martedì 18 aprile 2017

Svegliare i leoni, Ayelet Gundar Goshen


«Credo che l’essenza di questo romanzo sia universale, biblica: sono forse io il custode di mio fratello?» – spiega Ayelet Gundar Goshen se le si chiede quanto di specificatamente israeliano vi sia nel suo Svegliare i leoni edito in questi giorni da Giuntina (pp. 318 , euro 17, traduzione di Ofra Bannet e Raffaella Scardi).
LA DOMANDA è quella che Caino fa al Padre Eterno dopo l’uccisione di Abele ma l’interrogativo è rigorosamente laico. «Il protagonista è un dottore israeliano che lascia un immigrato sul lato della strada dopo averlo investito – prosegue la scrittrice riferendosi alla trama del romanzo – ma potrebbe essere facilmente un dottore italiano». Il medico di cui la giovane scrittrice racconta è il neurochirurgo Eitan da poco allontanato dall’ospedale di Tel Aviv per aver scoperto che il professore di cui è stato allievo era corrotto. E, come a volte succede, è lui ad essere stato cacciato e inviato con moglie e due figli ad espiare la sua onestà a Beer Sheva, a sud del paese, ai margini del deserto.
EITAN CORRE con la macchina dopo un turno di notte e proprio mentre «stava giusto pensando di non aver mai visto luna più bella» – musica a palla e il fresco che finalmente allevia l’arsura di sabbia – «investe un uomo».
Nel romanzo la storia di Eitan, onesto e retto, inizia e finisce qui: perché Eitan lascia l’uomo ai margini della strada, a finire di morire da solo. Spera che il mondo si congeli, che sia possibile tornare indietro ma, ovviamente, non è così.
«Quando nelle interviste mi domandano cosa si può imparare della mentalità israeliana dal romanzo – prosegue Gundar-Goshen – dico che spero che leggendolo le persone imparino più su sé stesse che sul popolo israeliano. Sempre, quando leggiamo un libro scritto in un luogo molto lontano da noi, possiamo pensare che sia su di loro. Invece è sempre su di noi. Io ho voluto che i lettori finissero il libro con questa domanda in testa: e se fosse successo a me di guidare verso la mia famiglia nel cuore della notte, colpire un rifugiato senza nome, uno tra altri mille, uno di quelli che pulisce al supermercato e che tanto nessuno lo saprebbe mai – sono assolutamente sicuro che non fuggirei anche io?». Disposti a cogliere la valenza universale della questione si è pronti a passare oltre quando Gundar-Goshen aggiunge: «Però è anche un romanzo molto israeliano. Circa settantamila, centomila africani sono entrati illegalmente in Israele negli ultimi dieci anni in cerca di salvezza. Per un paese piccolo questi sono grandi numeri. Arrivano attraversando il deserto, percorrendo la stessa strada che l’Israele biblica ha percorso dalla fuga dall’Egitto. Questo viaggio mitico degli ebrei in fuga dalla schiavitù è oggi il viaggio dei profughi africani verso la terra promessa. Una volta in Israele molti di loro vengono arrestati e messi in un centro di detenzione».
Ma Beer Sheva, nella realtà come nel romanzo, non è solo come Lampedusa per l’Italia, porta di ingresso alla fuga alla disperazione: «Non è infatti l’avamposto che accoglie l’arrivo dei migranti ma è la più grande città del Neghev, il deserto israeliano. È il cortile sul retro di Israele dove la povertà e il crimine sono più elevati che a Tel Aviv e a Gerusalemme. Eppure il deserto non è solo geograficamente distante, lo è anche psicologicamente: noi non pensiamo mai ai beduini o ai profughi africani, sono in fondo ai nostri pensieri. E non solo, il deserto oltre ad essere geograficamente e psicologicamente una periferia, è anche la metafora di quell’area della nostra coscienza che è intoccabile e nascosta, dove non avremmo mai il coraggio di andare».
IL ROMANZO INDAGA drammaticamente ciò che ciascuno di noi percepisce come altro da sé, a cominciare da noi stessi. Il mattino dopo l’investimento Eitan si prepara a una ordinaria mattina di lavoro quando gli viene incontro Sirkit, un’eritrea bella e gelida, moglie dell’immigrato ucciso, che gli mostra il portafoglio che ha lasciato sul luogo dell’incidente e lo ricatta: lo costringe ad andare a curare clandestinamente altri immigrati in una rimessa. Da quel momento per sostenere quella prima, unica e gigantesca vigliaccheria, Eitan è prigioniero di una rete sempre più ingarbugliata di inganni. Ne sarà coinvolta anche sua moglie Liat, poliziotta che indaga sull’incidente. «Entrambi – spiega la scrittrice – trovano in sé stessi aspetti della propria anima che non avrebbero mai pensato di affrontare».
AYELET GUNDAR-GOSHEN è laureata in psicologia clinica all’Università di Tel Aviv, columnist di uno dei principali quotidiani israeliani ed è impegnata nel movimento per i diritti civili. Svegliare i leoni è il suo secondo romanzo dopo Una notte soltanto, Markovich pubblicato anch’esso da Giuntina due anni fa, e deve il proprio titolo a una poesia in ebraico la cui traduzione suona «Noi siamo così pazzi che i leoni ruggiscono in noi tutta la notte».
«Mi piaceva l’idea di un predatore che dorme dentro di noi e che si sveglia nella notte. È un poema molto sensuale, non parla di istinti brutali e feroci ma della vita che non conosci, quella che incontri soltanto nei tuoi sogni. Infatti – continua Ayelet – anche se Eitan pensa di conoscere la mente umana, in fondo fa il neurochirugo, la verità è che non conosce nemmeno sé stesso. Pensa di essere un brav’uomo, un medico che salva vite umane e che vota per un partito progressista. Come la maggior parte di noi ha un’idea molto precisa di che tipo di persona sia, ma in realtà non sappiamo affatto chi siamo fino al momento in cui ci troviamo in una situazione estrema. Se gli si chiedesse durante un pranzo con gli amici se sarebbe capace di lasciare un uomo morente sul ciglio della strada Eitan probabilmente direbbe di no. Ma quando accade compie una scelta e la sua fiducia nell’essere un brav’uomo è una sorta di hybris, e viene punito per questo».
SENZA SVELARE i particolari del libro che gli danno i toni del noir è importante sottolineare che indaga e infrange i pregiudizi da entrambi i lati della storia: «Normalmente pensiamo che i migranti debbano essere santi ma non si può essere santi per sempre se vuoi rimanere vivo e Sirkit vuole restare viva. Anzi, di più, non vuole la vita di un cane o di una mucca, lei vuole la vita di Eitan, sente di averne diritto. E quando Eitan è sorpreso dalla sua mancanza di compassione dimentica che la compassione è un privilegio».
Nella realtà Eitan e Sirkit non si possono incontrare, sono destinati a ignorarsi reciprocamente per sempre: «Ma l’incidente di macchina che apre Svegliare i leoni è uno scontro di civiltà, due mondi paralleli che non si sono mai realmente incontrati prima. Come migrante Sirkit è una di quelle persone che è testimone di tutte le cose che facciamo senza porre alcuna attenzione alla sua presenza. Mi chiedo quante volte sono stata seduta al ristorante baciando, discutendo o chiacchierando intimamente mentre degli immigrati illegali stavano pulendo il mio tavolo completamente ignorati. Io volevo indagare cosa accade quando coloro che sono invisibili prendono atto di avere un potere che cambia le regole del gioco».
IL RAPPORTO tra Eitan e Sirkit diviene, nello scorrere delle pagine, rabbioso e sensuale e Liat, la moglie di Eitan, che pure ignora quanto sta accadendo ne percepisce l’asprezza e la profondità: «Liat organizza e pulisce in modo da non percepire il caos che regna fuori e dentro di lei. È come se gli oggetti di uso domestico fossero oggetti del pensiero e mettendoli a posto anche tutto il mondo trovasse il posto giusto. Mi stupisce sempre come delle persone possano vivere nella stessa casa diventando degli estranei invece Liat vuole che la propria casa sia libera dai misteri, sia un luogo che lei può conoscere completamente. Mi interessava l’idea che si possa dividere il letto con qualcuno, riconoscere ogni angolo del suo corpo anche ad occhi chiusi e, ancora, non sapere cosa sta sognando».
Un finale imprevisto, salvifico e amaro, consegna i protagonisti di Svegliare i leoni ciascuno al proprio destino e lascia domande inquiete su quegli «altri» con cui viviamo la vita e quell’altro in noi che giace dentro i nostri sogni frequentati da leoni.
[Lia Tagliacozzo 18/04/2017]

Nessun commento: