Da Berlino a Calais, in quest’Europa culla del liberismo i muri non passano mai di moda. Parola di Robert Goodwill, (nomen omen)
il ministro britannico conservatore per l’immigrazione, che ieri ha
dichiarato con scoppiettante solerzia alla commissione parlamentare
riunita a Londra per deliberare sulla situazione a Calais e Dunkerque:
«Abbiamo già costruito la recinzione, ora stiamo costruendo il muro».
Quattro metri d’altezza per un chilometro di lunghezza di cemento, eretto parallelamente ai lati dell’autostrada in modo da isolarla del tutto dall’esterno, questo muro è la soluzione della Gran Bretagna post-Brexit al problema della concentrazione di migranti presso il campo di Calais, infelicemente denominato «la giungla», e ormai universalmente noto per la scia di spesso tragici tentativi, da parte dei profughi in fuga da varie zone disastrate del mondo, di salire a bordo dei camion o dei treni diretti a Dover.
Dovrà proteggere l’ultimo tratto di autostrada che porta gitanti, viaggiatori e trasportatori all’imbarco per il ferry o verso l’Eurotunnel, in una potente raffigurazione simbolica che da anni mette spietatamente a confronto i «disagi» del mondo cosiddetto sviluppato rispetto a quelli di chi, non facendone parte, cerca disperatamente di raggiungerlo a costo della propria stessa vita. Parte del campo era già stata sgomberata con la forza di recente; le ultime cifre rilasciate dalla Uk Border Force, che effettua controlli su suolo francese, parlano di 84.088 fermi effettuati presso la zona d’imbarco di persone che cercavano di nascondersi sui camion in transito o nel tunnel dell’Eurostar. I lavori cominceranno entro la fine del mese e si prevede terminino entro l’anno. Il muro costerà circa 1,9 milioni di sterline (oltre 2 milioni di Euro) e fa parte di un pacchetto anglo-francese di misure per un totale di 17 milioni di sterline.
Va ad aggiungersi alla già esistente matassa concentrazionaria di barriere, recinzioni e similari che avvolgono ripetutamente la zona, adiacente alla distesa di tende e baracche in cui vivono circa diecimila homines sacri ivi accampati in condizioni disumane nonostante gli sforzi molteplici del volontariato e delle Ong. Ma il provvedimento ha scontentato anche i suoi presunti beneficiari, gli autotrasportatori stessi: la portavoce della Road Haulage Association britannica ha definito il muro «uno spreco scandaloso del denaro dei contribuenti», che non farà altro che rinviare nel futuro la risoluzione dei problemi. In risposta a quella che considera una misura governativa inadeguata, l’associazione raccomanda ai suoi membri di non fermarsi in un raggio di 200 km da Calais, in modo da non subire gli assalti, a volte notturni e silenziosi, altre apertamente in pieno giorno, dei migranti.
L’annuncio della costruzione della barriera arriva il giorno dopo il blocco stradale nella zona di Calais da parte di autotrasportatori, cittadini, negozianti, agricoltori e sindacalisti della cittadina, che manifestavano per la demolizione del campo.
Che scaturisce da quello, smantellato in seguito a una serie di scontri con la polizia, di Sangatte, sorto nel 1999 a pochi chilometri da Calais. Fu il cosiddetto «Trattato di Le Touquet», firmato nel 2003 dall’allora ministro dell’interno laburista David Blunkett e dalla sua controparte Nicolas Sarkozy, a sancire la nascita dell’accampamento di Calais e a stabilire l’attuale assetto incrociato di controlli francesi su suolo britannico e viceversa. Un trattato bilaterale, e dunque scisso dall’ormai defunta (ma ancora tutta da sciogliere) appartenenza della Gran Bretagna all’Ue.
A svariati secoli dal Vallo di Adriano, questo muro rappresenta la via europea al segregazionismo di cui Donald Trump si è fatto infaticabile propugnatore negli Usa. Ed è così, ricorrendo alla calce e alla cazzuola, che l’atlantismo sembra voler risolvere gli effetti, a breve e lungo termine, della propria politica estera, di cui la situazione di Calais rappresenta la suppurazione. Con una decisione che schiaccia la reputazione aperta e liberale del paese che ha dato al mondo la Magna Carta, capace di ammutolire definitivamente tutte le sviolinate sulla società aperta e i suoi presunti nemici.
[Leonardo Clausi 8/09/2016]
Quattro metri d’altezza per un chilometro di lunghezza di cemento, eretto parallelamente ai lati dell’autostrada in modo da isolarla del tutto dall’esterno, questo muro è la soluzione della Gran Bretagna post-Brexit al problema della concentrazione di migranti presso il campo di Calais, infelicemente denominato «la giungla», e ormai universalmente noto per la scia di spesso tragici tentativi, da parte dei profughi in fuga da varie zone disastrate del mondo, di salire a bordo dei camion o dei treni diretti a Dover.
Dovrà proteggere l’ultimo tratto di autostrada che porta gitanti, viaggiatori e trasportatori all’imbarco per il ferry o verso l’Eurotunnel, in una potente raffigurazione simbolica che da anni mette spietatamente a confronto i «disagi» del mondo cosiddetto sviluppato rispetto a quelli di chi, non facendone parte, cerca disperatamente di raggiungerlo a costo della propria stessa vita. Parte del campo era già stata sgomberata con la forza di recente; le ultime cifre rilasciate dalla Uk Border Force, che effettua controlli su suolo francese, parlano di 84.088 fermi effettuati presso la zona d’imbarco di persone che cercavano di nascondersi sui camion in transito o nel tunnel dell’Eurostar. I lavori cominceranno entro la fine del mese e si prevede terminino entro l’anno. Il muro costerà circa 1,9 milioni di sterline (oltre 2 milioni di Euro) e fa parte di un pacchetto anglo-francese di misure per un totale di 17 milioni di sterline.
Va ad aggiungersi alla già esistente matassa concentrazionaria di barriere, recinzioni e similari che avvolgono ripetutamente la zona, adiacente alla distesa di tende e baracche in cui vivono circa diecimila homines sacri ivi accampati in condizioni disumane nonostante gli sforzi molteplici del volontariato e delle Ong. Ma il provvedimento ha scontentato anche i suoi presunti beneficiari, gli autotrasportatori stessi: la portavoce della Road Haulage Association britannica ha definito il muro «uno spreco scandaloso del denaro dei contribuenti», che non farà altro che rinviare nel futuro la risoluzione dei problemi. In risposta a quella che considera una misura governativa inadeguata, l’associazione raccomanda ai suoi membri di non fermarsi in un raggio di 200 km da Calais, in modo da non subire gli assalti, a volte notturni e silenziosi, altre apertamente in pieno giorno, dei migranti.
L’annuncio della costruzione della barriera arriva il giorno dopo il blocco stradale nella zona di Calais da parte di autotrasportatori, cittadini, negozianti, agricoltori e sindacalisti della cittadina, che manifestavano per la demolizione del campo.
Che scaturisce da quello, smantellato in seguito a una serie di scontri con la polizia, di Sangatte, sorto nel 1999 a pochi chilometri da Calais. Fu il cosiddetto «Trattato di Le Touquet», firmato nel 2003 dall’allora ministro dell’interno laburista David Blunkett e dalla sua controparte Nicolas Sarkozy, a sancire la nascita dell’accampamento di Calais e a stabilire l’attuale assetto incrociato di controlli francesi su suolo britannico e viceversa. Un trattato bilaterale, e dunque scisso dall’ormai defunta (ma ancora tutta da sciogliere) appartenenza della Gran Bretagna all’Ue.
A svariati secoli dal Vallo di Adriano, questo muro rappresenta la via europea al segregazionismo di cui Donald Trump si è fatto infaticabile propugnatore negli Usa. Ed è così, ricorrendo alla calce e alla cazzuola, che l’atlantismo sembra voler risolvere gli effetti, a breve e lungo termine, della propria politica estera, di cui la situazione di Calais rappresenta la suppurazione. Con una decisione che schiaccia la reputazione aperta e liberale del paese che ha dato al mondo la Magna Carta, capace di ammutolire definitivamente tutte le sviolinate sulla società aperta e i suoi presunti nemici.
[Leonardo Clausi 8/09/2016]
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