Proprio perché in ballo ci sono emozioni che vengono prima e sono più profonde della politica, la specifica appartenenza della giovane Flaminia è in realtà del tutto secondaria. Forse non è determinante neanche il pur molto marcato aspetto generazionale: però sullo sfondo della tragedia privata di Flaminia campeggia il desolato fallimento della sua generazione.
[Andrea Colombo 27/09/2016]

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Commenti

il 12/08 SR ha commentato Non credo che D'Avenia possa far parte del nostro blog. Certo i suoi libri sono best-sellers tra gli adolescenti, e probabilmente hanno il merito di avviare qualche giovane alla lettura, ma la banalità delle situazioni e del linguaggio non permettono di considerare questi testi letteratura. Diciamo che sono testi "di servizio", nella migliore delle ipotesi. su Prossimamente
il 14/05 SR ha commentato Purtroppo J.K.J. non sembra più funzionare con le ultime generazioni: un tentativo di leggere a scuola Three Men In a Boat è finito miseramente in noia. I ragazzi non capivano cosa c'era da ridere e io non capivo perché non capivano. Tristissimo. Jerome per me è finito in quell'armadio dove tengo gli autori speciali che voglio proteggere dagli studenti... su Jerome K. Jerome, fare ridere l’uomo moderno, spaventato
il 29/02 Ida ha commentato A proposito di classifiche: "Oggi se vai al cinema devi entrare a un’ora fissa, quando il film incomincia, e appena incomincia qualcuno ti prende per così dire per mano e ti dice cosa succede. Ai miei tempi si poteva entrare al cinema a ogni momento, voglio dire anche a metà dello spettacolo, si arrivava mentre stavano succedendo alcune cose e si cercava di capire che cosa era accaduto prima (poi, quando il film ricominciava dall’inizio, si vedeva se si era capito tutto bene - a parte il fatto che se il film ci era piaciuto si poteva restare e rivedere anche quello che si era già visto). Ecco, la vita è come un film dei tempi miei. Noi entriamo nella vita quando molte cose sono già successe, da centinaia di migliaia di anni, ed è importante apprendere quello che è accaduto prima che noi nascessimo; serve per capire meglio perché oggi succedono molte cose nuove." Anch'io,come U.ECO sono andata al cinema nel modo ricordato e quindi io amo ricordare e vorrei tanto poter fare liste di su Chi siamo
il 28/02 Ida ha commentato Grazie Roberta per aver riaperto il blog.Trovo che è un modo per uscire dalla solitudine delle letture personali.Scrivere e leggere accanto, trovo che è un bel modo per parlarci e parlarmi. su Chi siamo