Ci ha lasciati Valentino Zeichen, il
poeta, l’irriducibile irregolare del nostro tempo. Era nato a Fiume nel
1938 e sul giorno preciso della nascita si discute ancora. Si
favoleggia spesso sulla sua vita prima ancora che sulla sua opera, si
favoleggia su quel suo strano modo di vivere. Valentino Zeichen fa il
suo silenzioso ingresso in poesia appena diciottenne. Grande
viaggiatore, autostop e sacco in spalla. Collagista e cinephile,
«segnato da un affascinante snobismo rabbioso» secondo Franco Cordelli.
Figlio di un giardiniere, con l’annessione di Fiume alla Jugoslavia e
l’esodo del popolo istriano, si trasferisce con la famiglia in Italia,
per fermarsi a Roma in una casa che lui stesso felicemente definiva una
baracca e dove ha vissuto fino a poco tempo fa.
Vita bizzarra? In fondo «il vivere di
Valentino Zeichen» notava Elio Pagliarani «imita Perelà», il
protagonista del sorprendente anti-romanzo di Palazzeschi. Ne Il codice di Perelà,
al centro c’è un essere semplice e complicato, uno strano omino che
passa attraverso la catena degli eventi e alle domande risponde: «Io
sono leggero… tanto leggero».
Ma per trovare un terreno da cui
partire, per direqualcosa sulla poesia di Zeichen, bisogna tornare al
primo libro di poesie del ‘74, anni difficili in cui l’Italia viveva il
suo periodo di piombo. Il tono dei versi si dichiara già dal titolo Area di rigore, area
in cui Zeichen mette in campo, fondendoli, gravità del tempo e
tagliente levità. A proposito di questo primo libro, Stefano Giovanardi
scriverà vent’anni dopo riportando l’idea di Pagliarani che indicava in
Palazzeschi e in Gozzano gli antecedenti più importanti di quei versi. A
quei due nomi, secondo Giovanardi, andava poi aggiunto il nome di
Pagliarani stesso. Erano chiare già da quella prima raccolta le
componenti fondamentali di un’esperienza poetica che sarà giudicata tra
le più antiliriche del secolo: la vocazione ludica, la virata interna
verso la prosa e lo straniamento saggistico che rompe il dettato
poetico. «Un Gozzano dopo la Scuola di Francoforte» dice Pagliarani nel
presentarlo.
La poetica di Zeichen sta dentro a un
«divertimento logico» in cui tutto sta in bilico, qualcosa di
«lunatico», sì, qualcosa come una provocazione di sbieco; si muove in
questo spazio di Ricreazione, là dove un paravento linguistico ed esistenziale colloca al centro un convinto non prendersi sul serio: niente giochi intellettuali, bensì spiazzamenti della parola, forti come uno scongiuro.
Così sarà nelle Pagine di Gloria, degli
anni ’80, in cui Zeichen cala la storia su quel campo di battaglia che è
anche il suo. Altra occasione di «gioco», una regressione sul filo del
tempo-mondo. O l’erotismo di un aperto Museo Interiore, o in Gibilterra dove
la pulsione ludica di Zeichen si fonde con una stralunata meditazione
da predicatore o da storico improbabile, con lo sguardo nei millenni:
«Quella condizione sublime/ che per gli spagnoli inizia/ con la resa
dell’anima a Dio,/ per i darwinisti inglesi comincia sulla terra/ dai
lontani primati dell’uomo». Come, appunto in una Metafisica tascabile, pubblicata sul finire del millennio dove entrano universi disparati, poi Ogni cosa a ogni cosa ha detto addio, fino al volume complessivo Poesie 1963-2003.
E ancora in Casa di rieducazione: questo
sarebbe la poesia se fosse un luogo? Il libro comincia con un confronto
tra case: la casa dove abitava Dario Bellezza e la casa baracca a
ridosso della via Flaminia. «Quell’arcobaleno della pace/esposto a
balconi e finestre/sventola per l’elevato valore/delle proprietà
immobiliari». La necessità di testimoniare il giorno dopo e lo spazio
ritagliato ci impongono qui di tacere sui romanzi, sulla prosa e sui
lavori teatrali, scrittura disarmante, disarmata, scettica e vitale, con
quella sua ironia ch’è pura e critica modalità di pensiero. Ma ci
sembra di vederlo ancora, Valentino Zeichen mentre cammina coi suoi
sandali da francescano. In una intervista a cura di Luigia Sorrentino
così risponde a proposito: «Non sono sandali da francescano, prego. Sono
sandali con plantare incorporato. Sandali svizzeri… marca Balì».
[Ida Travi 6/07/2016]
[Ida Travi 6/07/2016]
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