martedì 8 dicembre 2020

Questa foto me l’ha mandata Thomas quando Lidia era ormai alle sue ultime ore. Thomas è un compagno altoatesino che l’ha molto aiutata nell’ultimo periodo, da quando Lidia aveva dovuto smettere di girare come una trottola da nord a sud , per andare dove la chiamavano a parlare i tantissimi circoli e collettivi della disorientata ma tutt’ora grande area di sinistra che non ha mollato. Lei non rispondeva mai di no, partiva come una giovane militante percorrendo l’Italia, su e giù per i treni, come se, anziché esser nata nel 1924, fosse una millennial.

Thomas mi aveva anche veicolato un messaggio di Lidia: «Cara Luciana, con Thomas stiamo facendo esercizio di lettura e di scrittura e ci piacerebbe che la nostra piccola rivista crescesse. Potremmo spedirtela». Allegata, una prima pagina, che sotto la testata Sudtirol, porta questa scritta: «Cercasi, con cortesia, essere umane e esseri umani della specie precedente rispetto all’attuale inumana, per ragionare e immaginare insieme».

È proprio Thomas che mi aveva avvertito che sarebbe stato difficile che Lidia riuscisse a scrivere un ricordo alla morte di Rossana; che infatti non è arrivato. La foto Thomas l’ha scattata il giorno del suo ultimo compleanno, il 3 aprile, e sebbene non sia poi tanto tempo fa ci dà l’immagine della nostra Lidia di sempre: lo sguardo ironico, ridente, sembra ancora giovanissima.

Lidia Menapace è stata, nella storia de Il Manifesto, insieme parte integrante e decisiva della sua leadership praticamente dall’inizio, e un «marziano»: non perché era cattolica, di questi ce ne sono stati sempre molti da noi, ma perché fino alla vigilia del suo approdo nel nostro gruppo ancora in formazione, era stata democristiana. Anzi: assessore per la Dc nella giunta della provincia autonoma di Bolzano.

Arrivò da sola, non ricordo tramite quale contatto, e fui io ad incontrarla per prima , stupefatta, a casa mia. Ho ancora in memoria l’angolo dove, sedute in poltrona, ci annusammo reciprocamente con sospettosa curiosità. Doveva essere la fine del ’69, forse ancora prima che fossimo radiati dal Pci, ma quando erano già usciti due o tre numeri della rivista. So che non doveva essere ancora il ’70 perché – me lo ha confermato Massimo Serafini che ne era stato l’organizzatore (ma lo ricordo anche io) – era già presente al primo convegno operaio del Manifesto che si tenne a Bologna, Borgo Panigale. Una delle nostre prime uscite pubbliche.

Da allora la sua storia è stata la nostra, e se non è mai citata fra i «fondatori» de Il Manifesto è solo perché per esserlo avrebbe dovuto essere anche lei radiata dal Pci; e invece – l’anomalia non è di poco conto – lei fu radiata dalla Dc. Ma «fondatrice» è stata anche lei, a pieno titolo. Fu lei che, fra l’altro, ci introdusse agli scritti di Santa Teresa di Lisieux, e proprio una sua frase divenne il motto più identitario della nostra impresa, non a caso quello con cui Lucio Magri amava spesso chiudere le sue relazioni: «Noi non contiamo niente – aveva detto la Santa – ma dobbiamo operare come se tutto dipendesse da noi»: vale a dire il senso di responsabilità. Una frase densa di significato: averla tenuta presente ci ha evitato di cadere nell’allora assai diffusa faciloneria di una critica degli altri perché non abbastanza coraggiosi da chiamare a questa o quella audacia sconsiderata. Proclamare uno sciopero, per esempio, senza valutare che per chi conta poco se fallisce non se ne accorge nessuno, ma per una grande organizzazione il fallimento ha un prezzo fatale.

Santa Teresa, introdotta nel Manifesto da Lidia, ci ha consentito di non dimenticare di calcolare sempre i rapporti di forza; e di non farsi mai indurre nella tentazione di una critica facilona e un po’ infantile del Pci, pratica allora molto diffusa.  La penultima volta che l’ho incontrata fu a Verbania, quando il locale Museo della Resistenza celebrò Gino Vermicelli, partigiano nelle brigate della Val d’Ossola e autorevole esponente del Pci, che aveva avuto il coraggio (allora per chi aveva una collocazione come quella di Gino vi assicuro che ce ne voleva) di seguire nell’avventura l’indisciplinato gruppo di noi «radiati». Lidia era lì, perché del Manifesto e perché era stata partigiana nella vallata accanto.

E proprio come partigiana l’ho reincontrata l’ultima volta, al Quirinale, nella cerimonia dell’8 marzo cui il presidente invita ogni anno le donne anziane che hanno avuto un qualche ruolo nella storia della Repubblica. Le si avvicinò una giornalista televisiva e allungando il microfono fino al suo viso la presentò dicendo: «E ora ecco la ex partigiana Lidia Menapace». Con la bruschezza che le era solita Lidia le strappò il microfono e disse: «Scusi signorina, io non sono ex, sono tutt’ora partigiana». Sì, Lidia è rimasta sempre partigiana. Perché – e questo è il messaggio che ci lascia – serve essere partigiani, anche quando non si usano le armi. Anzi, è indispensabile.

[Luciana Castellina 08/12/2020]

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Commenti

il 12/08 SR ha commentato Non credo che D'Avenia possa far parte del nostro blog. Certo i suoi libri sono best-sellers tra gli adolescenti, e probabilmente hanno il merito di avviare qualche giovane alla lettura, ma la banalità delle situazioni e del linguaggio non permettono di considerare questi testi letteratura. Diciamo che sono testi "di servizio", nella migliore delle ipotesi. su Prossimamente
il 14/05 SR ha commentato Purtroppo J.K.J. non sembra più funzionare con le ultime generazioni: un tentativo di leggere a scuola Three Men In a Boat è finito miseramente in noia. I ragazzi non capivano cosa c'era da ridere e io non capivo perché non capivano. Tristissimo. Jerome per me è finito in quell'armadio dove tengo gli autori speciali che voglio proteggere dagli studenti... su Jerome K. Jerome, fare ridere l’uomo moderno, spaventato
il 29/02 Ida ha commentato A proposito di classifiche: "Oggi se vai al cinema devi entrare a un’ora fissa, quando il film incomincia, e appena incomincia qualcuno ti prende per così dire per mano e ti dice cosa succede. Ai miei tempi si poteva entrare al cinema a ogni momento, voglio dire anche a metà dello spettacolo, si arrivava mentre stavano succedendo alcune cose e si cercava di capire che cosa era accaduto prima (poi, quando il film ricominciava dall’inizio, si vedeva se si era capito tutto bene - a parte il fatto che se il film ci era piaciuto si poteva restare e rivedere anche quello che si era già visto). Ecco, la vita è come un film dei tempi miei. Noi entriamo nella vita quando molte cose sono già successe, da centinaia di migliaia di anni, ed è importante apprendere quello che è accaduto prima che noi nascessimo; serve per capire meglio perché oggi succedono molte cose nuove." Anch'io,come U.ECO sono andata al cinema nel modo ricordato e quindi io amo ricordare e vorrei tanto poter fare liste di su Chi siamo
il 28/02 Ida ha commentato Grazie Roberta per aver riaperto il blog.Trovo che è un modo per uscire dalla solitudine delle letture personali.Scrivere e leggere accanto, trovo che è un bel modo per parlarci e parlarmi. su Chi siamo