lunedì 20 giugno 2016

La letteratura è una felicità senza nome

Crescere è un atto di immaginazione. Così Lyndall Gordon descrive l’inclinazione di Charlotte Brontë nell’esercizio della sua grandezza. Decisiva è stata «la sua capacità di scrivere dall’oscurità – le tenebre di un sé non visto». Di Gordon, che ha all’attivo altre biografie tra cui quella di Emily Dickinson e un volume dedicato a T.S. Eliot, ora si può leggere anche Charlotte Brontë. Una vita appassionata (Fazi, pp. 496, euro 18, traduzione di Nicola Vincenzoni), che ripercorre la vita della scrittrice di cui quest’anno ricorrono i 200 anni dalla nascita.
Nell’occasione del bicentenario dell’autrice di Jane Eyre, sono state pensate alcune pubblicazioni anche in Italia.
È di qualche mese fa la riedizione per Castelvecchi della biografia scritta dalla sua cara amica Elizabeth Gaskell, tradotta la prima volta nel 1987 per La Tartaruga. E poi le lettere (1847- 1853), tra cui spiccano alcune traduzioni inedite raccolte nel volume Ho tentato tre inizi, edito per L’Iguana, in cui si può ammirare il carattere indomito e schietto che Brontë attivava nelle sue interlocuzioni con amici ed editori – sia con il suo nom de plume che dopo lo svelamento della sua vera identità. Newton Compton, invece, ripropone Shirley, per la cura di Fedora Dei. 
Tuttavia, in questo scenario piuttosto articolato, il volume di Lyndall Gordon e la prima traduzione italiana – a cura di Martina Rinaldi – sempre per Fazi, del romanzo Il professore (pp. 304, euro 18) sono da leggere con grande attenzione.
Intanto riguardo alcune collocazioni biografiche della scrittrice, lo sguardo di Gaskell che consegnava la scrittrice a una insopprimibile postura tormentosa, assume nelle parole di Gordon una torsione di libertà, apertura sulla stoffa esistenziale e di scelte che Brontë è riuscita a portare a compimento. Proprio il tratto introspettivo già notato da Gaskell e definito moderatamente come «carattere domestico», Lyndall Gordon lo fa esplodere di forza luminosa riconoscendo alla minuta autrice dello Yorkshire una rara e consapevole tenacia guerriera.
Il professore, primo romanzo scritto da Brontë e pubblicato postumo nel 1857, consente invece di ricostruire l’arco lungo che arriva fino alla scrittura di Villette
Il professore William Crimsworth nella sua relazione con la studente Frances Henri, interroga allora le consonanze esperienziali della giovane Charlotte nella sua relazione con Constantin Heger, insegnante incontrato nel 1842 durante il suo soggiorno a Bruxelles per imparare il francese.
«Un esserino nero», dotato di grande acume e capace di una collera da «iena delirante» e irascibilità. Crudeltà, patimento e passione sono al fondo delle parole che Heger dedicava alla giovane allieva. Primo e significativo ricettacolo di desiderio, erotico e intellettuale, elementi sinestetici permangono ancora in Villette e anche in alcuni punti del ben più noto Jane Eyre in cui Rochester accusa un’aria di famiglia con Heger. L’eccitazione provata da Brontë non era tuttavia imputabile a una banale e scolastica infatuazione verso un mentore che manipola la propria posizione dispari.
Non è un apprendistato alla sessualizzazione del conflitto, né del fascino verso il potere maschile. In carne viva, è «una felicità senza nome», l’idea di essere vista attraverso un reciproco e «potente sentimento», amalgama in preda a vertigini ondivaghe senza nessun preavviso, «che mettono a repentaglio le nostre vite». Grazie a questo impeto, solo una donna già liberata come lo era Brontë poteva concedere a se stessa di moltiplicarsi nella scrittura, corpo del desiderio e del godimento insieme. Che ciò abbia determinato lo stare sulla faglia, dinanzi a un’eccedenza pericolosa vien da sé. Come il genio, avventato e «audace sforzo dell’io» in cui far convergere la disciplina – perché a Charlotte Brontë, nonostante l’inaddomesticato che la abitava, controllo della parola ed esercizio formale non mancavano affatto.
E se sono questi gli elementi che la restituiscono a un orizzonte che non sia puramente di emancipazione bensì di libertà femminile, non stupisce constatare che ancora oggi Charlotte Brontë sia letta e interpellata seriamente. 
Nasce così il volume a più voci L’ho sposato lettore mio (Neri Pozza, pp. 300, euro 18) a cura di Tracy Chevalier e composto da 21 racconti di altrettante scrittrici a partire dalla celebre frase contenuta in Jane Eyre. Tra le mani di Tessa Hadley, Sarah Hall, Helen Dunmore, e poi ancora Susan Hill, Francine Prose e altre, il fascino di quella affermazione di un io che sporge dalla pagina, diviene l’invenzione per ulteriori narrazioni. Amori, risentimenti e atti di trasformazione multipla, arrivano a risignificare un posto nel mondo che non cede al mero risultato matrimoniale ma è unione di desiderio in cui non vi è riscatto, ancora una volta, se non nel simbolico atto di saper enunciare se stesse.
[Alessandra Pigliaru 20/06/2016]

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Commenti

il 12/08 SR ha commentato Non credo che D'Avenia possa far parte del nostro blog. Certo i suoi libri sono best-sellers tra gli adolescenti, e probabilmente hanno il merito di avviare qualche giovane alla lettura, ma la banalità delle situazioni e del linguaggio non permettono di considerare questi testi letteratura. Diciamo che sono testi "di servizio", nella migliore delle ipotesi. su Prossimamente
il 14/05 SR ha commentato Purtroppo J.K.J. non sembra più funzionare con le ultime generazioni: un tentativo di leggere a scuola Three Men In a Boat è finito miseramente in noia. I ragazzi non capivano cosa c'era da ridere e io non capivo perché non capivano. Tristissimo. Jerome per me è finito in quell'armadio dove tengo gli autori speciali che voglio proteggere dagli studenti... su Jerome K. Jerome, fare ridere l’uomo moderno, spaventato
il 29/02 Ida ha commentato A proposito di classifiche: "Oggi se vai al cinema devi entrare a un’ora fissa, quando il film incomincia, e appena incomincia qualcuno ti prende per così dire per mano e ti dice cosa succede. Ai miei tempi si poteva entrare al cinema a ogni momento, voglio dire anche a metà dello spettacolo, si arrivava mentre stavano succedendo alcune cose e si cercava di capire che cosa era accaduto prima (poi, quando il film ricominciava dall’inizio, si vedeva se si era capito tutto bene - a parte il fatto che se il film ci era piaciuto si poteva restare e rivedere anche quello che si era già visto). Ecco, la vita è come un film dei tempi miei. Noi entriamo nella vita quando molte cose sono già successe, da centinaia di migliaia di anni, ed è importante apprendere quello che è accaduto prima che noi nascessimo; serve per capire meglio perché oggi succedono molte cose nuove." Anch'io,come U.ECO sono andata al cinema nel modo ricordato e quindi io amo ricordare e vorrei tanto poter fare liste di su Chi siamo
il 28/02 Ida ha commentato Grazie Roberta per aver riaperto il blog.Trovo che è un modo per uscire dalla solitudine delle letture personali.Scrivere e leggere accanto, trovo che è un bel modo per parlarci e parlarmi. su Chi siamo