Riprendiamo dopo la pausa estiva i nostri incontri mensili iniziando da un classico, Ossi di seppia di Eugenio Montale.
Ci troviamo mercoledì 8 ottobe alle ore 21.00
Questo blog accoglie la nuova avventura di quelli di Sguardi d’Altrove, e il Reverendo Dogdson, con i suoi dubbi sulla realtà, si aggiunge al nostro olimpo di numi tutelari. Non dimentichiamo gli autori che più spesso ci hanno accompagnati nel viaggio di Sguardi d’Altrove, anzi, da loro ripartiamo. Quindi, un pensiero affettuoso e ammirato, in particolare, ad Alan Bennet a alla sua Sovrana Lettrice, mantenendo ben fermo il principio che ragguagliare non è leggere.
Riprendiamo dopo la pausa estiva i nostri incontri mensili iniziando da un classico, Ossi di seppia di Eugenio Montale.
Ci troviamo mercoledì 8 ottobe alle ore 21.00
Ricevo da Rossella il suo contributo su Eshkol Nevo, e molto volentieri pubblico.
Eshkol Nevo, “La simmetria dei desideri”
“La simmetria dei desideri” è principalmente un romanzo sull’amicizia maschile, ma ci sono anche altri aspetti che mi sono sembrati interessanti, come i riferimenti alla realtà sociale di Israele.
L’amicizia tra i quattro ragazzi è legata alla ricorrenza ogni quattro anni dei Mondiali di calcio; pur essendo molto legate affettivamente, queste quattro persone non parlano quasi mai dei loro vissuti profondi, dei loro sentimenti. Tra loro vige soprattutto il rimosso: di certe cose meglio non dire nulla, alcuni vissuti personali sono tabù. Come afferma la voce narrante di Yuval, risulta difficile anche riconoscere e districarsi tra i propri sentimenti personali e le proprie emozioni. E’ solo dopo la morte di Ylana, ad esempio, che i tre amici vengono a sapere che l’amore del marito di lei Amichai era davvero forte, che lui aveva cercato in ogni modo, senza riuscirci, di stemperare la tristezza persistente della moglie. Se gli amici si sostengono nelle difficoltà della vita, è anche vero che ciascuno conserva una profonda solitudine. Diverso è il mondo emotivo delle donne, di Ylana e Maria.La loro amicizia è di tipo molto più intimo, forse anche un po’ ambigua. Una profonda differenza con i maschi riguarda il fatto che sono solo loro ad affrontare direttamente il rapporto con i palestinesi, a prendere posizione contro le violenze quotidiane vissute dagli arabi. E’ interessante nella lettura ricostruire le singole personalità, perché mi sembra che Nevo abbia lavorato molto alla costruzione di ogni carattere.
Yaara resta una figura a parte, più misteriosa, forse anche più sola e velleitaria. Ma questo ha anche a che fare con il modo in cui la vede il narratore, perennemente innamorato di lei.
Il “rimosso” riguarda poi la realtà esterna, dalle esperienze vissute durante il servizio militare fino al crescere della violenza con la seconda Intifada, che rappresenta il presente della narrazione. Mi sono spesso chiesta come facciano ( come facessero, perché dopo il 7 ottobre credo che la situazione sia molto cambiata, stravolta forse) gli israeliani a vivere in un paese così diviso, che esercita una repressione così forte contro gli arabi. Questo romanzo dà una risposta, mi pare: gli israeliani “rimuovono” la realtà dell’Occupazione e tutto il resto, hanno sviluppato una forma di indifferenza, dice Nevo. Forse fanno finta che certe situazioni negative non esistano. Un po’ alla volta, la violenza cresce dentro le persone, come cresce fuori, senza che gli stessi interessati se ne rendano pienamente conto. Però ciò che viene accantonato, ciò di cui non si parla riemerge nei momenti più diversi, e riemerge anche come senso di colpa. E’ il senso di colpa che prova il narratore per quanto ha vissuto durante il servizio militare. Il racconto dell’irruzione nella casa palestinese per vedere la partita mi è sembrato molto forte: rappresenta narrativamente tutto il disprezzo possibile verso l’altro. Si prova con Yuval un sentimento di vergogna per l’arroganza dei militari, per il servilismo dell’uomo palestinese che cerca così di bloccare i militari. E’ un episodio centrale nel romanzo.
Ho riportato alcune citazioni , scelte da questo tema sociale e da quello dei sentimenti
“….Comincia tutto dall’Occupazione, dal fatto che dominiamo un altro popolo, e prosegue…nelle cose più piccole, per esempio come guidiamo[…]Datemi retta, è di sicuro quella Maria, ha detto Churchill dopo che abbiamo riattaccato. “Sistema brutale”?”Comincia tutto con l’Occupazione”? quando mai “Ofi” ha parlato in questo modo? E’ lei che gli ha fatto il lavaggio del cervello. E’ di sicuro una di quegli europei pacifisti che sono passati dall’antisemitismo all’odio contro Israele. P.72
Fino a Atlit ho riflettuto su quella incostanza dei sentimenti. Su come è difficile sapere qualcosa con certezza. Su come praticamente tutti quelli che mi sono vicini stentano a capire cosa provano davvero, equivocano in continuazione; forse si tratta di una questione generazionale, forse la quantità di distrazioni e possibilità che si offrono alla nostra generazione ci confondono talmente che perdiamo il nostro sentimento interiore, a differenza dei nostri genitori che sapevano quello che volevano perché non avevano molte alternative; anche se forse nel loro caso dietro tutto questo si nascondeva una profonda tristezza, o almeno una vaga sensazione di aver perso l’occasione, che noi non notavamo perché eravamo bambini e non potevamo vederli come sono ( o magari potevamo vederli ma preferivamo, per il nostro bene, non farlo?) p.139
p. 162 e ss= episodio cruciale della violenza a cui partecipa Yuval finché è n servizio militare. La citazione è dal diario di Yuval
Solo più tardi quando siamo tornati sul tetto, ho provato nausea verso me stesso, verso i ragazzi dell’unità e verso i maledetti Mondiali; ho cercato di consolarmi col pensiero che era stata un’eclissi temporanea, ma sapevo che non era così, sapevo che quello era il Yuval conformista delle ultime settimane. Ho passato la notte rigirandomi nel sacco a pelo, senza trovare nessuna posizione nella quale la mia coscienza potesse addormentarsi. D’improvviso la situazione mi pareva senza uscita. Senza futuro…[..] La maledizione che la vecchia araba aveva sibilato prima di venire spinta nella stanzetta mi avrebbe perseguitato per l’eternità.
Le seguenti sono le parole del magistrato al processo contro Klinger:
..desidero evidenziare che questa mia decisione non sottovaluta né la singola azione compiuta dall’imputato, né la gravità della piaga della violenza in generale. Un cambiamento lento e sotterraneo si è verificato in questo nostro paese negli ultimi anni, e l’esplosione di furia del signor Klinger rappresenta la punta dell’iceberg che ci porta a conoscenza dell’esistenza dell’iceberg, o il simbolo di una generazione che è andata a……. p. 347
Bene, abbiamo concluso la stagione con due libri piuttosto interessanti e, per una volta uso questo aggettivo abusato, che solitamente cerco di evitare: intriganti. Intriganti in modo diversissimo, ma anche con vari punti di contatto.
IL CAPRO ESPIATORIO della meravigliosa Daphne Du Maurier e LA SIMMETRIA DEI DESIDERI di Eshkol Nevo, in questo momento autore controverso, come tutto quello che arriva da Israele.
Grazie a Monia per la sua ospitalità, e per il modo, come sempre molto personale, con cui ci ha guidate e guidati alla riflessione sui due romanzi.
Ecco il suo contributo:
Quello che mi hanno lasciato questi due libri è stata una riflessione sulla verità, sull’essenza di una persona o di una vita. Chi e cosa definisce , rende unica una persona? La voce, il suo fisico, le sue azioni, i regali che ci porta, non pare…Piuttosto il suo odore o il suo modo di fare l’amore. Ci sussurrano che a cambiare la propria e altrui vita ci si possa mettere molto poco, una settimana o il tempo di leggere una sua autobiografia. L’importante non è tanto svelare i segreti, ma cogliere perché sono segreti ed il fine (della ricerca della verità) non è necessariamente sbandierarla al vento, ma cambiare, sbloccare quello che il segreto rendeva immobile, trovando una leva giusta fintanto che ce l’hai.
Quindi questi libri mi hanno ricordato di non dare nulla per scontato, anche quando incontro chi penso di conoscere, potrebbero essere dei sosia (in fondo) e invece voglio avere la conferma di avere intorno a me proprio le persone che voglio e allo stesso tempo non voglio smettere di conoscerle perché si cambia, si può cambiare, basta poco.
Poi può succedere di tutto, ma intanto avremo avuto la possibilità di conoscere e capire e decidere se essere solo uno spettatore o entrare in scena, con che ruolo lo possiamo decidere sempre.
Grazie amici ed amiche, sempre, da tanti anni e conto per tanti anni.
Monia
Consigli di lettura per queste vacanze
A Milano per la prima mostra dedicata ai suoi quadri, lo scrittore ci ha parlato di James, il romanzo con il quale ha vinto il Pulitzer, della prosa di Mark Twain e del perché Wittgenstein è uno stronzo.
17 Giugno 2025
Percival Everett è un uomo paziente. Lo so con certezza perché l’intervista che state per leggere me l’ha concessa nonostante un viaggio infernale dagli Stati Uniti all’Italia. «Dovevo partire da Atlanta, ma a causa del maltempo il mio volo ha accumulato tre ore di ritardo. Sono arrivato a New York e ovviamente l’aereo che avrei dovuto prendere per Milano era partito da un pezzo». Avrebbe dovuto essere a Milano, ospite della Milanesiana, ideata e diretta da Elisabetta Sgarbi, la mattina di mercoledì 11 giugno, è arrivato 48 ore dopo. Appena sceso dall’aereo è salito in macchina e ha raggiunto la Galleria Carlocinque (dove per la prima volta vengono esposti i suoi quadri, nella mostra Logica predicativa) perché aveva un’intervista da fare, l’impegno era preso e ha insistito per non rimandarlo al giorno successivo. Ha avuto anche la pazienza di stare ad ascoltarmi mentre gli descrivevo Rivista Studio. «Parliamo di tutto ciò che c’è di interessante», gli ho detto. «E allora perché sei qui a intervistare me», mi ha risposto lui.
ⓢ James (pubblicato in Italia dalla Nave di Teseo) è stato uno dei libri più discussi del 2024, dopo la vittoria del Pulitzer per la narrativa, se possibile, se ne è parlato ancora di più di prima. A che punto uno scrittore non ne può più di parlare del suo romanzo?
Beh… Io non ne posso proprio più. Non fraintendermi, sono contento che questo libro faccia parte di questo mondo, che le persone ne parlino. Però sono stanco di parlarne io, ecco. Anche perché ne parlo sempre con i giornalisti e parlare con i giornalisti è strano. Per qualche motivo, i giornalisti sono convinti che a me non piaccia parlare con loro, sai?
ⓢ E come mai ne sono convinti?
Forse perché sono il tipo di persona che nelle interviste tendenzialmente risponde alle domande con un sì o con un no.
ⓢ Questa sarà una di quelle interviste?
E che ne so io, dipende da te. Basta non fare le domande sbagliate.
ⓢ Ottimo. Che rapporto ha con i premi? Del Pulitzer abbiamo detto, ma James ha vinto anche il National Book Award ed è stato uno dei cinque finalisti dell’International Booker Prize. Ci tiene, ai premi?
No, perché sono stronzate. Voglio dire, fa piacere essere candidati, fa piacere vincere, farebbe piacere ricevere un premio alla settimana, figurati. Ma non è che il mondo diventi un posto migliore se io vinco un premio in più. Non è una cosa alla quale penso mentre scrivo, non ci ho mai pensato, neanche all’inizio della mia carriera. Non ho mai costruito neanche un vero e proprio rapporto con la fama, a essere onesto. In questo mi ha aiutato anche il fatto di non aver mai letto nessuna recensione di nessuno dei miei libri. E, più recentemente, mi ha aiutato anche il fatto di non aver mai messo piede sui social.
ⓢ Non usa i social? Perché?
Perché è un brutto quartiere e io ho imparato da piccolo che nei brutti quartieri le persone intelligenti non ci mettono piede. Anche quando ho considerato la possibilità di aprire un canale social mi sono sempre chiesto “ma cos’è che avresti da dire?” e ho lasciato perdere.
ⓢ Non crede di perdersi un pezzo del dibattito pubblico, così?
Non aprendomi un profilo Instagram? No, non lo credo. Senza offendere nessuno, diciamo che penso che le persone che passano molto tempo sui social non stiano contribuendo granché a nulla.
ⓢ E le recensioni? Davvero non le legge?
Non le leggo perché le scrivevo, quindi so come funzionano le recensioni. Mi piace leggere le stroncature, quelle davvero cattive, ma ormai nessuno sa più scrivere una stroncatura davvero cattiva. E anche chi è capace di farlo decide di non farlo per motivi che conosco benissimo perché, ripeto, anche io scrivevo recensioni. Tutti si cagano sotto.
ⓢ Lei ha detto che James non è una riscrittura di Huckleberry Finn ma una conversazione con Mark Twain. Cosa intende?
So che questo libro è stato definito come una sorta di correzione di Huck Finn. Io non ho mai avuto alcuna intenzione di correggere niente e nessuno. Con James, la mia intenzione era scrivere il romanzo che Twain non ha potuto scrivere perché non ne aveva gli strumenti. Non poteva occupare lo spazio psichico e culturale del personaggio Jim, non poteva farlo in un modo sufficiente e sufficientemente giusto da renderlo un vero personaggio. D’altronde, Twain voleva scrivere un altro libro, raccontare un altro personaggio: un ragazzino bianco, quindi libero. Non aveva mai sofferto l’oppressione, Twain. Era bianco, che oppressione avrebbe potuto subire? Ma la questione non è soltanto una di autenticità o di esperienza. Twain, che pure era un uomo colto, soprattutto per la sua epoca, perpetuava tanti degli stereotipi razzisti del periodo. Il suo Jim è un sempliciotto superstizioso perché Twain, senza nulla togliergli, è così che era stato “addestrato” a pensare i neri, è così che li vedeva. Questa rappresentazione degli schiavi persiste ancora oggi. Quello che mi sono chiesto quando ho iniziato a scrivere James è stato “è davvero possibile che gli schiavi fossero tutti così?”. Parliamo di milioni di esseri umani e quindi di una vasta gamma di pensieri ed esperienze, molte delle quali non hanno mai trovato rappresentazione. Il mio obiettivo era portare il lettore a pensare in maniera diversa agli schiavi. Cosa il lettore abbia poi effettivamente pensato non è un problema, io sono uno di quelli convinti che se uno legge davvero un libro non può produrne un’interpretazione sbagliata, al massimo una troppo personale. Ma anche la mia è un’interpretazione personale. Forse troppo.
ⓢ Le è mai sembrato che Huck Finn fosse offensivo? Per un afroamericano, soprattutto.
No, mai. Basta sapere in che anno è stato pubblicato e offendersi diventa impossibile.
ⓢ Ha mai pensato di provare la stessa operazione fatta con il Jim di Twain con un altro personaggio di un altro romanzo?
No, per carità. Tra l’altro, la mia operazione non ha tanto a che vedere con un personaggio ma con una questione, quella della razza, da sempre e per sempre centrale nella cultura, nella società, nella storia americana. Solo il Jim di Twain mi dava la possibilità di trattare questa questione in questa maniera, perché è stato il primo romanzo americano a raccontare la schiavitù non come un problema giuridico né come una lotta politica, ma come una condizione che migliaia di persone vivevano e affrontavano quotidianamente.
ⓢ Negli ultimi anni anche la classe è tornata centrale nel dibattito politico americano, però.
Negli Stati Uniti razza e classe sono la stessa questione.
ⓢ Torno un attimo a quello che diceva prima, sui lettori e l’interpretazione che danno dei libri. È per questo che sostiene, come ha detto in diverse interviste, che la lettura sia l’atto più sovversivo che un essere umano possa compiere? Per questa capacità di produrre “personalità”?
Assolutamente. La lettura è l’unico spazio davvero inviolabile che possediamo. Io e te possiamo metterci adesso, qui, a leggere le stesse parole, nello stesso momento. Quelle parole avranno su di me un effetto e su di te un altro, e nessuno di noi due avrà davvero mai modo di accedere allo spazio che la lettura ha creato nell’altro. Più che di produrre personalità, credo che la lettura, quindi per estensione la letteratura, ci aiuti a definirci come individui. Che è la ragione per la quale i fascisti, non appena arrivano al potere, una delle prime cose che fanno è vietare o bruciare i libri. Controllare un individuo è troppo difficile, un regime non può permettersi che la persona, attraverso la lettura, che è apprendimento, arrivi a essere un individuo. Altrimenti non riuscirà mai a controllarlo e il regime, semplicemente, non potrà mai costituirsi davvero. Per i fascismi non possono esistere spazi inviolabili, né fuori né soprattutto dentro la persona.
ⓢ È vera la storia secondo la quale lei ha letto e riletto Huck Finn quindici volte prima di iniziare a scrivere James? Perché lo ha fatto, a cosa le è servito?
Sì, certo che è vera. L’ho fatto perché volevo occupare quel mondo senza pensare alla prosa di Twain. È difficile da spiegare perché sono abbastanza sicuro che tu non abbia mai letto lo stesso libro per quindici volte di fila, per tua fortuna. Sai cosa succede quando leggi lo stesso testo così tante volte? Il mondo che racconta, è come se sfumasse, mi spiego? Ma non scompare, rimane lì, scompaiono tutti quei dettagli portati dalla prosa, dal linguaggio, ma restano le forme grezze, quelle sfumature, appunto, o strutture, se preferisci, che comunemente chiamiamo storia e personaggi. Io volevo arrivare proprio a questo punto, in modo tale da ritrovarmi nello stesso mondo di Twain, a raccontare la stessa storia, con gli stessi personaggi, ma libero dalla sua prosa, avendo io la possibilità di restituire a quelle sfumature una forma di nuovo definita, attraverso la mia prosa, il mio linguaggio. Certo, non ti nego che a un certo punto quel libro mi dava il voltastomaco, sono passati quasi tre anni e non l’ho mai più sfiorato.
ⓢ Ma perché era così importante liberarsi della prosa di Twain?
Perché il linguaggio può essere un elastico ma può essere anche un cappio.
ⓢ Visto che stiamo parlando di linguaggio, ne approfitto per farle la domanda su Wittgenstein. È vero che per lei la logica fu la passione giovanile? E che Wittgenstein era il suo idolo? E che studiare logica le ha insegnato a scrivere scene, come ha detto in passato?
Dunque. Nelle interviste io dico un sacco di cose e questa della logica che mi ha insegnato a scrivere per scene non me la ricordo. Però mi sembra una cosa intelligente, la userò da ora in poi, grazie per avermela ricordata. Per quanto riguarda la logica, sì, è stata una delle mie prime passioni, d’altronde all’inizio della mia carriera universitaria avevo deciso di studiare filosofia. La logica è stata probabilmente la prima disciplina alla quale mi sono dedicato con piglio accademico, almeno fino a quando ho letto il Tractatus logico-philosophicus. Libro incredibile, non fraintendermi. Ma leggendolo mi sono chiesto “ma chi mai leggerebbe una cosa del genere?” e ho capito che volevo scrivere cose che gli altri avrebbero letto, così mi sono convinto che il romanzo fosse il mezzo giusto per me. Per quanto riguarda la mia idolatria nei confronti di Wittgenstein, qui voglio essere molto chiaro: penso fosse un genio ma penso fosse soprattutto uno stronzo. Lo sai che trattava malissimo Bertrand Russell? Ecco, semmai, Russell è un mio idolo, e il modo in cui lo bullizzava è un’altra ragione per pensare che Wittgenstein fosse uno stronzo.
ⓢ Dopo aver deciso di fare lo scrittore, ha continuato a coltivare questa passione per la logica, per la filosofia?
Quando ho potuto, sì. Ho letto i classici e gli antichi, ovviamente. La logica, poi, per me ha quasi a che vedere con l’infanzia. Quando ero piccolo, mio padre mi leggeva la Logica simbolica di Lewis Carroll come storia della buonanotte, per farmi addormentare.
ⓢ Davvero? Suo padre le leggeva la Logica simbolica per farla addormentare da bambino?
Sì.
ⓢ E funzionava?
No.
ⓢ Bene. A proposito di bambini, lei ha detto che Huck Finn è la personificazione dell’innocenza americana. Cosa voleva dire con questa definizione, innocenza americana?
Ripensandoci adesso, forse avrei dovuto dire ingenuità americana, innocenza è una parola con una connotazione troppo morale. Quello che volevo dire è che Huck Finn rappresenta ciò che l’America crede, desidera essere quando si confronta con i dilemmi morali. Quando incontra Jim, Huck sa che Jim è proprietà privata di qualcun altro e che aiutarlo a scappare costituisce una violazione della legge, di ciò che è consentito. Ma Huck sa anche che Jim è un essere umano – e il lettore vede che quello schiavo è l’unica figura paterna che questo ragazzino abbandonato da tutti ha mai avuto – e che nessun essere umano dovrebbe subire quello che sta subendo Jim, perché questa è una violazione della giustizia, di ciò che è giusto. Per Huck è molto, molto difficile sciogliere questo nodo, così come lo è per gli americani, ancora oggi, distinguere tra ciò che è consentito e ciò che è giusto.
ⓢ Secondo lei questa innocenza, o ingenuità, se preferisce, esiste ancora nella cultura, nella morale americana contemporanea?
No. Credo la cultura americana sia ormai troppo improntata al profitto per perdere tempo con le questioni morali. Affrontare le questioni morali significa studiare, per studiare ci vuole tempo, fatica, e non c’è nessuna garanzia di ottenere soddisfazione. In più, studiare non è mai stata una via, sicuramente non è mai stata la via più breve, verso l’arricchimento. E un percorso esistenziale che non preveda l’arricchimento come fine ultimo e unico è oggi inaccettabile nella cultura americana. In parte, è anche così che si spiega la politica anti-intellettuale di Donald Trump, gli attacchi alle università e agli studenti. L’istruzione, lo studio in America non sono più visti come obiettivi, come cose da desiderare per i propri figli, come cose buone in sé e per sé, capisci? Oggi studiare in America ha senso al solo scopo di permetterti l’accesso a una carriera remunerativa nel futuro. Sembra retorica, lo so, ma l’istruzione ha dato i suoi frutti migliori quando era essa stessa il suo fine, non il mezzo attraverso il quale raggiungerne un altro. I libri vanno letti per le idee e le parole che contengono, e basta. Si impara per imparare, e basta.
ⓢ È per questo desiderio di imparare che lei ha fatto così tante cose diverse nella vita? Per 14 anni ha fatto il cowboy, poi ha imparato a coltivare le rose, dopodiché ha deciso di mettersi a suonare la chitarra e poi, guardando dei tutorial su YouTube, ha imparato a costruirsi la sua stessa chitarra.
Non la farei così complicata. Sono solo un tizio a cui piace fare le cose con le mani. E mi piace avere scuse per procrastinare il lavoro.
ⓢ Un’ultima domanda: visto tutto quello che mi ha detto, pur sapendo che, come tutti gli scrittori, lei detesta etichette e categorie, se la sente ancora di rifiutare quella di scrittore politico?
Ma figurati, io non mi definisco neanche scrittore, sono abbastanza presuntuoso per pensare di meritare la dicitura di artista. Ma, ecco, se c’è una cosa che ho sempre saputo è questa: arte e politica sono la stessa cosa.
Se cercavate un libro in cui l’autore vi prende per mano e vi aiuta gentilmente a esplorare il prodotto della sua immaginazione, allora questo libro non fa per voi. Karunatilaka ti abbandona subito nel caos e nei conflitti dello Sri Lanka e dei suoi morti. Se preferite un libro di cui alla fine siete sicuri di avere capito tutto, ancora, questo libro non fa per voi. Dovete essere pronti alla sorpresa e all’imprevedibile, ma una volta che avete assunto l’atteggiamento giusto, la storia vi prenderà e non vi mollerà più. Quindi, mi scuso con il gruppo se a qualcuno non è piaciuto, ma se l’avete abbandonato dopo un po’, vi consiglio di dare al romanzo almeno un’altra possibilità.
Una degli
aspetti spiazzanti di questo romanzo è che si tratta di un Cross-genre
novel, cioè un testo che mescola vari generi, romanzo storico,
realismo magico, ghost story e whodunnit: infatti comincia
come una specie di giallo, con il protagonista, morto da poco, che ha sette
giorni di tempo per scoprire chi l’ha ucciso, come e perché. Ma la collocazione
storica lo rende un romanzo profondamente politico: siamo alla fine degli
anni ‘80, e la guerra civile in Sri Lanka va avanti almeno dall’83 e continuerà
-ufficialmente- fino al 2009. I contendenti principali sono il governo Sinhala
(Cingalese) e i ribelli separatisti Tamil (le Tigri), ma ci sono vari gruppi e
varie posizioni politiche coinvolte.
Un elemento fondamentale è
l’origine etnica: in Sri Lanka l’etnia più numerosa è
quella Sinhala, poi ci sono i Tamil e i Burgher. Se le differenze fisiche non
sono sempre evidenti, le etnie si classificano facilmente in base ai nomi,
perché Sinhala e Tamil sono lingue molto diverse:il Sinhala è una lingua che
appartiene al ceppo Indo-Ariano, anche se si è evoluto diversamente dall’Indù e
dal Bengali per ragioni geografiche, mentre il Tamil appartiene al ceppo
Dravidico. I Sinhala hanno dei cognomi riconoscibili, mentre i Tamil
non hanno veri e propri nomi di famiglia, ma usano di solito il nome del padre
come cognome. E poi ci sono i Burgher, un piccolo gruppo euroasiatico
che discende dai colonizzatori, soprattutto Portoghesi (i primi ad arrivare
all’inizio del ‘500 e a sposare donne Sinhala o Tamil)ed Ebrei Portoghesi, ma
anche Olandesi e poi Britannici. Sotto il governo coloniale Britannico, i
Burghers avevano una posizione importante nella vita sociale ed economica del
paese, proprio per la loro componente europea.
Il protagonista incarna questa
complicata situazione, partendo dal suo nome:
lui usa Almeida, nome burgher portoghese di sua madre, che è mezza Tamil, ma il
suo nome ufficiale è Kalabana, quello Sinhala del padre con cui non ha avuto
contatti dall’adolescenza.In questo caso, la sua scelta è personale, non
politica, ma le varie discussioni sul suo nome durante la storia lo sono
eccome!
Maali stesso ribadisce più
volte di essere Srilanchese e che tutti dovrebbero
ritenersi tali, lasciando stare gli assurdi scontri etnici che, insieme alle
differenze politiche, hanno rovinato il paese.(E qui si sente con precisione la
voce dell’autore).
L’essenza politica di Maali è
dichiarata da due elementi principali
1. Karunatilaka
si è ispirato per il suo personaggio alla figura storica di Richard de Zoysa,
ucciso nel 1990. Era un attivista di Colombo, apparteneva alla borghesia,
parlava inglese, era un gay non dichiarato e il suo omicidio non è mai stato
risolto. Anche altri personaggi, sia dell’aldilà che del mondo dei vivi, sono
riferimenti a persone reali, sia vittime che carnefici.
2.
Questa figura di partenza di de
Zoysa si è poi evoluta in quella di un fotoreporter di guerra che lavora
per le diverse fazioni: le Tigri Tamil, il governo, i marxisti JVP, ecc. In
questo modo l’autore può presentare i vari aspetti della situazione politica
del suo paese e allo stesso tempo fornire molti sospetti per l’omicidio di
Maali Almeida.(Trattare la morte di un reporter è particolarmente significativa
anche da questa parte del mondo in questo periodo, dalla Politokvskaja alla
Roshchyna in Russia agli oltre 200 lavoratori dell’informazione morti a Gaza
dall’inizio dell’invasione israeliana)
I take
photos. I bear witness to crimes that no one else sees. I am needed.
Maali non vuole dimenticare nè essere dimenticato: soprattutto non vuole che il suo lavoro vada
dimenticato, perché se dimentichi, niente cambia. Le sue foto sono il
suo contributo di testimonianza per il suo paese, e non vuole che vada perduto,
le sue sono foto “che possono far cadere il governo”. Per questo non vuole
andare nella tranquillità della luce senza prima combattere per risolvere il
mistero che lo riguarda personalmente, e per rendere pubblico il proprio
lavoro come difesa contro l’amnesia collettiva.
L’aldilà è popolato da diverse tipologie
di fantasmi: ribelli in cerca di vendetta, suicidi
che continuano a ripetere il loro ultimo atto, turisti morti in un attentato
che continuano la loro vacanza... poi ci sono gli Aiutanti/Facilitatori che
cercano di aiutare i nuovi arrivati a orizzontarsi nella loro condizione di
morti in Between. Molti si lasciano convincere ad andare verso la luce e
l’oblio, ma molti altri resistono: durante le sue sette lune, Maali parla con
una varia umanità di fantasmi di argomenti diversi, dalla politica alla
religione -varie religioni-, dalla famiglia all’ingiustizia, alla guerra e a
quello che davvero importa nella vita.
Ci sono riferimenti al colonialismo
(e la divertente riappropriazione di Arthur Clarke come scrittore srilankese -the
Empire strikes back di rushdiana memoria) e al ruolo negativo delle forze
ONU indiane. Riassumendo, Maali è deluso e disilluso da tutte le fazioni
politiche attive nel suo paese. Ha lavorato per tutti e di tutti ha visto gli
errori e i crimini.
Da ateo, Maali dice una cosa molto
importante sul Male: (p.20)
Evil is not
what we should fear. Creatures with power acting in their own interest: that is
what should make you shudder.
Quello che ci deve far rabbrividire è
l’esistenza di creature di potere che agiscono
per il proprio interesse. Una delle poche cose che suo padre gli ha
insegnato è che il male vince perché è meglio organizzato...
La sessualità di Maali, oltre a essere un riferimento a de Zoysa, può essere
semplicemente un dettaglio della caratterizzazione, un aiuto allo sviluppo
della trama, ma sicuramente è anche un elemento politico: gli omosessuali in
Sri Lanka portavano -e portano ancora- uno stigma pesante.
Tutte queste idee importanti, e pesanti,
sono però trattate con un linguaggio semplice e chiaro e con un grande
senso dell’umorismo. Il Black Humour o Dark Gallows Humour è
l’unica cosa che rende sopportabile la situazione descritta nel romanzo.
Dal punto di vista tecnico, la prima cosa che noti quando cominci a leggere è l’uso
insolito della seconda persona. Probabilmente questo è uno dei modi che
l’autore adopera per distanziarsi dal suo protagonista e allo stesso tempo per
fornigli la necessaria oggettività e lucidità per capire quello che
succede. Maali stesso ha bisogno di prendere le distanze dalla propria vicenda
per comprendere gli eventi.
La scelta dell’ambientazione
nell’oltre tomba è stata spiegata molto bene dall’autore in un’intervista
dopo la vittoria al Booker Prize.
What
was your starting point for Seven Moons?
The
end of the civil war, in 2009. For an entire lifetime, that’s all we’d known.
We thought the war would continue forever. But there was debate over what
happened, in the final stages, to the 40,000 civilians who were killed. I
thought, let the dead speak because the living doesn’t have a clue. That was my starting point.
(La fine della guerra civile, nel 2009.
Per un’intera vita era stata l’unica cosa che avevamo conosciuto. Pensavamo che
la guerra sarebbe andata avanti per sempre. Ma c’era il dibattito su su quello
che era successo, nelle fasi finali, ai 40.000 civili che erano stati uccisi.
Ho pensato, lasciamo parlare i morti, perché i vivi non hanno nessuna idea in
proposito. Quello è stato il mio punto di partenza)
Il plot è complesso ma
gestito benissimo. Se devo fare una
critica: il finale è un po’ diluito e un po’ troppo “felice”. Però credo che
questa sia proprio una cosa voluta dall’autore, anche se secondo me indebolisce
il libro.Rispondendo a una domanda sul futuro significato del suo romanzo, Karunatikala
ha dichiarato che spera che fra vent’anni Le Sette Lune potrà stare
sugli scaffali del fantasy, vicino al Signore degli Anelli e a Harry
Potter.
I’m writing magical books with ghosts and demons, and people are saying, “Yeah, that’s exactly
what Sri Lanka’s like right now.” (Scrivo libri di magia con fantasmi e demoni e la gente dice:” Sì, questo è
esattamente lo Sri Lanka adesso!”)
Tra le cose che ho trovato affascinanti
in questo libro c’è anche la mitologia dello Sri Lanka, simile e diversa
da quella indiana, con una complicatissima gerarchia di demoni stranissimi e
fantasiosi, spaventosa e affascinante.
INFLUENZE
Tra gli autori di cui Karunatilaka
riconosce l’influenza sono evidenti Salman Rushdie per il realismo magico,
Michael Ondaatje (ANIL’S GHOST è l’unico altro romanzo che tratta della guerra
civile in Sri Lanka, per quanto ne so io), Neil Gaiman (fantasy) Kurt Vonnegut
e Douglas Adams (fantascienza/fantasy/humour) ma anche Agatha Christie e
Stephen King per l’aspetto crime. Qualche critico ha fatto riferimento agli
autori russi, in particolare a Gogol e Bulgakov, ma questo non è proprio il mio
campo.