Scrittrice e traduttrice, Daniela Piu ha pubblicato due romanzi interessanti e a distanza ravvicinata l’uno dall’altro. Scorrevoli nello stile come anche nell’intreccio degli avvenimenti, si intitolano rispettivamente Uminza (L’Erudita edizioni, pp. 86, euro 16) e Mea la fea (ExCogita editore, pp. 95, euro 13). Due storie diverse ma entrambe ambientate perlopiù in Sardegna, terra che ha dato i natali anche a Piu e che le dà l’agio di descrivere nel dettaglio dei luoghi peculiari e così carichi di storie. Sia Uminza che Mea la fea hanno il Novecento come sfondo e due protagoniste femminili che danno il titolo ai testi.

Brevi entrambi, anche se densi di riferimenti, ciò che li lega è il taglio scelto dall’autrice che ricorda il romanzo di formazione, se non fosse che basterebbe leggere le novelle di Grazia Deledda, alcune atmosfere di Sergio Atzeni o anche le agili narrazioni di Milena Agus per avere dei riferimenti, meno e più recenti, su quanto la letteratura prodotta in Sardegna abbia una tradizione notevole. Uminza, come Mea la fea, sono nomi e, nel primo caso, è lo strano appellativo che le viene dato alla nascita perché di capelli rossa scura come il pelo di un tipo di capra che si chiama appunto così: uminza.

Ciò indica anche alcuni tratti del carattere, perché questa bambina nata in Sardegna sarà anfibia tra Nuoro e Roma e poi una disobbediente, a Parigi e infine nel mondo. Mea la fea è battezzata tale non tanto perché «brutta» ma perché fastidiosa e non si concede alle dinamiche stereotipate. Anche a quelle sociali è refrattaria ed è sodale letteraria di Uminza. Entrambe, per strade diverse, percorrono contraddizioni storiche e la difficoltà per le ragazze di affermarsi senza cedere al giogo maschile. Daniela Piu dipinge due ritratti di grande respiro e sorprendente modernità.

[Pietro Rebusi 19/08/2023]