Un nuovo impulso arriva dalla magistratura: il giudice argentino Maria
Romilda Servini ha accolto l’istanza dell’Associazione per il Recupero
della Memoria Storica (che in Spagna si adopera perché siano riaperte
tutte le fosse comuni ancora intatte dai tempi della guerra e della
successiva repressione) affinché la morte di García Lorca rientri fra i
crimini contro l’umanità. Emilio Silva, presidente dell’associazione, è
riuscito a consultare un documento del comando superiore della Polizia
di Granada datato 9 luglio 1965 (dieci anni prima della fine della
dittatura di Francisco Franco), in cui sarebbero ricostruite «in maniera
affidabile» le circostanze dell’arresto e dell’omicidio di García
Lorca. Per la prima volta viene dunque alla luce la versione ufficiale
del regime sulla morte del poeta, definito «socialista e massone» e a
cui vengono attribuite, testualmente, «pratiche di omosessualità,
aberrazione che è arrivata ad essere vox populi». Più o meno le
motivazioni della sua condanna a morte. Il magistrato argentino,
specializzato in inchieste sulle violazioni dei diritti umani nella
Spagna franchista, ha deciso dunque di occuparsi del caso. Finora
circondato da molti dubbi e interrogativi.
A cominciare dalla data esatta della morte, che è ancora, e resterà quasi certamente approssimativa:
ieri, oggi o domani, comunque in queste ore, 80 anni fa, Garcia Lorca
veniva fucilato dopo essere stato arrestato e, non si esclude, torturato
dai falangisti. Il momento ufficiale della sua morte è stato fissato
all’alba del 19 agosto del 1936, il luogo dove giacciono i suoi resti
rimane un mistero da quel giorno, nonostante anni di scavi, ricerche,
consulenze di testimoni oculari, ormai tutti scomparsi. È incerta anche
la dinamica di un delitto maturato nel clima di sospetto, vendette, odio
dell’inizio della guerra civile in Spagna. Mentre sembra quasi sicuro
che García Lorca fu sepolto in una fossa comune in compagnia di un
maestro di scuola e due toreri anarchici, eliminati con lui, a Viznar,
dalle parti di Granada. O almeno così riferì all’inizio degli anni
Settanta Manuel Castilla, sedicenne, all’epoca, costretto dagli
assassini a scavare la tomba, forse solo provvisoria, del già famoso
scrittore trentottenne e dei suoi sventurati compagni di prigionia.
Anche se, nel dossier fornito agli inquirenti argentini, il rapporto
ufficiale parla di una sola altra persona «passata per le armi» assieme
allo scrittore.
Ma nel luogo indicato da Castilla al più importante biografo di García Lorca,
l’ispanista di origini irlandesi Ian Gibson, non fu trovato nulla. Un
altro testimone, Antonio García, avrebbe raccontato ai compaesani di
aver saputo da un conoscente che il corpo del poeta era stato
disseppellito poco dopo la morte e sotterrato a un centinaio di metri di
distanza, per evitarne o ritardarne il ritrovamento. In ogni caso ogni
ricerca è stata interrotta un paio d’anni fa dal governo andaluso che
aveva già investito 70 mila euro nelle ispezioni e non sembra disposto a
erogarne uno di più. Storici e archeologi, possono tantomeno sperare
nell’aiuto della famiglia che, fin dall’inizio, si oppone all’eventuale
esumazione dei resti del poeta. Le ricerche infatti sono state avviate,
formalmente, per ritrovare i resti del maestro elementare Dioscoro
Galindo Gonzalez, e del «banderillero» anarchico Francisco Galadì, i cui
discendenti invece vorrebbero dare loro degne sepolture.
Per la nipote Laura García Lorca de los Rios, che amministra la Fondazione
intitolata allo zio, tutto questo accanimento non ha senso: la tomba di
García Lorca, per la famiglia, è là dove è stata piantata una lapide in
sua memoria, a Fuente Grande di Alfacar, vicino all’ulivo che sarebbe
stato testimone della sua fine. La resistenza della famiglia ha dato
adito a voci e pettegolezzi di ogni genere, come l’insinuazione che i
famigliari avessero recuperato molti anni fa i resti di Federico,
seppellendoli all’interno della loro proprietà di campagna, La Huerta de
San Vicente.
[ELISABETTA ROSASPINA, inviata a Parigi]
Nessun commento:
Posta un commento