«Quel milligrammo di libertà in più che ho rispetto alle altre donne è troppo prezioso per mandarlo sprecato», dice Michela Di Cesare mentre fuma uno dei suoi cigarillo. Con il romanzo Michelina Di Cesare, briganta (Lorusso, pp.268, euro 15) Monica Mazzitelli, regista e scrittrice da anni ormai trapiantata in Svezia, ricostruisce letterariamente la vita di una delle figure più leggendarie del brigantaggio post-unitario.
NELLA BANDA GUERRA non comandava solo Francesco. Ma
anche sua moglie Michelina Di Cesare. Come attestano le testimonianze
dell’epoca, del gruppo facevano parte, oltre a ventuno uomini, anche due
donne. Di queste, solo una, Michelina, era armata con un fucile a due
colpi e una pistola. Nella banda era entrata, dopo essere rimasta
vedova, nel 1862 insieme al fratello Domenico, abbandonando per questo
anche due figli ancora piccoli. Erano anni orribili in Terra di Lavoro
all’indomani dell’unificazione d’Italia. Per quei territori, messi a
ferro e fuoco dai bersaglieri, era stata un’invasione violenta. Lei era
nata a Caspoli, nell’alto Casertano. Scelse di farsi briganta per
sfuggire alla fame. Poi, conobbe l’ebrezza della libertà. In una chiesa
di Galluccio nel 1865 sposa Francesco Guerra. Non diventa la donna del
capo. Lo affianca, lei stessa comandante della banda. Francesco era un
ex soldato borbonico. E il suo gruppo lo aveva ereditato da un altro
brigante rinomato, Rafaniello, alla sua morte nel 1861.
La banda dette filo da torcere ai piemontesi, compiendo assalti, rapine e
sequestri nelle zone intorno a Mignano, anche quando il fenomeno del
brigantaggio era stato ormai ridimensionato. A sgominare le ultime
resistenze al potere sabaudo, tuttavia, furono più le spie che la forza
militare del generale Emilio Pallavicini di Priola, inviato al Sud con
questo preciso scopo. Infatti, fu una soffiata, proprio del fratello
Domenico, a consentire di attaccare di sorpresa l’accampamento della
banda il 30 agosto del 1868. I soldati infierirono sul cadavere di
Michelina, che insieme al corpo di Francesco, fu esposto nella piazza di
Mignano come sanguinoso avvertimento. D’altra parte, riconoscendone,
seppure in modo macabro, il rango militare.
Con l’avvento della fotografia, la propaganda sabauda fece uso dei nuovi
mezzi per orientare l’opinione pubblica. Ecco che tristemente
emblematica è la foto che ritrae Michelina nuda e con i segni evidenti
delle violenze subite. Sono circolate anche immagini guerresche, con lei
che indossa il costume tradizionale, lo sguardo minaccioso e il fucile a
fianco. La foto sarebbe stata scattata a Roma in un atelier nel 1865.
Come ha svelato l’autrice, si tratta, in realtà, di falsi postumi
realizzati con modelle negli studi Alinari.
LE IMPRESE della banda Guerra e di Michelina si
inseriscono nella seconda fase, che gli storici definiscono del «Grande
brigantaggio», quando tutto il mondo contadino è ormai in rivolta e la
lotta acquista un embrionale profilo di riscatto sociale. All’indomani
dell’unificazione, invece, aveva avuto un carattere dichiaratamente
legittimista e filo-borbonico. Questo dato storico consente all’autrice
di restituirci la memoria di una figura di donna in rivolta, staccata
dalla discussione specialistica.
Come si legge nella prefazione conosciamo un’Antigone contadina che
rifiuta l’ordine costituito per obbedire unicamente alle leggi del
bisogno e dei sentimenti. Se, in superficie, di quella esperienza
storica non ci resta molto – l’anarchia intima col tempo lasciò spazio
al familismo – più a fondo, l’irrompere in misura massiccia delle donne
nella rivolta contadina post-unitaria contribuì silenziosamente a
orientare il processo di modernizzazione lungo in cammino che oggi sta
arrivando a compimento.
[Pasquale Vitagliano 4/08/2023]
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