Sul finire dell'anno dedicato all'autore, ci siamo trovate (dove sono gli uomini quando servono?!) per discutere di Franz Kafka.
Partiamo dall'aggettivo kafkiano: sicuramente non tutti hanno letto Kafka, ma sicuramente moltissima gente usa l'aggettivo kafkiano. e, infatti, sta nel vocabolario. La Treccani dice: che richiama l'atmosfera tipica dei racconti di Kafka, e quindi, inquieto, angoscioso, desolante o paradossale, allucinante, assurdo; che colpisce per la spaventosa assurdità dei suoi risvolti; incredibile, inverosimile, spaventoso.
Termine equivalente potrebbe essere perturbante nell'accezione freudiana ... con riferimento a qualcosa che è estraneo e familiare a un tempo, e risuona proprio per questa sua ineliminabile e spiazzante ambiguità.
Il Processo mi è sempre sembrato il testo che meglio rappresenta queste caratteristiche di straniamento, soprattutto usando i luoghi come chiave per esplorarle: la prima udienza si tiene in una soffitta di periferia a cui si accede tramite una cucina; la casa del pittore non ha finestre ma una seconda porta che misteriosamente si apre sulle cancellerie del tribunale; il duomo sembra cambiare forma man mano che K. lo percorre e discute la sua posizione (è questo il suo processo? Dopo tutto, poco dopo c'è l'esecuzione).
Niente ha senso, tanto meno l'esecuzione passiva, senza una sentenza ufficiale. E' tutta un'allucinazione? K. sta impazzendo? Certo il romanzo è il viaggio in una mente che corre verso la follia, ma anche in una società che non ha più punti fermi:
...le nostre autorità...non cercano già la colpa nella popolazione ma, come dice la legge, sono attirate dalla colpa e devono mandare noi a fare i custodi. Questa è la legge. Come potrebbe darsi un errore?
Si rese soltanto conto dell'inutilità di opporre resistenza...Era ancora possibile ricevere aiuto? C'erano obiezioni dimenticate? Certo che ce n'erano. La logica è bensì incrollabile, ma non resiste a un uomo che vuol vivere. Dov'era il giudice che egli non aveva mai visto? Dove il supremo tribunale fino al quale non era mai arrivato? Alzò le mani e allargò le dita.
E' una resa totale. Malgrado muoia interrogandosi legittimamente sulla sua vicenda, K. è esausto per la lotta incomprensibile che ha dovuto sostenere e si lascia sgozzare come un animale al macello, ultimo sentimento la vergogna. Nel Processo vediamo la disgregazione quasi improvvisa della sicurezza e del senso di superiorità del personaggio K., che perde le sue certezze, non ha più punti di riferimento, si trova immerso in una realtà destrutturata ed evanescente (e lo stesso si può dire di Gregor Samsa o dell'agrimensore nel Castello). Il protagonista è smarrito, non è più in grado di svolgere il suo lavoro e non riesce più a controllare le proprie emozioni e i rapporti con le persone che lo circondano. L'assurdità della situazione lo sfinisce e l'alienazione è totale e tragica.
Come K. nel romanzo, anche noi lettori continuiamo a porci domande sull'autore a cui è molto difficile rispondere. Come interpretare la sua simbologia, così densa e complessa da decifrare? La burocrazia impossibile rappresenta la decadenza dell'Impero Austro-Ungarico o l'ombra dei nascenti totalitarismi? E' possibile una lettura freudiana dell'opera di Kafka? E' possibile una resa cinematografica che allarghi la platea di chi riflette sul nostro? (Ricordo solo un tentativo, per me riuscito, di Orson Welles).
Dopo più di un secolo ci stiamo ancora interrogando. Una cosa è certa: della grande generazione del Modernismo, Kafka sembra l'autore che più si è concentrato non solo sul rapporto dell'uomo moderno con se stesso e la propria mente, ma anche, e soprattutto, sul suo rapporto con la società del '900. Ed è l'autore di quella generazione che più ha influenzato il pensiero, se non la tecnica letteraria, di un vastissimo pubblico di lettori, di scrittori, ma anche di tante persone che di letteratura non sanno niente. Situazione kafkiana.