venerdì 16 gennaio 2015

Yoshe Kalb, I.J. Singer


 
Scritto dal fratello di Isaac Bashevis Singer (premio Nobel per la letteratura 1978), a partire da una storia vera, Yoshe Kalb, apparve dapprima a puntate, in yiddish sul "Jewish Daily Forward" nel 1932 (e il successo fu così clamoroso che ne venne tratta una non meno acclamata pièce teatrale), poi in volume, a Varsavia, nello stesso anno; nel 1933 fu tradotto in inglese con il titolo The Sinner.
C'è un filo sottile che lega Israel Joshua Singer a Yoshe Kalb ed è, paradossalmente, quello della rottura, del cambiamento. Per l'autore, questo romanzo (datato 1932 e ora riedito da Adelphi, con prefazione di Isaac Singer e traduzione di Bruno Fonzi, a cura di Elisabetta Zevi) ha rappresentato il ritorno all'uso della lingua Yiddish e anche una rinascita personale.
Anche Nahum, il protagonista dell'opera, è un elemento di discontinuità con il mondo in cui vive e incarna un rapporto complesso con l'ebraismo e l'ebraicità. Questo giovane chassid è diviso tra gli studi sacri e cabalistici e la passione carnale. In lui convivono fragilità, anche fisica, come si intuisce dalle lunghe descrizioni, e determinazione, vitalità e introspezione.
Il romanzo è un affresco ricco e raffinato che descrive con pennellate precise il cosmo ebraico dell'epoca. Lì convivono santi e rabbini, stolti e truffatori, donne pie e peccaminose, intellettuali e mercanti e, soprattutto, fedeli devoti che sfuggono ai matrimoni combinati cercando travolgenti passioni fisiche. Tutti raccontati con un registro che oscilla sapientemente fra tragedia e ironia, un'alternanza tipica del mondo chassidico ed ebraico.
Nahum/Yoshe è l'ebreo errante, in viaggio alla ricerca di sé e della propria identità, e ben rappresenta i conflitti interiori che la psicoanalisi aveva cominciato a raccontare da qualche decennio prima dell'uscita del libro.

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