sabato 21 marzo 2020

sabato 21 marzo 2020

Carissime,

Il primo giorno di Primavera del 2010 non si potrà dimenticare. Abito in campagna e vivo il privilegio di questa condizione pensando a chi da giorni è confinato nel proprio appartamento, magari in uno di quei quartieri delle periferie degradate delle nostre città. Uscito di casa posso godere del  tepore del sole primaverile camminando lungo l’argine dell’Adige che scorre placido e inconsapevole, in un ambiente campestre dove gli unici  suoni sono quelli  degli uccelli che intrecciano i  loro voli in un ambiente in cui la natura in fiore dovrebbe aprire l’animo ad un’esperienza di armonia e di serenità. Ma  i pensieri corrono in un’altra direzione, lo spirito non può sintonizzarsi con l’ambiente circostante, la mente è pressata dai dati sempre più preoccupanti sull’emergenza causata dal diffondersi nel mondo del coronavirus.
E da questa prospettiva, quella della storia degli uomini, della società e della cultura mi sembra, invece, di vivere l’esperienza del passaggio in una nebbia imprevista e impensabile nelle sue proporzioni, che impedisce di capire, vedere, prevedere. E tutto concorre a creare un senso di precarietà e fragilità che non di potrà dimenticare.  Si vive in una profonda incertezza che si allarga soprattutto davanti al nostro sguardo verso il futuro, quello più prossimo, che nessuno è in grado di prefigurare. Anche la scienza vacilla e naviga a vista e questo mi sembra il dato più significativo di questo evento epocale. Nel mondo secolarizzato della modernità nel quale le religioni hanno perso quel ruolo di creazione di orizzonti di senso , di costruzione di certezze indiscusse, la scienza si era assunta il compito di definire nuovi, seppure provvisori, capisaldi su cui l’umanità poteva contare per continuare il suo cammino. Ma vediamo quanto siano fragili e quanto poco sia sufficiente per rovesciare sicurezze, previsioni ed aspettative che neanche erano ipotizzabili tanto sono impreviste e imprevedibili. Non possiamo evitare di affidarci in questo momento agli esperti, agli scienziati che i governi consultano per prendere i provvedimenti  ritenuti necessari per fronteggiare l’emergenza, ma vediamo quanto anche gli uomini di scienza siano in difficoltà nel capire e prevedere e quanto questa incapacità si traduca in contrasti e divergenza di opinioni. E’ stato spontaneo in questi giorni stupirci, e magari indignarci, per le affermazioni e le decisioni di Boris Johnson, ma dietro a Johnson, come a tutti i capi di governo, ci sono gli scienziati, con le loro analisi, le loro previsioni, i loro modelli matematici. I picchi, di cui tutti ormai parlano,  previsti secondo questi modelli, sono sistematicamente corretti e posticipati nel tempo.  Ed è quasi paradossale che tutto questo ciclone sia causato da un virus, cioè da un ente il cui statuto ontologico non è ancora definito. Non intendo il coronavirus che è un virus di cui conosciamo pochissimo, ma proprio il virus come ente generico di natura che aspetta ancora una classificazione condivisa. Il virus è un organismo vivente o va riferito al mondo dell’inorganico? Il problema è aperto e discusso.
Il 26 Febbraio sul “il manifesto “ è apparso un intervento del filosofo Giorgio Agamben che ha sollevato un putiferio, il titolo era: “Lo stato d’eccezione provocato da un’emergenza immotivata”.  Il pensiero di Agamben si può riassumere in questa frase che cito testualmente “Si direbbe che esaurito il terrorismo come causa di provvedimenti d’eccezione, l’invenzione di un’epidemia possa offrire il pretesto ideale per ampliarli oltre ogni limite”. I provvedimenti d’eccezione sono quelli che stanno limitando enormemente le libertà individuali, ma non sono interessato qui a discutere la tesi di Agamben. Quello che tutti i commentatori , alcuni con toni sprezzanti, hanno trascurato è la premessa del ragionamento di Agamben. In premessa citava una nota molto rassicurante del CNR, dal titolo “Coronavirus. Rischio basso, capire condizioni vittime”, cioè assumeva, con atto di fede, il messaggio che arrivava dalla fonte delle nostre sicurezze : la scienza . Quella nota del 22 Febbraio a leggerla in questi giorni sembra di qualche anno fa. Vi era scritto tra l’altro “l’infezione, dai dati epidemiologici oggi disponibili su decine di migliaia di casi, causa sintomi lievi/moderati (una specie di influenza) nell’80-90% dei casi. Nel 10-15% può svilupparsi una polmonite, il cui decorso è però benigno in assoluta maggioranza. Si calcola che solo il 4% dei pazienti richieda ricovero in terapia intensiva”. E più avanti “Non c'è un'epidemia di SARS-CoV2 in Italia. Il quadro potrebbe cambiare ovviamente nei prossimi giorni, ma il nostro sistema sanitario è in stato di massima allerta e capace di gestire efficacemente anche la eventuale comparsa di altri piccoli focolai come quello attuale.”
Questo solo per dire quanto difficile sia davanti a questa emergenza fare previsioni, quanta nebbia debba diradarsi prima di capire quando e soprattutto come ne usciremo. Ecco, se c’è una cosa che è possibile prevedere è che da questa pandemia, come da tutte quelle che l’hanno preceduta, se ne uscirà.  Ma quando e come, ad oggi, nessuno può dirlo. Le notizie che arrivano dalla Cina e dalla Corea sono confortanti, quelle che arrivano dall’Europa, dall’America e dall’Africa , povera Africa, molto meno.  E anche su queste notizie, confrontando statistiche e numeri,  si aprono problemi che è difficile al momento risolvere.
La Primavera è la stagione del risveglio e della speranza , oggi è difficile viverla, ma confidiamo che la prossima sarà certamente migliore.
Un saluto a tutti
Paolo

mercoledì 4 marzo 2020

incontro del 4 marzo 2020

 Carissim*, 
epidemia permettendo, ci troviamo mercoledì 4 marzo a casa di Chiara per rileggere insieme L'Ibisco Viola di Chimamanda Ngozi Adichie.
Per motivi organizzativi, date conferma.
Grazie
A presto
Silvia