domenica 18 agosto 2019

Memorie culinarie di un’infanzia felice, Alice Danchokh


Ode alla cucina tradizionale russa, celebrazione delle sue custodi, le nonne e le zie, ritratto poliedrico di una famiglia e di un paese, ricettario conviviale, Memorie culinarie di un’infanzia felice di Alice Danchokh racconta l’infanzia solare e golosa dell’autrice in un’Unione Sovietica fuori dai clichés della guerra fredda. Nata nel cuore dell’intelligencija moscovita, Alice cresce tra due kommunalki (appartamenti comunitari), quello dei nonni paterni nel quartiere dell’Arbat e quello della madre e della nonna materna, poco lontano dal Cremlino. L’estate parte all’avventura col nonno (che si consacra anima e corpo alla sua educazione tanto da esser soprannominato «il Pestalozzi dell’Arbat»), all’insegna della vita all’aria aperta e del gusto.
SIN DAL PRIMO SOGGIORNO in una dacia sovraffolata, impara a pelare le patate, a rompere le uova in una padella ben calda, a preparare la zuppa «del monastero», e ad approfittare della generosità della natura insieme agli altri bambini, facendo scorpacciate di frutti di bosco non sempre maturi («gli uccelli avevano la pazienza di aspettare, noi no»). A Koktebel’, in Crimea, rifugio eccellente di scrittori e poeti, da Pushkin a Cvetaeva, resiste al culto di Bacco praticato da tutti i residenti, vacanzieri inclusi, con un’intera generazione d’intellettuali moscoviti e pietroburghesi che matura all’ombra delle botti del rinomato vino bianco locale.
Lei professa più volentieri il culto del buon cibo, convertita in tenerissima età dalla nonna materna, Anna Vassilievna, vera maga dei fornelli, che ha il potere di «tramutare cose da nulla in meraviglie», gli ingredienti più semplici in prelibate pietanze, le ricette popolari in capolavori festivi, e persino la sua infanzia contadina nella remota Siberia, spazzata via dalla rivoluzione del 1917, in favole della buonanotte per la nipotina insaziabile di storie e sapori.
Tra i suoi capolavori, i Pelmeni (piccoli come l’unghia di un pollice, «scivolavano nello stomaco senza che si avesse il tempo di masticarli correttamente, mentre il brodo e il pepe nero macinato bruciavano il palato, e la panna sembrava esclamare ’ehi mi avete dimenticata!’»). La cucina della «nonna Stella» cui l’autrice bambina rende visita ogni estate a Nicolaev (Ucraina), non è da meno. Alice rinuncia ai giochi preferiti per assisterla nella preparazione dei Vareniki alla ciliegia. Con un bicchiere ritaglia i dischi di sfoglia sottile, su cui posa lo zucchero e tre ciliegie snocciolate.
RACCHIUSI A MEZZA LUNA, lessati e conditi con un caldo sciroppo di ciliegie, una volta a tavola questi dolci spariscono in un baleno. Quasi come la monumentale Paskha, frutto degli «sforzi titanici» di tutta la famiglia dal venerdì santo, servita al pranzo di Pasqua a parenti ed amici. Di questa piramide tronca a base di formaggio fresco, restano sempre poche briciole che la bambina mette rapidamente in salvo per godersele l’indomani, con un pezzo di Kulìc, l’altro dolce pasquale tradizionale di cui è ghiotta. .
MA NON TUTTE le specialità russe sono così gradite alla piccola Alice. Il caviale nero, ad esempio, le ricorda «il catrame utilizzato per riempire i buchi dell’asfalto», e vani restano i tentativi di convincerla a mangiarlo per le sue qualità nutritive. Preferisce il «caviale fresco» di melanzane, quello della nonna. Pure, come tutti a Nicokolaev, sgranocchia semi di girasole, condividendo questo «oro nero» con compagne e compagni di giochi. Ben presto però, ai giochi Alice preferisce la lettura. Stringendo amicizie esclusive con i libri, passa le ore a divorare romanzi insieme a una «quantità inimmaginabile di mele».
NATURALE QUINDI che sorga in lei il desiderio di assaggiare quella tazza di cioccolato fumante, delizia delle sue eroine di carta. Ma quando la nonna lo esaudisce, scopre con orrore che l’ingrediente principale altro non è che il cacao «etichetta d’oro», servito nei campi di pionieri e a scuola, che lei detesta, ed è la «più crudele delusione culinaria» della sua infanzia.
Lieta occasione di un’inatteso accostamento tra narrativa e realtà è invece il ritorno a Mosca della zia Natacha. Partita in Inghilterra alla fine degli anni Venti, la zia aveva potuto riallacciare i rapporti con la famiglia solo dopo la morte di Stalin e il 20esimo congresso del partito nel 1956. Per la sua prima visita, nel 1969, la famiglia organizza una grande festa e, nonostante la penuria cominci già a provocare «file interminabili» davanti ai negozi di alimentari, la tavola si ricopre, come per incanto, di cibi deliziosi, proprio come nei racconti.
NON MANCANO i Pirozhki della nonna paterna, ripieni di cavolo e uova, inimitabili: «ho visto decine di volte mia nonna preparare l’impasto, stufare il cavolo nella padella tonda di ghisa, l’ho pure aiutata a tagliare il cavolo in quadratini che rimestavo col cucchiaio per farli ben dorare nel burro. Ma mai sono stata capace di riprodurre la sua opera eccellente. La pasta lievitata sceglie le mani che la preparano», riconosce la scrittrice.
Come in una scena del Il maestro e Margherita di Bulgakov, allora ancora inedito, la zia Natacha arriva con una valigia carica di doni che, contrariamente al romanzo, non evaporano, anzi, verranno conservati fedelmente per decenni. Da Mosca, la zia riparte per Londra con la valigia piena di prelibatezze, tra cui una Pastila bianco-rosata, il suo dolce preferito, e un chilo di caviale in due sacchetti di cellophan nascosti dentro il reggiseno acquistato per questo «trasporto di contrabbando» oltre la cortina di ferro.
Col mutamento urbanistico del centro di Mosca, molti cittadini traslocano negli appartamenti individuali dei nuovi palazzi della periferia. Ma i nonni di Alice rifiutano di lasciare il quartiere e si trasferiscono in una kommunalka di un vecchio palazzo del centro abitato da personalità bolsceviche in pensione. Condividono così l’appartamento con Ludmilla Ivanovna Krassavina, che nel 1917, aveva copilotato l’instaurazione del potere sovietico in estremo oriente. Vittima delle «grandi purghe», condannata nel 1937 per spionaggio, questa «onesta comunista» non si dichiarò mai colpevole, nonostante le atroci torture, e solo dopo la sua «riabilitazione» godrà di tutti i privilegi dovuti al suo operato. Fautrice di una cucina genuina, Ludmilla apporta nuovi piatti al desco familiare, tra cui una versione rivoluzionaria delle barbabietole stufate, adottata all’unanimità.
TRE ANNI PRIMA della perestroika, il vecchio palazzo si riempie di crepe e gli anziani inquilini verranno trasferiti d’urgenza in un altro quartiere in costruzione. Ma Ludmilla non sopravviverà al crollo dell’Unione Sovietica. Un crollo impensabile nella fanciullezza di Alice Danchockh, quando la destalinizzazione promette ben altro avvenire, sintetizzato in un discorso di Krusciov, diffuso dall’altoparlante del villaggio in cui trascorre le vacanze.
Il Primo segretario del Comitato centrale del Pcus vi afferma che l’entrata nell’era del vero comunismo di lì a pochi anni avrebbe portato «la felicità totale e definitiva» secondo la parola d’ordine «da ognuno secondo le sue possibilità e a ognuno secondo i suoi bisogni». Lasciando gli adulti a discutere sul senso di questa frase, Alice raggiunge allora gli altri bambini che preparano un fuoco per abbrustolire il pane. Non sa ancora, che, insieme al pane, condivide già con loro quella « felicità totale e definitiva» annunciata per il futuro, presente invece tutta intera nel qui e ora della sua infanzia.
*
SCHEDA:
Più volte vincitrice del premio nazionale russo «Miglior libro dell’anno», editorialista della «Literaturnaya Gazeta», Alice Danshokh ha pubblicato sei saggi su temi culturali (tra cui un libro su Firenze). Le sue «Memorie culinarie di un’infanzia felice» pubblicate in Russia nel 2015 (seconda edizione 2019), sono tradotte in francese (Editions du Rocher, 2017) e in inglese (Austin Macauley Publishers, 2019). A settembre, uscirà a Mosca il suo settimo libro «Storia della malattia o diario della salute»
[Giannina Mura 18/01/2018]

Nessun commento: