giovedì 22 gennaio 2015

Rassegna gaia

Intanto devo dire che siamo sul pezzo.  Bollati Boringhieri ha pubblicato "A oriente del giardino dell'eden" di Israel Singer e Newton compton ha pubblicato in ultra economica tutti gli altri libri del nostro, compreso Yoshe Kalb. Quindi sull'ultimo Tuttolibri un'intera pagina con un pezzo dell'ottima Elena Lowenthal e uno assai lungo di Moni Ovadia.
Di mio ho, invece, continuato con la musica .Approfondendo le suggestioni del rapporto tra jazz e Belgio. E ho scoperto che tra i tanti meriti della nazione (ahimè assai di attualità in questi terribili giorni) c'è anche quello di avere dato i natali alla prima rivista europea di jazz nel 1946 che si chiamava "Hot club magazine". Nel primo numero dedicava un  articolo ad un signore oggi dimenticato che si chiamava Don Redman e che è stato, ancor prima di Ellington, l'inventore dell'orchestrazione jazzistica e dell'arrangiamento. Perché ve ne parlo? In realtà per parlarvi di una delle sue composizioni più famose: "Chant of the weed" Il canto dell'erbaccia, dall'atmosfera morbida e cullante, in cui prevalgono i clarinetti. Trattasi di uno dei grandi standard del jazz e l'erbaccia è la marijuana di cui tutti jazzisti di quella generazione, a partire dal consumatore quotidiano Louis Armstrong, erano convinti fumatori. Chissà se i ritmi pigri e un po’  trasognati di tanto jazz di New Orleans non risentano proprio di questo. Il brano fa pendant con l'altro grande hit sulla droga che è Stardust, Polvere di stelle, di Hoagy Carmichael. Maria e pigrizia dei negri, Coca e nevrosi dei bianchi? Chissà ? anche perché Carmichael, georgiano, era assai cool. In ogni caso la cosa mi ha divertito molto ( ascolti eventuali su you tube, of course, come gli altri di cui vi parlerò).
Poi è uscito un CD a firma Stefano Bollani il cui titolo è bellissimo:  "Joy in spite of everything", la gioia nonostante tutto. L'album è molto bello ma è proprio il titolo che  colpisce. Un uomo di straordinario talento e dal multiforme ingegno che, finalmente, non se la tira adducendo rovelli esistenziali e la drammaticità dell'esistenza. La cosa curiosa è che i brani, a parte il primo che è un calypso straordinario e l'ultimo che dà il titolo alla raccolta, sono tutti piuttosto malinconici (ma si sa i clown hanno sempre un fondo di tristezza).  A dirla tutta io con Bollani ho sempre avuto questo problema. Gli ho sempre riconosciuto un enorme talento ma anche una sostanziale superficialità (coperta dal scintillio). E se mi fossi sbagliato? Se  fossero proprio le superfici ad essere interessanti? Non è un pensiero che ho da oggi, il titolo bollaniano funziona un po' da catalizzatore. Perché di due cose sono abbastanza convinto. E cioè che difficilmente è credibile il lamento di un uomo bianco occidentale nato dopo il 1945 ( e questo ancora oggi, nonostante la crisi). In secondo luogo non è mai stato così  vero come negli ultimi 60 anni che, sempre nella nostra assai piccola porzione di mondo, la forma estetica più utile per leggere il mondo sia  quella della commedia. Provo a  fare  un'affermazione paradossale. Dopo Auschwitz ed Hiroshima, dopo l'enormità, tutto quello che ci è accaduto non può che essere "ridicolo" (resta fondamentale, perciò, non filmare Auschwitz, non filmare Hiroshima, con buona pace di Benigni) . E d'altra parte mi pare che proprio il witz ebraico ce l'abbia insegnato. Insomma sembra sempre più vera l'affermazione di Marx, Karl non Groucho, sulla storia come farsa e come tragedia.
Un'ulteriore conferma ci è stata data da un film molto bello che ha chiuso degnamente il 2014 e si chiama  "L'amore bugiardo" ed è diretto da David Fincher. da recuperare assolutamente se non l'avete visto.
 "L'amore bugiardo" è una commedia di rimatrimonio e quindi Howard Hawks, girata un po' come Psyco e/o Vertigo, e quindi sir Alfred Hitchcock, con una forte riflessione sulla maschera come condizione amorosa e direi più in generale esistenziale, e quindi Billy Wilder ma anche, se preferite, Pirandello. Con in aggiunta un sottotesto satirico assai acido sulla c.d. Tv del dolore che anche in America la fa da padrona. E si ride, ci si angoscia, ci si emoziona, si sospende l'incredulità, insomma ci si diverte molto e alla fine non se ne salva nessuno (in senso metaforico, non vi ho assolutamente svelato il finale) a partire dalla società americana ovvero, ancora per il momento, occidentale.
Discorsi un po' lunghi e forse un po' sconclusionati. Sono abbozzi di pensiero su cui da un po' mi interrogo. Per cui attendetevi, a parte, un qualche altro approfondimento un po' più argomentato. ( anche le "Lulu" stanno continuando anche se con una certa fatica). 
Certo il disco di Bollani è molto bello anche perché ha riunito una band strepitosa con due danesi e due americani. Vi risparmio i nomi salvo uno, il chitarrista Bill Frisell che da ormai una ventina d’anni è uno dei più grandi produttori di suoni che sia dato ascoltare. Nel disco in questione è particolarmente jazzistico. Ma lui riesce a suonare veramente di tutto. In particolare vi vorrei segnalare uno dei suoi  ultimi CD che si intitola “Testament Of Solomon”. Vi ricordate “Shir Hashirim” l’album per sole voci femminili composto da John Zorn che vocalizzava il Cantico dei cantici? “Testament Of Solomon” è la sua coda o meglio il suo controcanto. Anche qui musiche composte da Zorn ispirate al Cantico ma eseguite da un ensemble,  che si chiama “Gnostic trio”, costituito da Frisell alla chitarra, un signore che si chiama Kenny Wollensen al vibrafono e una straordinaria arpista dal nome di Carol Emanuel. Musica indefinibile - né jazz, né fok, né classica-  il cui effetto è una specie di carezza al cervello ( oltre che alle orecchie). Un altro chant of the weed? 
Certo però che Bollani è proprio un bel tipo.
Oltretutto man mano che incide (o quando lo seguo in televisone a parlare di musica) mi rendo conto che ha un immaginario musicale fatto da tutte le cose che mi piacciono. Il jazz ovviamente, il musical americano, Gershwin, Ravel, Prokoviev e – tanto - il Brasile (anche Carosone e certa musica leggera italiana tra gli anni 30 e i 60 e qui lo seguo un po’ meno).
Ma fermiamoci sul Brasile su cui val la pena di aprire un’altra parentesi.
Per quanto mi riguarda uno degli eventi culturali fondamentali del 2014 è stata la scoperta di Amado e la lettura di “Dona Flor”. Sono ancora qui che mi chiedo come ho fatto a mancarlo ormai (però!) 30 anni fa. Però è anche consolante fare scoperte ancora alla mia età.
In ogni caso ho rispolverato la mia raccolta di CD brasiliani – si sa che i jazz fan amano tutti anche la musica brasiliana. Ed inoltre c’è stata l’uscita quasi contemporanea dei due nuovi dischi dei vecchi eroi “tropicalisti”. Gilberto Gil ha pubblicato “Gilbertos Samba” e l’amato Caetano Veloso addirittura un CD dal vivo  “Multishow Ao Vivo Abracaco” che contiene una canzone “Homen” in cui compaiono questi versi destinati all’immortalità, quantomeno pop: “Non invidio la maternità, né l’allattamento/ non invidio la fedeltà/ invidio solo la durata dell’orgasmo multiplo/ io sono uomo, pelle spessa sopra i muscoli/ peli duri nelle narici…”.
Queste considerazioni velosiane mi portano, a questo punto, a parlarvi di quello che è stato per me l’avvenimento più clamoroso degli ultimi mesi. Sabato scorso, 17 gennaio 2015, alle ore 21,34,  ho scoperto di essere gay.
Vi racconto com’ è andata.
Sabato avevo uno dei soliti malanni da anziano che mi capitano sempre più spesso e me ne sono rimasto a casa. Così ho scoperto che il sabato sera non fanno un cazzo in TV salvo la vecchia trasmissione “Che tempo che fa”. A un certo punto il conduttore, Fazio, ha intervistato Alessandro Gassman che presentava il nuovo film, diretto dalla Archibugi, che è il remake di una commedia francese di qualche anno fa. Si racconta di una cena tra vecchi amici che si trasforma in una furibonda litigata. Una delle cause scatenanti è che uno dei personaggi, un musicista single, scopre che gli amici da sempre pensano che sia omosessuale. E quando gli amici gli spiegano perché gli recitano una specie di decalogo dei sintomi che indicano che un maschio è inequivocabilmente gay.
Ebbene sono i seguenti:
1)      Il presunto gay (d’ora in poi p.g.) ama profumarsi. Io non solo amo profumarmi ma adoro tutti i profumi. Un tempo li ho anche studiati a lungo.
2)      Il p.g. ama anche profumare la casa e soprattutto bruciare bastoncini d’incenso. Io adoro bruciare oltre all’incenso qualunque legno profumato. Come aggravante adoro i fiori recisi. A casa mia in stagione c’è sempre un mazzo di calle fresche che acquisto personalmente (passione che condivido con il compagno comunista e amico Vittorio Rubello, parrucchiere di Katia Ricciarelli e mio). Ho anche provato a coltivare le gardenie ma è difficilizzimo.
3)      Il p.g. ama accompagnare le figlie piccole degli amici alla scuola di danza. Io non l’ho mai fatto ma solo perché le fanciulle in questione non hanno mai fatto danza. Però le accompagno al cinema. In particolare, un tempo, a vedere le Twinks. Mi ero anche scelto una Twinks con cui identificarmi che era una negretta. Io accompagnerei anche i piccoli ma poi un po’ si annoiano. I bambini amano parlare di sport e di automobili. E io, di che parlo? Di sport non capisco un cazzo. Mi piacciono solo la boxe e il calcio giocato dai brasiliani ( non a caso i due sport che più assomigliano alla danza). Quanto alle macchine, puzzano e io amo fondamentalmente i taxi.
4)      Il p.g. adora Maria Callas e Billie Holyday. Che la Callas fosse l’icona gay per eccellenza lo sapevo. Io non amo la lirica ma sono sempre travolto dalla sua voce. Il problema è che idolatro Billie che considero la più grande cantante di tutti tempi e l’unica cantante veramente jazzista. Ne possiedo la discografia integrale e almeno una volta alla settimana “devo” ascoltare un suo album.
5)      Il p.g. usa biciclette con la pedalata assistita. Questa manca ma, hai visto mai?
Ma soprattutto
6)      Al p.g. piace John Wayne. E qui c’è stato il crollo. Sì è vero ho un ritratto di John Wayne in ufficio (è insieme a Ford e ad altri attori), ma non è questo. Il fatto è che nel mio salotto, e qualcuna di voi l’ha anche visto, troneggia un bellissimo ritratto del Duca. E’ la riproduzione di un’opera di Wahrol che mi sono addirittura fatto arrivare da New York, tanto mi piaceva. Una foto degli anni’60 ritoccata con  deliziosi violetti e rosa. La cosa mi sembrava ironica, la pop art che prendeva per il culo (appunto) il macho e invece…John Wayne è come la Callas, un’icona gay. E, poi, nella mia lunghissima scelta di film chi c’è tra i primi 10, se non  “Sentirei selvaggi” e “Rio bravo”. E vogliamo dimenticare “Hatari” o “Rio Lobo” o “Il fiume rosso” o ….
Insomma è andata così.
Naturalmente ho provato ad avere altri riscontri. Le mie colleghe - io lavoro solo con donne – hanno simpaticamente cambiato discorso.  Mia moglie ha fatto il sorriso della Gioconda. La più cara è stata mia madre. La simpatica vegliarda mi ha detto “Ma Andrea sono anni che ti dico che sei una checca. D’altra parte in ogni famiglia uno più o meno gay c’è sempre. E’ toccata a te”. Ho ringraziato. Insomma non solo arricchimenti intellettuali alla mia età. Ci rifletterò.

Bene mi resta il problema di concludere dopo il coming out. E lo farò, come spesso, con qualche aforisma su cui invitarvi a meditare. Tema, e come poteva essere altrimenti, l’amore.

“ Quando si è innamorati, si comincia con l’ingannare se stessi e si finisce con l’ingannare gli altri. E tutto questo il mondo lo chiama poesia (romance)”. Di Oscar Wilde a questo punto, direi, scontatamente. Ma il prossimo è ancor più bellino.

“Amore è donare quello che non si ha a chi non lo vuole” Jacques Lacan.

Buona notte e buona fortuna.

Andrea        

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