Crescere è un atto
di immaginazione. Così Lyndall Gordon descrive l’inclinazione di
Charlotte Brontë nell’esercizio della sua grandezza. Decisiva è stata
«la sua capacità di scrivere dall’oscurità – le tenebre di un sé non
visto». Di Gordon, che ha all’attivo altre biografie tra cui quella di
Emily Dickinson e un volume dedicato a T.S. Eliot, ora si può leggere
anche Charlotte Brontë. Una vita appassionata (Fazi, pp. 496,
euro 18, traduzione di Nicola Vincenzoni), che ripercorre la vita della
scrittrice di cui quest’anno ricorrono i 200 anni dalla nascita.
Nell’occasione del bicentenario dell’autrice di Jane Eyre, sono state pensate alcune pubblicazioni anche in Italia.
È di qualche mese fa la
riedizione per Castelvecchi della biografia scritta dalla sua cara
amica Elizabeth Gaskell, tradotta la prima volta nel 1987 per La
Tartaruga. E poi le lettere (1847- 1853), tra cui spiccano alcune
traduzioni inedite raccolte nel volume Ho tentato tre inizi,
edito per L’Iguana, in cui si può ammirare il carattere indomito e
schietto che Brontë attivava nelle sue interlocuzioni con amici ed
editori – sia con il suo nom de plume che dopo lo svelamento della sua vera identità. Newton Compton, invece, ripropone Shirley,
per la cura di Fedora Dei.
Tuttavia, in questo scenario piuttosto
articolato, il volume di Lyndall Gordon e la prima traduzione italiana –
a cura di Martina Rinaldi – sempre per Fazi, del romanzo Il professore (pp. 304, euro 18) sono da leggere con grande attenzione.
Intanto riguardo alcune
collocazioni biografiche della scrittrice, lo sguardo di Gaskell che
consegnava la scrittrice a una insopprimibile postura tormentosa, assume
nelle parole di Gordon una torsione di libertà, apertura sulla stoffa
esistenziale e di scelte che Brontë è riuscita a portare a compimento.
Proprio il tratto introspettivo già notato da Gaskell e definito
moderatamente come «carattere domestico», Lyndall Gordon lo fa esplodere
di forza luminosa riconoscendo alla minuta autrice dello Yorkshire una
rara e consapevole tenacia guerriera.
Il professore,
primo romanzo scritto da Brontë e pubblicato postumo nel 1857, consente
invece di ricostruire l’arco lungo che arriva fino alla scrittura di Villette.
Il professore William Crimsworth nella sua relazione con la studente
Frances Henri, interroga allora le consonanze esperienziali della
giovane Charlotte nella sua relazione con Constantin Heger, insegnante
incontrato nel 1842 durante il suo soggiorno a Bruxelles per imparare il
francese.
«Un esserino nero»,
dotato di grande acume e capace di una collera da «iena delirante» e
irascibilità. Crudeltà, patimento e passione sono al fondo delle parole
che Heger dedicava alla giovane allieva. Primo e significativo
ricettacolo di desiderio, erotico e intellettuale, elementi sinestetici
permangono ancora in Villette e anche in alcuni punti del ben più noto Jane Eyre
in cui Rochester accusa un’aria di famiglia con Heger. L’eccitazione
provata da Brontë non era tuttavia imputabile a una banale e scolastica
infatuazione verso un mentore che manipola la propria posizione dispari.
Non è un apprendistato
alla sessualizzazione del conflitto, né del fascino verso il potere
maschile. In carne viva, è «una felicità senza nome», l’idea di essere
vista attraverso un reciproco e «potente sentimento», amalgama in preda a
vertigini ondivaghe senza nessun preavviso, «che mettono a repentaglio
le nostre vite». Grazie a questo impeto, solo una donna già liberata
come lo era Brontë poteva concedere a se stessa di moltiplicarsi nella
scrittura, corpo del desiderio e del godimento insieme. Che ciò abbia
determinato lo stare sulla faglia, dinanzi a un’eccedenza pericolosa
vien da sé. Come il genio, avventato e «audace sforzo dell’io» in cui
far convergere la disciplina – perché a Charlotte Brontë, nonostante
l’inaddomesticato che la abitava, controllo della parola ed esercizio
formale non mancavano affatto.
E se sono questi gli elementi
che la restituiscono a un orizzonte che non sia puramente di
emancipazione bensì di libertà femminile, non stupisce constatare che
ancora oggi Charlotte Brontë sia letta e interpellata seriamente.
Nasce
così il volume a più voci L’ho sposato lettore mio (Neri Pozza,
pp. 300, euro 18) a cura di Tracy Chevalier e composto da 21 racconti
di altrettante scrittrici a partire dalla celebre frase contenuta in Jane Eyre.
Tra le mani di Tessa Hadley, Sarah Hall, Helen Dunmore, e poi ancora
Susan Hill, Francine Prose e altre, il fascino di quella affermazione di
un io che sporge dalla pagina, diviene l’invenzione per ulteriori
narrazioni. Amori, risentimenti e atti di trasformazione multipla,
arrivano a risignificare un posto nel mondo che non cede al mero
risultato matrimoniale ma è unione di desiderio in cui non vi è
riscatto, ancora una volta, se non nel simbolico atto di saper enunciare
se stesse.
[Alessandra Pigliaru 20/06/2016]
Nessun commento:
Posta un commento