Dal 21 al 25 agosto si è tenuto a Rotterdam l’ottantottesimo congresso internazionale delle biblioteche, organizzato dall’IFLA, (International Federation of Library Associations). Durante la sessione «In the event of a disaster: Workshop to Plan for the unexpected» (In caso di disastro: seminario per pianificare l’imprevisto) è intervenuta online anche la dirigente della Biblioteca Malatestiana di Cesena Elisabetta Bovero, mostrando foto dei danni agli edifici e dei cumuli di libri infangati e perduti nella terribile alluvione che ha devastato la Romagna nel maggio scorso.

I 23 fiumi esondati non hanno infatti colpito solo case, terreni e aziende, provocando 17 morti, ma anche i luoghi della cultura, tra musei, biblioteche, archivi, monumenti e siti archeologici dalla Romagna al Bolognese. Gravi ferite che ci pongono di fronte all’inquietante problematica: come tutelare la cultura in tempo di crisi climatica? Ne abbiamo parlato con Elisabetta Bovero.

Quali sono le condizioni attuali della biblioteca di Cesena dopo l’alluvione?
A Cesena abbiamo riaperto subito dopo l’alluvione e non abbiamo per fortuna avuto danni alla collezione di libri. In centro storico non è arrivata la piena, ma i problemi sono arrivati dal tetto: siamo in un edificio storico, come la maggior parte delle biblioteche italiane, le microaperture sono frequenti. Le piccole infiltrazioni non sono preoccupanti con piogge normali ma con una pioggia così intensa, che ha riversato l’acqua di 6 mesi in quattro giorni consecutivi abbiamo temuto il peggio, dal sottotetto l’acqua rischiava di passare al piano inferiore, abbiamo steso teli impermeabili, e siamo riusciti a bloccare la penetrazione dell’acqua e salvare tutto il materiale.
Ma l’allerta non è passata perché questi fenomeni, come ci dice la scienza, saranno sempre più frequenti. Sono consapevole che rispetto ai danni generali che ha avuto la città, tra abitazioni distrutte e gente che non ha più una casa, questi sono problemi secondari. Ad ogni modo noi monitoriamo con attenzione la temperatura e l’umidità delle sale, in particolare dell’aula quattrocentesca che contiene arredi e codici manoscritti, perché non sono pericolose solo le piogge, ma anche il caldo umido intenso di questi giorni. Negli anni notiamo un aumento dell’umidità che per la conservazione della carta non è ideale. Laddove necessario mettiamo deumidificatori. È evidente che il clima sta cambiando, e questo ha un impatto negativo sulla conservazione dei beni storici.

Qual è la situazione nelle altre biblioteche? A Forlì ad esempio sono finiti sotto l’acqua antichi incunaboli e cinquecentine della biblioteca del Seminario Vescovile conservati (forse incautamente) in depositi seminterrati, come pure l’Archivio del Comune nella stessa città.
A Forlì, ci sono stati molti danni al deposito Comunale e all’archivio del seminario, che sono stati colpiti in pieno dalla violenza dell’acqua e del fango, restando poi per varie ore sotto due metri d’acqua. C’erano migliaia di antichi manoscritti, cinquecentine e incunaboli. Non sono informata con precisione sulla vastità delle perdite, ma temo siano rilevanti. Attualmente una parte dei manoscritti (quelli che si potevano recuperare e più preziosi) sono stati surgelati grazie ad aziende alimentari del territorio, proprio per impedire la formazione di muffe. Pian piano, saranno liofilizzati, rispolverati, puliti e restaurati. Ma sarà un lavoro lungo e non sappiamo se tutto si potrà salvare.

Il restauro avverrà anche a Firenze, a opera del laboratorio di restauro della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, fondato all’indomani dell’alluvione del 4 novembre 1966. Quali conclusioni trarre da questi disastri?
Questo disastro ci insegna tanto. Dobbiamo ripensare alla collocazione degli spazi, e se in genere gli archivi sono sotterranei, lo vedo anche all’estero, in zone alluvionali non è più possibile mettere libri antichi e pezzi unici nei sotterranei. I rischi sono tanti, è ovvio, da noi l’acqua penetrava dal tetto, poi ci sono i terremoti, gli incendi: è un fatto che gli edifici storici in Italia sono fragili e vulnerabili. Dobbiamo fare uno sforzo per renderli resilienti, ripensare con più attenzione a spazi e protocolli di emergenza, dobbiamo essere più pronti a proteggere materiali rari di pregio. Noi bibliotecari siamo orientati al servizio con il pubblico, ma le esigenze di conservazione, tutela, prevenzione e gestione delle emergenze aumentano, con la crisi climatica in atto, e servirebbero più fondi da destinare alle biblioteche.

Parliamo anche delle altre biblioteche: quale è la situazione nelle altre città?
A Faenza sono andati perduti tantissimi libri della sala ragazzi e sezione letteratura, salvi invece gli antichi manoscritti. La cosa bella è che c’è stata una incredibile corsa alla solidarietà da parte di tutta Italia, non solo i volontari che nei primi giorni hanno aiutato a svuotare acqua e fango e pulire i libri, ma anche le donazioni per ricostituire il patrimonio librario perso. Ricordo l’iniziativa «Un libro sospeso» che, dalle librerie del territorio, si è presto estesa a molte regioni d’Italia. La Biblioteca Manfrediana di Faenza ha riaperto dopo circa due mesi dall’alluvione, i libri per bambini donati hanno trovato collocazione temporanea in altre sale e già questa estate ci sono state letture e iniziative per bambini nel chiosco. Anche a Lugo la biblioteca ha riaperto.
La biblioteca che ha subito più danni in assoluto è quella di Conselice, uno dei paesi più colpiti, rimasta per settimane sott’acqua. Si tratta di una realtà molto piccola, e per questo ancora più fragile. Rischiamo che si perdano per sempre le biblioteche nei piccoli paesi alluvionati, che sono anche centri di aggregazione, cultura e socialità fondamentali per chi ci vive. Una grave perdita, che si aggiunge alla desolazione generale che vivono questi paesi nel post alluvione.

[Linda Maggiori 27/08/23]