martedì 30 ottobre 2018

Pastorale americana, Philip Roth (pag 154)


Per la prima volta si era messa una gonna ed una camicetta, roba vistosa, a fiorami, da negozietto delle occasioni, e un paio di scarpe col tacco alto, quando con quelle scarpe attraversò traballando la moquette, gli sembrò ancora più minuta di come fosse apparsa con gli scarponi da lavoro. L’acconciatura era da aborigena come prima, ma il viso, di solito un po’ terreo, disadorno e crudele, era stato ravvivato col rossetto e dipinto con l’ombretto, e gli zigomi evidenziati  col fard. Sembrava una scolara di terza elementare che avesse saccheggiato la stanza della madre, con la differenza che i cosmetici conferivano alla sua inespressività un’aria ancora più spaventosamente psicopatica di quella che aveva quando il suo viso era privo di colore in modo disumano.
“Ho il denaro, ”disse lui, rito sulla soglia della stanza, dominandola dall’alto della sua statura e sapendo benissimo di fare lo sbaglio più grosso della sua vita. “Ho il denaro,” ripetè, e si preparò alla replica sul sudore e il sangue dei lavoratori ai quali lo aveva rubato.
“Oh, ciao. Entra,“ disse la ragazza. Vorrei farti conoscere i miei genitori. Mamma, papà, questo è Seymour. Una commedia, per la fabbrica, una commedia per l’albergo. “Accomodati, prego. Fa’ come se fossi a casa tua.”
Lui aveva i soldi nella borsa, non soltanto i cinquemila in biglietti da dieci e da venti che aveva chiesto lei, ma altri cinquemila in banconote da cinquanta. Un totale di diecimila dollari e senza sapere perché. A sua figlia a cosa sarebbe servito? Merry non avrebbe visto un centesimo. Eppure lo Svedese disse ancora un volta ( raccogliendo tutte le sue forze per non perdere l’appiglio) “Ho portato il denaro che ha chiesto.” Stava mettendocela tutta per continuare a essere se stesso nonostante l’inverosimiglianza  di ogni cosa.
Lei si era sdraiata sulla coperta e, con le caviglie accavallate e due cuscini sotto la testa cominciò allegramente a cantare: “Oh Lydia, oh Lydia, my encyclo-pid-e-a, oh Lydia, the  tattooned lady…
Era una delle vecchie, stupide canzoncine che lo Svedese aveva insegnato a sua figlia da piccola quando avevano visto che cantando non si inceppava mai.
“Sei venuto a scopare Rita Cohrn?”
“Sono venuto,” disse lui  “a consegnare il denaro.”
“Perché non sco-p-p-p-iamo, p-p-p-papà?”
“Se lei avesse un minimo di sensibilità per quello che stiamo passando….”
“Pianta Svedese. Che ne sai tu di sensibilità?”
“Perché ci tratta così?”
“Uuuaaah! Raccontamene un’altra. Tu sei venuto qui per scoparmi. Chiedi a chiunque. Perché un cane di capitalista di mezza età verrebbe a trovare  in una stanza d’albergo un pezzo di fica come? Per chiavarla. Dillo, dì solo: “ Sono venuto a chiavarti. A chiavarti per bene. Dillo Svedese.
“Non ho nessuna intenzione di dire una cosa simile. La smetta per piacere.”
“Ho ventidue anni e faccio qualunque cosa, Faccio tutto. Dillo Svedese.”
         Potevano portare a Merry queste cose, questa raffica di scherzi e d’irrisione? Sembrava che non riuscisse a insultarlo mai abbastanza. Stava forse impersonando qualcuno, recitando un copione preparato in anticipo? O quella con cui lo Svedese stava trattando era una persona con la quale non si poteva trattare perché era pazza? Era come il membro di una gang. Era il capo della gang, questa piccola delinquente dalla faccia terrea? In una gang si conferisce l’autorità al componente più spietato. E’ lei la più spietata o ce ne sono altri peggio di lei, quegli altri che in questo preciso momento stanno tenendo Merry prigioniera? Forse lei è la più intelligente. La loro attrice. Forse è la più corrotta. La loro puttana in erbe. Forse questo per loro è solo un gioco: ragazzi della borghesia decisi a far baldoria.
         “Non ti piaccio?” domandò “Non divampano ardenti desideri in un ragazzone come te? Su non sono una donna così spaventosa. Non puoi farti intimorire da una ragazzina come me. Guardati. Come un bambino cattivo. Un bambino che ha paura di essere svergognato. Non c’è altro che la tua famosa purezza, lì dentro? Scommetto che c’è qualcosa. Scommetto che lì dentro hai un bel pilastro,” disse “ il pilastro della società.”
         “Qual è lo scopo di tutte queste chiacchere? Vuole dirmelo?
         “Lo scopo? Certo, Farti guardare in faccia la realtà. Ecco lo scopo.”
         “E questa spietatezza è necessaria?”
         “Per farti guardare in faccia la realtà? Per farti ammirare la realtà? Per farti partecipare alla realtà? Per farti arrivare laggiù alle frontiere del reale? Non sarà uno scherzo campione.”
         Si era imposto di non farsi provocare dal disgusto che la ragazza ostentava di provare per lui, di non offendersi per nessuna delle cose che diceva. Era preparato alla violenza verbale e deciso, questa volta, a non reagire. La ragazza non mancava d’intelligenza e non aveva paura di dire tutto ciò che le passava per la testa: questo lo sapeva già. Ma la cosa che non aveva calcolato era lo stimolo della sensualità: non aveva previsto di poter essere aggredito da qualcosa di diverso dalla violenza verbale. Nonostante la ripugnanza che gli ispiravano il malsano pallore della sua carnagione, il trucco comicamente infantile e i dozzinali indumenti di cotone, semisdraiata sul letto c’era una giovane donna semisdraiata sul letto, e lo Svedese stesso, il superman delle certezze, era una delle persone con le quali lui non poteva venire a patti.
“Poverino” disse lei in tono sprezzante “Povero ragazzo ricco di Rimrock. Chiuso a chiave come una cassaforte. Scopiamo p-p-p-paparino. Ti porterò a vedere tua figlia. Ti sciacqueremo il cazzo, ti tireremo su la lampi e ti porterò dov’è.”
         “Veramente? Come faccio a sapere che lo farà?”
         “Aspetta. Vediamo come si mettono le cose. Il peggio che potrà capitarti sarà farti una passera di ventidue anni. Su paparino. Vieni a letto pa-pa-pa…..”
         “Basta! Mia figlia non c’entra niente con tutto questo! Mia figlia non ha niente a che fare con lei! Piccola stronza: lei non è degna di pulire le scarpe a mia figlia! Mia figlia non c’entra niente con quella bomba. E lei lo sa!”
         “Calma. Svedese, Calma, piccioncino. Se ci tieni a vedere tua figlia tanto quanto dici, ti calmerai e verrai qui a fare una bella scopata con Rita Cohen. Prima la scopata, poi il malloppo.”
         Aveva alzato le ginocchia verso il petto e ora, con i piedi piantati sul letto, aprì le gambe. La sua gonna a fioroni scivolò sui fianchi e Rita noin portava le mutande.
         “Eh – disse sommessamente – Mettilo lì. Comincia da lì. Tuto è permesso, tesoro.”
         “Signorina Cohen…” – Nella sua pregevole cassaforte di reazioni, lo Svedese non sapeva a quale ricorrere: questo ribollire e traboccare così viscerale, mescolato alla retorica, non era un attacco al quale fosse preparato. Quella ragazza aveva portato in albergo un candelotto di dinamite da tirare. Ecco di che cosa si trattava. Per far saltare in aria lui.
         “Che c’è caro?” rispose lei “Devi alzare la voce come un ragazzo grande se vuoi essere sentito.”
         “Cosa c’entra questo spettacolo con quello che è successo?”
         “Moltissimo” disse lei “Sarai sorpreso da come sarà chiaro il quadro delle cose che ricaverai da questo spettacolo”, Abbasso lentamente le mani fino a toccarsi il pelo pubico, “Guardala” gli disse, e, arrotolando verso l’esterno gli orli delle labbra con le dita, gli mostrò il tessuto membranoso, venato, screziato e cereo, che aveva la lucentezza da tulipano umido della carne scuoiata. Lo Svedese distolse lo sguardo.
         “E’ una giungla , lì sotto” disse lei “Niente che sia al posto giusto. Nulla a sinistra simile a ciò che sta a destra. Quante cose ci sono, in più? Nessuno lo sa. Troppe, per poterle contare. Ci sono delle ghiandole, lì sotto. C’è un altro buco. Ci sono dei lembi di pelle. Non vedi cosa c’entra, questa, con quello che è successo? Dai un’occhiata. Guarda bene a lungo.”
         “Signorina Cohen” disse lui guardandola negli occhi, l’unica cosa bella che la ragazza avesse la fortuna di avere (due occhi da bambina, scoprì, due occhi da buona bambina che non aveva niente da spartire con quello che stava facendo) “mia figlia è sparita, Una persona è morta.”
         “Tu non capisci. Non capisci niente. Guardala, Descrivimela. Ho capito male? Cosa vedi? Vedi qualcosa? No, tu non vedi niente. Non vedi niente perchè non guardi niente.
 "Non ha senso,  - disse lui - Lei non piega nessuno,  con questo sistema. Solo se stessa.
"Sai che misura è? Vediamo se sei bravo ad indovinare. E' piccola. Io credo che sia una sesta. Tra le taglie femminili, è la fica più piccola che ci sia. Di più piccole ci sono solo le bambine. Vediamo se calza bene, una sesta. Vediamo se una sesta ci permetterà di fare una scopata più bella, più focosa, più confortevole che tu abbia mai sognato di fare. A te piace la buona pelle, a te piacciono i bei guanti: sbattiglielo dentro. Ma piano piano. Sempre, la prima volta, infilalo piano.
“Perché non la pianta adesso?”
“Okay, se questa è la tua decisione, che sei un uomo tanto coraggioso da non volerla nemmeno guardare, chiudi gli occhi, vieni avanti e annusala. Vieni avanti e senti l’odore. La palude. Ti risucchia. Annusala, Svedese. Tu sai che odore ha un guanto. Lo stesso dell’interno di una macchina nuova. Beh, questo è l’odore della vita. Senti questo. Senti l’odore di una fica nuova di zecca.
I suoi occhi neri da bambina. Pieni di eccitazione e di allegria. Pieni di audacia. Pieni d’irragionevolezza. Pieni di stramberia. Pieni di Rita. Era, si, una commedia, ma solo per metà. Per agitare. Per infuriare. Per eccitare. Rita era in un stato alterato. Il diavoletto del sovvertimento. Lo spiritello del disastro. Come se nell’essere la sua torturatrice e nel rovinare la sua famiglia avesse trovato il malizioso significato della propria esistenza. La Figlia del Caos.
“Il tuo autocontrollo è straordinario, - disse lei – Non c’è niente che possa farti perdere la tramontana? Non credevo che esistessero ancora delle persone come te. Qualunque altro uomo sarebbe stato sopraffatto dal suo cazzo duro qualche ora fa. Sei una delusione. Assaggiala.
“Tu non sei una donna. Questo non fa di te una donna, nel modo più assoluto. Questo ti rende la parodia di una donna. E’ uno schifo” – Rispondendo rapidamente al fuoco come un soldato attaccato dal nemico.
“E un uomo che non vuole nemmeno guardare, di cos’è la parodia?” – gli chiese lei – “Guardare non appartiene semplicemente alla natura umana? Cosa si può dire di un uomo che guarda sempre da un’altra parte perché quello che ha davanti agli occhi è per lui troppo immerso nella realtà? Perché non c’è nulla che concordi con mondo che conosce? Che crede di conoscere. Assaggiala. Certo che è uno schifo, caro il mio boy scout: io sono depravata!” -  E ridendo allegramente del suo rifiuto di abbassare lo sguardo anche solo di un centimetro gridò: - “Ecco!”
Doveva aver abbassato la mano, la sua mano doveva essere sparita dentro di lei, perché dopo un attimo era tutta la mano quella che Rita alzava e tendeva verso di lui. La punta delle dita gli portava il suo odore sotto il naso. Questo non poteva evitarlo, il suo odore fecondo.
“Questo svelerà il mistero. Vuoi sapere cosa c’entra con quello che è successo?” – disse lei – “Questo te lo dirà”.
C’erano in lui tanta emozione, tanta incertezza, tante inclinazioni e controinclinazioni, era così preso da impulsi e controimpulsi, che non sapeva più dire quali di essi avesse tirato la linea che era deciso a non oltrepassare. Tutte le sue riflessioni sembravano svolgersi in una lingua straniera, ma era ancora abbastanza lucido per non superare quel limite. Non l’avrebbe tirata su dal letto e scaraventata contro la finestra. Non l’avrebbe tirata su dal letto e buttata sul pavimento. Non l’avrebbe tirata su dal letto per nessun motivo. Tutte le forze che gli restavano sarebbero state raccolte con l’ordine di tenerlo inchiodato ai piedi del letto. Non si sarebbe avvicinato a lei. Poi la mano che Rita gli aveva offerto tornò lentamente verso l suo viso, descrivendo strani e comici piccoli cerchi nell’aria mentre si avvicinava alla sua bocca. Quindi, a uno a uno, Rita si fece scivolare le dita tra le labbra per pulirle. – “Sai che sapore hanno?” Vuoi che te lo dica? Hanno lo stesso sapore di tua f-f-f-figlia”.
Qui lo Svedese fuggì dalla stanza. A gambe levate.

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