lunedì 4 agosto 2014

Tahar Ben Jelloun, "la Repubblica" del 4/08/2014

UNA VIA DI USCITA DALLA BRUTALITÀ
A scuola impariamo la storia, ma non ci insegnano come leggerla. L’attuale guerra tra Israele e Gaza non solo è letta male, ma si sta ingolfando in una spirale senza uscita. Una semplice constatazione: non è mai accaduto che un territorio occupato o un popolo colonizzato siano rimasti tali in eterno. Presto o tardi i valori di libertà, giustizia e dignità prendono il sopravvento su qualunque brutalità, per potenti che siano le armi in campo. C'è stato un tempo in cui nessuno avrebbe osato immaginare un'Algeria indipendente o, un Sudafrica liberato dall'apartheid. Eppure la storia è stata più forte dell'irrazionalità e delle pretese degli uomini.
Una maggioranza di israeliani è convinta di arrivare alla pace con la forza. Ma chi anche in tempi "normali" esercita un dominio infliggendo vessazioni non può che esacerbare gli animi. In nome di un impegno sia religioso, sia nazionalista, i popoli palestinesi lottano affinché la storia renda loro giustizia. Si possono discutere i loro metodi, ma non rimproverarli perché lottano contro un'occupazione inasprita da un embargo disumano. Certo, Hamas non rappresenta tutti i palestinesi, ma se esiste è per volontà di un elettorato convinto che l'occupante non desideri non desideri la pace, e non voglia la coesistenza di due Stati.
L'autorità palestinese ha fatto tante concessioni da ritrovarsi oggi priva di mezzi per riprendere, quantomeno, i negoziati. Israele ha il diritto di esistere e vivere in pace; ma coi suoi comportamenti ha dimostrato che il suo desiderio di pace è un'illusione; e non fa nulla per promuovere un dialogo sincero, per dare consistenza a quel miraggio. Esiste una base giuridica: la risoluzione 242 delle Nazioni Unite, legittima per tutti gli Stati, ad eccezione di Israele. Da decenni i governi israeliani hanno posto due condizioni per la definizione dello status dei territori occupati. La prima è il riconoscimento dello Stato di Israele da parte di arabi e palestinesi: una condizione ormai soddisfatta dai trattati con Egitto, Giordania e Autorità palestinese. Il suo diritto a esistere non  è più in discussione. A Israele se chiede solo di riconoscere lo stesso diritto ai palestinesi. Seconda condizione: confini sicuri e riconosciuti e cessazione di ostilità. Di fatto però Israele non ha mai smesso di colonizzare i territori occupati, impedendo qualunque accordo per la coesistenza di due Stati. A Mahmud Abbas - come già ad Yasser Arafat - ha rifiutato ogni concessione. Ha costruito un muro che non ha risolto nulla.
Tutto ciò spiega il successo elettorale di Hamas nella striscia di Gaza. Proprio sull'assenza di risultati tangibili nel processo di pace Hamas ha fatto leva per riprendere l'azione armata, con i suoi attentati e attacchi inefficaci. L'intransigenza dello Stato ebraico è direttamente responsabile del potere di Hamas e del sostegno di cui gode tra la popolazione palestinese, soffocata da un embargo economico, sanitario e umano che gli osservatori del mondo, compresi i media americani, considerano inaccettabile. Israele ha in dispregio le numerose risoluzioni dell'ONU, e non c'è Stato né potenza che sia in grado di esercitare pressioni sul suo governo. Così stanno le cose. Ma chiunque si esprima criticamente è tacciato di antisemitismo.
Alcuni intellettuali si stanno impegnando in un'operazione volta ad assimilare l'antisionismo all'antisemitismo, in una sorta di terrorismo intellettuale: è la sconfitta del pensiero, la rinuncia all'obiettività. Sono contrario alla politica coloniale di Israele, ma non per questo sono antisemita. E mi ritengo diffamato ed insultato da chiunque sostenga il contrario. In Palestina, il mio paese il poeta Mahmud Darwish scrive: "L'israeliano detta al palestinese la lingua e le intenzioni che dovrebbero essere le sue. L'alibi degli israeliani - la necessità di lottare per la propria sopravvivenza - esige che l'altro sia sempre e immancabilmente un selvaggio, il cui "antisemitismo" giustificherebbe l'occupazione, così come tutte le occupazioni a venire, destinate a consolidare quelle precedenti" (Editions de Minuit 1988). E' la débâcle del pensiero, soppiantato da un discorso passionale, colpevolizzante, manicheo.
Le immagini delle centinaia di bambini uccisi dalle bombe israeliane hanno fatto il giro del mondo, e Israele non potrà mai scrollarsi di dosso questo crimine contro l'umanità. Conosciamo la litania dei dirigenti: la responsabilità dei morti ricadrebbe su Hamas, che usa i civili come scudi mentre lancia razzi su Israele. Abbiamo appreso da un dirigente della polizia israeliana che il rapimento e l'assassinio dei tre adolescenti non è stato commesso da Hamas, ma da un gruppo estraneo al movimento. Hamas avrebbe dovuto associarsi a Mahmud Abbas nella condanna di un crimine così orrendo. Ha sbagliato. Ma questo errore politico non può giustificare ciò che Tsahal, l'esercito israeliano, sta facendo, fino a raggiungere, il 27 luglio scorso, la cifra fatidica di 1000 morti?
E' normale che un cittadino francese di confessione ebraica si senta solidale con Israele; non potrei fargliene una colpa. Ma perché non ammettere che gli arabi di Francia esprimano solidarietà con un popolo colpito da bombardamenti sanguinosi? Con buona pace di Manuel Valls, questa politica di due pesi e due misure è purtroppo una realtà: e se fossi al suo posto tenderei l'orecchio per ascoltare ciò che i popoli del Maghreb dicono oggi della Francia. Politica miope, priva di una visione. Tutto ciò è sconfortante.
In un'intervista al Nouvel Observateur lo storico israeliano Zeev Sternhell ha detto che "la destra israeliana è portatrice di un disastro senza nome, che si sta abbattendo su di noi. (....) Vuole conquistare la Cisgiordania, non lo dice ma punta all'annessione. Vuole che siano gli stessi palestinesi
 ad accettare la propria inferiorità davanti alla potenza israelian". la speranza - per quanto tenue - di uscire da questo inferno verrà dall'interno di Israele, dalla sua società civile, lucida e coraggiosa.

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Commenti

il 12/08 SR ha commentato Non credo che D'Avenia possa far parte del nostro blog. Certo i suoi libri sono best-sellers tra gli adolescenti, e probabilmente hanno il merito di avviare qualche giovane alla lettura, ma la banalità delle situazioni e del linguaggio non permettono di considerare questi testi letteratura. Diciamo che sono testi "di servizio", nella migliore delle ipotesi. su Prossimamente
il 14/05 SR ha commentato Purtroppo J.K.J. non sembra più funzionare con le ultime generazioni: un tentativo di leggere a scuola Three Men In a Boat è finito miseramente in noia. I ragazzi non capivano cosa c'era da ridere e io non capivo perché non capivano. Tristissimo. Jerome per me è finito in quell'armadio dove tengo gli autori speciali che voglio proteggere dagli studenti... su Jerome K. Jerome, fare ridere l’uomo moderno, spaventato
il 29/02 Ida ha commentato A proposito di classifiche: "Oggi se vai al cinema devi entrare a un’ora fissa, quando il film incomincia, e appena incomincia qualcuno ti prende per così dire per mano e ti dice cosa succede. Ai miei tempi si poteva entrare al cinema a ogni momento, voglio dire anche a metà dello spettacolo, si arrivava mentre stavano succedendo alcune cose e si cercava di capire che cosa era accaduto prima (poi, quando il film ricominciava dall’inizio, si vedeva se si era capito tutto bene - a parte il fatto che se il film ci era piaciuto si poteva restare e rivedere anche quello che si era già visto). Ecco, la vita è come un film dei tempi miei. Noi entriamo nella vita quando molte cose sono già successe, da centinaia di migliaia di anni, ed è importante apprendere quello che è accaduto prima che noi nascessimo; serve per capire meglio perché oggi succedono molte cose nuove." Anch'io,come U.ECO sono andata al cinema nel modo ricordato e quindi io amo ricordare e vorrei tanto poter fare liste di su Chi siamo
il 28/02 Ida ha commentato Grazie Roberta per aver riaperto il blog.Trovo che è un modo per uscire dalla solitudine delle letture personali.Scrivere e leggere accanto, trovo che è un bel modo per parlarci e parlarmi. su Chi siamo