Piero Camporesi è stato uno dei grandi intellettuali del Novecento
italiano. A vent’anni dalla sua morte, fa piacere leggere la ristampa di
una delle sue opere più curiose: Il brodo indiano. Edonismo ed esotismo nel Settecento, edito dal Saggiatore (pp. 222, euro 21), che già da qualche anno va riproponendo alcuni suoi scritti.
Il libro si arricchisce di una prefazione di Franco Cardini, che
all’opera di Camporesi aveva già dedicato un bel saggio nella
miscellanea La bottega del professore, uscita nel 2015 per Libreriauniversitaria.
CAMPORESI è stato a lungo un marginale nella scena
culturale e universitaria italiana, nonostante dal 1981 egli fosse
professore ordinario di lingua e letteratura italiana all’università di
Bologna; tuttavia, mentre oggi si fa un gran parlare di storia culturale
e di interdisciplinarietà, è vero che nei decenni passati era difficile
trovare una collocazione per qualcuno che, nato filologo e storico
della letteratura, riusciva poi a muoversi perfettamente tra
antropologia e storia, e in modo particolare la storia del corpo, del
cibo, dei sapori, dell’olfatto.
SENZA TUTTAVIA mettere mai da parte lo sfondo
sociale necessario per comprendere ogni fenomeno culturale. Il «brodo
indiano» del titolo è la cioccolata: insieme al caffè, trionfo
dell’esotismo che invadeva l’Europa a cavallo fra Seicento e Settecento.
Ma il libro, ben più ampio nei temi proposti, parla del cambiamento nel
gusto collettivo che si rileva in quel periodo.
«Il progressivo allontanamento del Settecento dal secolo precedente può
essere avvertito osservando il passaggio dal gusto complicato, denso di
aromi forti della cioccolata barocca a quello più semplice e lineare
della cioccolata illuministica, preparata mescolando semplicemente
zucchero e cacao con una leggera passata di vaniglia e cannella».
Insomma, la cioccolata come simbolo di un’Europa che si apre al fascino
dell’esotico (siamo infatti agli albori dell’Orientalismo), ma anche
un’Europa nella quale la Francia va acquistando centralità sotto il
profilo intellettuale, nonché del gusto.
È la moda francese a prevalere, lasciandosi alle spalle la tradizione
rinascimentale, ormai avvertita come pesante, poco raffinata, inadatta.
Il che relegava a un ruolo di secondo piano, al provincialismo, anche la
«mensa larga» italiana, dove l’abbondanza continuava ad aver la meglio
sulle raffinatezze transalpine, e dove si continuava a servire, nelle
locande, «una minestra lenta o zuppa, uno stufato, un fritto, un
arrosto».
SEMBRA DI SENTIRE echi di polemiche attuali fra nouvelle cuisine
e trattoria, che sono forse l’onda lunga di antiche rivalità, culinarie
e non. Segno che la storia del gusto è, come la intendeva Pietro
Camporesi, molto più che un accessorio per comprendere passato e
presente.
[Marina Montesano 27/12/2017]
Questo blog accoglie la nuova avventura di quelli di Sguardi d’Altrove, e il Reverendo Dogdson, con i suoi dubbi sulla realtà, si aggiunge al nostro olimpo di numi tutelari. Non dimentichiamo gli autori che più spesso ci hanno accompagnati nel viaggio di Sguardi d’Altrove, anzi, da loro ripartiamo. Quindi, un pensiero affettuoso e ammirato, in particolare, ad Alan Bennet a alla sua Sovrana Lettrice, mantenendo ben fermo il principio che ragguagliare non è leggere.
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