la 25enne irachena Nadia Murad e il medico congolese Denis Mukwege
Ieri, 10 dicembre, la Dichiarazione universale dei diritti umani (Dudu) ha compiuto 70 anni. Un anniversario particolarmente significativo, dato che il suo impianto etico e universalistico viene rinnegato da parte delle forze sovraniste e xenofobe di ogni parte del mondo. È, infatti, la centralità stessa del binomio Dignità e Diritti ad essere rimesso in discussione, con il conseguente collasso di tutti gli articoli successivi dato che, come sancisce l’Articolo 1, vera epitome della Dichiarazione:
Il cosiddetto Cilindro di Ciro, VI sec. a. C.
La Dichiarazione, infatti, è la risultante di una elaborazione millenaria, che parte forse dai principi di eguaglianza che possiamo già ritrovare nel Codice del re babilonese Hammurabi (1692 a.C. al 1750 a.C.), o nel proclama sul «diritto alla felicità» del faraone egizio Amenenhet del 1996 a.C.. Il primo documento cui gli storici dei Diritti Umani fanno esplicito riferimento è però quello promulgato da Ciro il Grande quando, nel 539 a.C., conquistò Babilonia. In questa occasione Ciro liberò gli schiavi, dichiarò che ognuno aveva il diritto di scegliere la propria religione e stabilì l’uguaglianza tra le razze. Queste affermazioni, che avevano forza di legge, furono incise, in lingua accadica, su un cilindro di argilla cotta. Conosciuto oggi come Cilindro di Ciro, è tradotto nelle sei lingue ufficiali delle Nazioni unite e le sue clausole equivalgono di fatto ai primi quattro articoli della «Dudu». Da quel momento, l’idea dei Diritti umani si diffonde verso l’India, la Grecia e infine a Roma, dove influenza la nascita del concetto di «legge naturale».
Ma è nel lungo percorso di avvicinamento verso lo Stato moderno che troviamo le radici più prossime della Dichiarazione: comincia con la Magna Charta Libertatum del 1215, documento emanato dal re d’Inghilterra Giovanni Senza Terra, che contiene un elenco di diritti come quello alla proprietà privata, alla libertà, a non essere condannati senza motivo e giudicati da un organo legittimo. Tuttavia questi diritti non venivano riconosciuti a tutti, ma solo alle classi sociali più importanti: alti prelati e nobili. Sempre in Inghilterra, ma siamo già nel 1679, viene emanato un altro documento fondamentale nell’affermazione dei Diritti umani: l’Habeas corpus Act, in cui si stabiliva che nessuno potesse essere arrestato in modo arbitrario, senza prove concrete di colpevolezza. Sulla scia di questo documento, nel 1689, viene approvato anche il Bill of Rights (Carta dei diritti) in cui si affermano, in particolare, la libertà di religione, di parola e di stampa.
È però nel corso del XVIII secolo che avviene quel rovesciamento radicale di prospettiva caratteristico della formazione dello Stato moderno nel quale, seguendo un cammino in cui la concezione individualistica della società procede progressivamente dal riconoscimento dei diritti del cittadino di un singolo stato al riconoscimento dei diritti del cittadino del mondo, si apre finalmente l’orizzonte all’universalità dei Diritti umani. Di questa evoluzione universalistica fanno certamente parte, sia la nascita dell’Illuminismo per quanto concerne la sua legittimazione etico filosofica, sia le vicende geopolitiche che includono le relazioni tra l’Inghilterra e le sue colonie, in particolare i nascenti Stati uniti d’America, e la Rivoluzione francese.
Queste sono dunque le basi che, nel XX secolo, hanno poi portato ai Quattordici punti redatti dal presidente Woodrow Wilson nel 1918 e ai pilastri delle Quattro libertà enunciati da Franklin Delano Roosevelt nella Carta atlantica del 1941 e, finalmente, alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948.
Ad essa è poi seguita la Convenzione Internazionale sui Diritti economici, sociali e culturali e quella sui Diritti civili e politici, entrambe adottate all’unanimità nel 1966. Altro tassello importante è la più recente Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia del 1989.
[Raffaele K. Salinari]
Ieri, 10 dicembre, la Dichiarazione universale dei diritti umani (Dudu) ha compiuto 70 anni. Un anniversario particolarmente significativo, dato che il suo impianto etico e universalistico viene rinnegato da parte delle forze sovraniste e xenofobe di ogni parte del mondo. È, infatti, la centralità stessa del binomio Dignità e Diritti ad essere rimesso in discussione, con il conseguente collasso di tutti gli articoli successivi dato che, come sancisce l’Articolo 1, vera epitome della Dichiarazione:
«Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza»Per capire, allora, l’importanza fondativa del documento adottato dall’Assemblea generale delle Nazioni unite il 10 dicembre 1948 a Parigi, dobbiamo ripercorrere brevemente la storia dei valori che l’hanno ispirato e delle diverse temperie politiche in cui essi si sono evoluti sino a condensarsi in questo caposaldo dei Diritti umani.
Il cosiddetto Cilindro di Ciro, VI sec. a. C.
La Dichiarazione, infatti, è la risultante di una elaborazione millenaria, che parte forse dai principi di eguaglianza che possiamo già ritrovare nel Codice del re babilonese Hammurabi (1692 a.C. al 1750 a.C.), o nel proclama sul «diritto alla felicità» del faraone egizio Amenenhet del 1996 a.C.. Il primo documento cui gli storici dei Diritti Umani fanno esplicito riferimento è però quello promulgato da Ciro il Grande quando, nel 539 a.C., conquistò Babilonia. In questa occasione Ciro liberò gli schiavi, dichiarò che ognuno aveva il diritto di scegliere la propria religione e stabilì l’uguaglianza tra le razze. Queste affermazioni, che avevano forza di legge, furono incise, in lingua accadica, su un cilindro di argilla cotta. Conosciuto oggi come Cilindro di Ciro, è tradotto nelle sei lingue ufficiali delle Nazioni unite e le sue clausole equivalgono di fatto ai primi quattro articoli della «Dudu». Da quel momento, l’idea dei Diritti umani si diffonde verso l’India, la Grecia e infine a Roma, dove influenza la nascita del concetto di «legge naturale».
Ma è nel lungo percorso di avvicinamento verso lo Stato moderno che troviamo le radici più prossime della Dichiarazione: comincia con la Magna Charta Libertatum del 1215, documento emanato dal re d’Inghilterra Giovanni Senza Terra, che contiene un elenco di diritti come quello alla proprietà privata, alla libertà, a non essere condannati senza motivo e giudicati da un organo legittimo. Tuttavia questi diritti non venivano riconosciuti a tutti, ma solo alle classi sociali più importanti: alti prelati e nobili. Sempre in Inghilterra, ma siamo già nel 1679, viene emanato un altro documento fondamentale nell’affermazione dei Diritti umani: l’Habeas corpus Act, in cui si stabiliva che nessuno potesse essere arrestato in modo arbitrario, senza prove concrete di colpevolezza. Sulla scia di questo documento, nel 1689, viene approvato anche il Bill of Rights (Carta dei diritti) in cui si affermano, in particolare, la libertà di religione, di parola e di stampa.
È però nel corso del XVIII secolo che avviene quel rovesciamento radicale di prospettiva caratteristico della formazione dello Stato moderno nel quale, seguendo un cammino in cui la concezione individualistica della società procede progressivamente dal riconoscimento dei diritti del cittadino di un singolo stato al riconoscimento dei diritti del cittadino del mondo, si apre finalmente l’orizzonte all’universalità dei Diritti umani. Di questa evoluzione universalistica fanno certamente parte, sia la nascita dell’Illuminismo per quanto concerne la sua legittimazione etico filosofica, sia le vicende geopolitiche che includono le relazioni tra l’Inghilterra e le sue colonie, in particolare i nascenti Stati uniti d’America, e la Rivoluzione francese.
Nel corso del 1700 si svilupparono, infatti, in America e in Francia, movimenti di pensiero e politici che sfociarono nell’approvazione di due documenti importanti per la storia dell’evoluzione dei Diritti umani: la Dichiarazione di indipendenza delle colonie americane e la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino in Francia.Alla Dichiarazione di indipendenza era allegata anche una Dichiarazione dei diritti dell’uomo, che rivendicava in particolare quelli alla vita e alla libertà, nonché alla libertà di parola, di stampa, di religione e di riunione. Anche in Francia si sviluppò un analogo movimento che sfociò nella Rivoluzione francese nel 1789, dopo la quale viene redatta la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, sancendo così Diritti fondamentali come l’uguaglianza, la libertà di stampa, pensiero e religione, la presunzione di innocenza e il diritto alla proprietà privata. Per completezza storica va anche evidenziato il ruolo culturale e di incubatore dei nuovi assetti sociali e politici, nonché valoriali, che ebbe in quel tempo, sia in America sia in Francia, la nascita della Libera Muratoria Universale, fondata nel 1717 in Inghilterra ed ispirata dal trinomio Libertà, Fratellanza Eguaglianza. Il fatto che il primo presidente Usa, George Washington, così come molti dei firmatari della Dichiarazione d’indipendenza, fossero Liberi Muratori, non è certamente casuale.
Queste sono dunque le basi che, nel XX secolo, hanno poi portato ai Quattordici punti redatti dal presidente Woodrow Wilson nel 1918 e ai pilastri delle Quattro libertà enunciati da Franklin Delano Roosevelt nella Carta atlantica del 1941 e, finalmente, alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948.
Ad essa è poi seguita la Convenzione Internazionale sui Diritti economici, sociali e culturali e quella sui Diritti civili e politici, entrambe adottate all’unanimità nel 1966. Altro tassello importante è la più recente Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia del 1989.
La Dudu ha costituito anche la base per la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, confluita poi nel 2004 nella Costituzione europea, mai entrata in vigore per via della mancata ratifica da parte di alcuni Stati membri come Francia e Paesi bassi.Questa mancanza è forse alla radice di quella crisi di identità continentale e di debolezza politica che oggi scontiamo proprio con l’attacco delle tendenze sovraniste e xenofobe all’impianto europeo. E dunque anche la Dichiarazione in ambito comunitario, che costituisce la fonte di ispirazione per la Carta dei diritti fondamentali della Ue, sembra essere un bersaglio per le formazioni sovraniste europee che tendono a disconoscerne il pieno valore legale, vincolante per tutti i Paesi aderenti.
[Raffaele K. Salinari]
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