lunedì 1 dicembre 2014

rassegna stampa

Cominciamo dalla fine.
Domenica su "Repubblica" la pagina culturale si apre con la notizia che gli eredi Crepax hanno deciso di pubblicare, a dieci anni dalla morte, gli inediti del padre disegnati durante l'ultima fase della malattia ( che ho scoperto essere una sclerosi ). Crepax, pare, fosse sfiduciato sul permanere nel pubblico dell'interesse per Valentina e anche della bontà del suo tratto, diventato sempre più spigoloso, proprio a causa della malattia. Però ha disegnato fino all'ultimo. Nel volume, che dovrebbe essere uscito oggi, e si intitola semplicemente "Inediti", ci sono rivisitazioni di Valentina, l'inizio di una riduzione a fumetti de "Il Castello" di Kafka ( Crepax aveva già disegnato un bellissimo "Processo" assai praghese), un omaggio a Bogart, una riduzione della novella "Doppio sogno" di Schnitzler, tavole ispirate al "Piacere" di D'annunzio e a "Anna Karenina" e chissà cos'altro. Vi sarò più preciso prossimamente.
Restando in tema di miti femminili, devo confessare che al di là di Lulu e Ava e Claudia ( sono in arrivo nuove puntate sempre più di/vaganti) il mio grande amore di celluloide è e sarà sempre Julie Andrews. E non per Mary Poppins e nemmeno per "Tutti assieme appassionatamente" ( anche se credo di essere il più preparato esperto rodigino sulle vicende della famiglia Von Trapp). Ma per un piccolo musical intitolato "Millie" ( Modern Millie in originale) girato nel 1967 da George Roy Hill in cui la Andrews interpreta Millie una burina texana che si trasforma, nella New York degli assai ruggenti anni '20,  in una sofisticata flapper. E di contorno musiche bellissime ( vinse un oscar) , abiti elegantissimi, case lussuosissime e un sacco di bella gente. E soprattutto Lei che mi spezzò per sempre il cuore. Il film lo vidi a 9 anni al cinema estivo del Lido degli Estensi e non l'ho più rivisto. La notizia è che ne ho trovato finalmente una versione in DVD ( mercato tedesco) con doppiaggio e soprattutto sottotitoli in italiano. Sono in trepidante attesa sperando che, dopo tanti anni, non sia una delusione.
Non so se è per colpa della crisi economica ma che nostalgia dei mai vissuti anni'20. Ce l'ha anche Woody Allen di cui sta per uscire "Magic in the moonlight" ambientato in Costa Azzurra ( e ditemi voi se non ci avevo visto giusto nel proporvi il capolavoro coltorosa "Il tango della vecchia guardia"?). Il film narra la vicenda di un illusionista assunto per smascherare una supposta medium. Metafore in arrivo. Ci ha, comunque, pensato Woody stesso paragonando l'attività di illusionista a quella di regista. Maghi, prestigiatori e illusionisti sono peraltro presenze costanti nel suo cinema ( come in quello del suo maestro dichiarato Fellini e del suo maestro segreto Orson Welles) e lui , come dice nell' intervista di presentazione del film , ha avuto fin da bambino l'hobby della prestidigitazione. Nell'intervista rivela anche una cosa più seria che, si parva licet, condivido con lui: il fatto di essere ateo dall'età di 7 anni. Poi aggiunge che forse cinema e illusionismo gli hanno funzionato da surrogato. Io, di mio, vado al cinema e credo nei fantasmi. E nei doppelganger.
Trovati altri due.
Uno è svedese, si chiama Ulf P. Hallberg e ha scritto un libro edito ( of course) da Iperborea che si chiama "Trash europeo". Hallberg nel libro racconta la vita del  padre raccontando tutto quello che il padre ha raccolto e catalogato in vita : dipinti, carte, fotografie, ritagli di giornali, cianfrusaglie, un caleidoscopio di storie, dalla Garbo al neorealismo italiano a Blade Runner, da Walter  Benjamin ai pittori Bager e Nemes. Un patrimonio di arte e pensiero che non ha alcun valore economico, ma a cui lui ha dedicato l’intera vita nel totale rifiuto del denaro, del successo e dell’apparenza. L'ho iniziato da poco, lo leggo a spizzichi, ma mi sembra che stia mantenendo quello che promette.
L'altro "fratello" sembra essere uno scrittore, che si chiama Tanpinar Ahmet H. ed è considerato uno dei più importanti scrittori della Turchia moderna. Scomparso nel 1962 è stato docente di estetica, storia dell'arte e mitologia e anche membro del parlamento turco fra il 1942 e il 1946. A mia conoscenza questo è l'unico suo libro attualmente  tradotto in Italia.
Il romanzo, che è d'impianto satirico, narra la vicenda di un musiliano "uomo senza qualità" o bergheriano "piccolo grande uomo" che è diviso tra due concezioni del tempo e dai due usi dell'orologio: quello del muezzin che usa e fa usare l'orologio perché i fedeli non si dimentichino di pregare alle ore giuste e quella del fondatore de "L'istituto per la regolazione degli orologi" che con l'istituto vuole introdurre in Turchia la regolazione "occidentale" moderna e "ordinata" del tempo. E in cui il protagonista si impiega.
Il libro mette in scena - traggo questa annotazione dalla prefazione, il libro non l'ho ancora letto è in arrivo - la dialettica, tipicamente novecentesca tra il caos del mondo e il  tentativo da parte del romanzo di trovargli un qualche ordine. E cerca di sfatare l'illusione che l'abisso si possa dire, il Tempo calcolare, lo Spazio  misurare.
Dopo queste vette, mi abbasso un poco e vi parlo di un mondo (apparentemente) più semplice e ordinato: quello del West. Chi mi conosce sa che sono un discreto conoscitore di film western. Ma forse non sa che il mio film western preferito non è un John Ford o un Anthony Mann. E' un Howard Hawks ( considerato, tra l'altro   da molti un'opera minore)  che si intitola "Il grande cielo", anno 1952. Il film è la storia di una spedizione nel 1830 di un gruppo di barcaioli - mercanti francesi e trapper americani lungo il fiume Missouri per raggiungere il territorio che oggi si chiama Wyoming e per aprire un via commerciale con i nativi Piedi neri. Per farlo liberano e si fanno accompagnare da una principessa indiana di cui si innamorano i due protagonisti ( e amici) del film. Chi sceglierà la fanciulla?
Girare il film fu di per se una avventura, venne addirittura costruita ex novo una pista e oggi il tutto si trova in uno dei parchi naturali più belli degli Stati Uniti, quello del Gran Teton.
Il film ha la purezza dell'avventura disinteressata ( Eric Rohmer, che ne era un grande estimatore, lo paragonava ad una novella di Robert Louis Stevenson) e il fascino dell'utopia non realizzata: quella di un'altra storia, della convivenza e dello scambio tra razze e culture. Un'America sufficientemente grande per tutti quanti. Molti temi sono poi stati ripresi da Leslie Fiedler. In primis quello dell'amore - amicizia tra i due compagni d'avventura e dell'attrazione sessuale, qui pienamente e "sanamente" realizzata, per la donna "nativa".
Perchè ve ne parlo? Intanto perché è un bel film e poi perché è tratto da un romanzo scritto nel 1947 del premio Pulitzer A.B. Guthrie, uno dei grandi scrittori di western,  che è appena stato finalmente,  tradotto in italiano.
Direi un buon raccolto per questa settimana.
Alla prossima.
Andrea

Nessun commento: