Il duecentenario della scrittrice di «Jane Eyre» viene
celebrato da una serie di libri, mentre la National Portrait di Londra
le dedica una mostra con acquerelli che dipinse lei stessa, pagine di
diari, lettere e opere della sua infanzia.
«Aveva i capelli di un castano luminoso che cadevano
sulle spalle in riccioli pieni di grazia e occhi di un blu violetto,
con sopracciglia marroni ben disegnate». È la descrizione di Anne Brontë
fatta dall’amica di Charlotte, Ellen Nussey (la stessa con cui la
scrittrice scambiò centinaia di lettere e che fu la prima ad essere
messa al corrente della scomparsa dell’autrice di Jane Eyre). E quella sorella minore – che dette alle stampe Agnes Grey
– venne dipinta rispettando in tutto questi canoni di bellezza. Appare
proprio così nell’ovale esposto alla National Portrait di Londra la
giovanissima Anne, intorno agli anni Trenta dell’Ottocento: è un
acquerello, uno dei tanti con cui Charlotte Brontë si dilettava,
copiando dai maestri paesaggi o scene mitologiche e facendo posare
conoscenti e famigliari. Da principio, infatti, lei voleva diventare
un’artista del pennello e condivideva con suo fratello Branwell la
passione per la pittura e per le visite ai musei.
Quest’ultimo,
anzi, aspirava a diventare un ritrattista di professione: la piccola e
preziosissima mostra che si può visitare nella sala 24 della National
Portrait di Londra (in omaggio al duecentenario della scrittrice) ruota
tutta intorno a un quadro eccezionale per il suo valore documentario. È
il dipinto che Branwell fece a diciassette anni, intorno al 1834, con le
tre sorelle in posa e al centro, una grande macchia di colore che, ai
raggi ultravioletti, si è rivelata essere il residuo di una
cancellazione, un «pentimento» in cui l’autore ha tagliato via se stesso
da quell’immagine di famiglia.
Noto agli studiosi perché ripreso nella celebre
biografia che Elisabeth Gaskell dedicò a Charlotte Brontë per rinverdire
la sua reputazione – affinché il ricordo della sua figura non si
fermasse al suo ruolo di istitutrice presso case di campagna – e farne
una figura potente e tragica, è il fulcro della mostra: è il solo
ritratto sopravvissuto probabilmente a molti disegni realizzati in
quegli anni e le sue condizioni non buone sono dovute al fatto che per
cinquant’anni è rimasto piegato, nell’armadio della fattoria dove visse
il vedovo di Charlotte, il reverendo Arthur B. Nicholls con la sua
seconda moglie. Fu lei, Mary Anne, a scovarlo nel 1914 e la National
Portrait lo acquistò.
Il comitato scientifico del museo decise poi di non restaurarlo per
lasciare visibili le tracce della sua particolare storia. Insieme a quel
dipinto, nello stesso armadio, venne ritrovato anche quello dell’altra
sorella Anne (che troviamo nel percorso espositivo). Il volto di
Charlotte Brontë lo conosciamo anche grazie all’opera di George
Richmond, fatto su commissione dell’editore Smith nel 1850: la leggenda
vuole che lei fuggisse in lacrime di fronte alla richiesta del pittore
di cambiare pettinatura, sciogliendo i capelli per levarsi di dosso
quell’aria ammuffita e da vecchia.
La rassegna, visitabile con entrata gratuita fino al
14 agosto, si presenta come una imperdibile occasione per chi non può
spingersi fino a l villaggio di Haworth, nello Yorkshire, dove la
famiglia Brontë visse e dove oggi, nella loro casa, c’è il Parsonage
museum. Molti degli oggetti che raccontano la vita privata e l’infanzia
della scrittrice provengono da lì e sono concessi molto raramente in
prestito. Nelle teche e sulle pareti sono narrate due storie che si
intrecciano. C’è quella pubblica e letteraria che si dispiega attraverso
le prime edizioni del romanzo Jane Eyre, della sua biografia
scritta da Gaskell, con le lettere più «professionali» e i ritratti dei
personaggi di riferimento nella costellazione «Brontë», da Byron al duca
di Wellington, l’eroe che sconfisse Napolone a Waterloo fino al critico
Lewes. George Henry Lewes, influente critico e giornalista, ebbe uno
scambio epistolare tempestoso, nel corso degli anni, con la scrittrice:
la redarguì per le sue produzioni letterarie «melodrammatiche» (la sua
stella era Jane Austen) e disse anche che per le donne era meglio
occuparsi di gravidanze. Lei non si scoraggiò e più volte rispose per le
rime.
[ Arianna di Genova 20/06/2016]
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