Che una scrittrice esordisca sulla soglia dei
sessant’anni è poco consueto, ma se poi l’opera prima viene acquistata a
scatola chiusa in una trentina di Paesi è ovvio che diventi un caso
letterario. Non che Fiona Barton fosse proprio alle prime armi con la
penna. In Uk è una giornalista celebre, con alle spalle una lunga e
fortunata carriera. Il romanzo che con cui ha spopolato nelle pagine
culturali e in libreria, La vedova (Stile libero Einaudi, pp.
372, euro 18.50), è la risposta a una domanda che le era venuta spesso
in mente seguendo i casi di nera su e giù per il Regno unito: cosa
sapessero, o volessero sapere, le mogli di uomini accusati di delitti
orrendi.
Il marito di Jean Taylor, Glen, recentemente scomparso per un tragico incidente, era stato accusato del crimine più odioso, il rapimento e il probabile omicidio di una bimba di appena due anni, Bella Elliott. Qualche indizio, un alibi traballante offerto dalla moglie stessa: materia sufficiente per l’incriminazione, non per la condanna. Il tribunale lo aveva assolto, l’opinione pubblica no. Per «la gente», per i vicini di casa, per le poche amiche di Jean, Glen Taylor resta «il mostro».
Tra i molti per nulla convinti dalla «verità giudiziaria» c’è la madre della bimba scomparsa, Dawn, c’è l’ispettore che si è occupato delle indagini senza riuscire ad accumulare prove sufficienti, Bob Sparkes, c’è Kate Waters, una giornalista d’assalto ma tutt’altro che senza cuore, nella quale l’autrice ha evidentemente ritratto se stessa. Nessuno di loro, per un motivo o per l’altro, può rassegnarsi al fatto che la verità sia sepolta con il presunto maniaco. La sola a poter fare luce è la vedova.
Fiona Barton squaderna così una serie di interrogativi intorno ai quali far montare la suspence, in una narrazione sviluppata in diverse fasi cronologiche intrecciate, e a più voci. La bimba è ancora viva o è stata uccisa? Glen è colpevole o no e, se sì, cosa lo ha spinto? È un pedofilo, come si evincerebbe da alcuni indizi, o un marito sterile che non regge il dolore di una moglie devastata dall’assenza di figli? E Jean cosa sa, cosa sospetta? Se il marito è davvero il rapitore della piccola, che parte ha avuto lei nella turpe vicenda? È un’istigatrice, una complice consapevole, una vittima ignara? L’ultima domanda è quella fondamentale. L’animo di Jean Taylor è l’ultimo e definitivo oggetto dell’indagine della scrittrice.
Intorno all’asse centrale, però, si articolano una quantità di altri temi, ognuno dei quali pone un quesito etico: gli stessi che ci ritroviamo tutti a considerare e dibattere ogni volta che la realtà presenta una tragedia simile a quella immaginata da Fiona Barton. Prima di tutto il ruolo dei media. Se Glen Taylor è davvero un pedofilo assassino i lettori lo scopriranno solo nelle ultime pagine, ma il sospettato è stato fatto a pezzi ben prima dai media, in caccia del titolo a effetto e dei relativi profitti. Allo stesso tempo, però, sono quegli stessi media vampiri che permettono di non chiudere il caso dopo la sentenza e Kate, la giornalista, è equamente divisa tra avidità di scoop e profonda partecipazione.
Altrettanto problematico è il ruolo degli investigatori.
Per cercare di incastrare l’indiziato devono muoversi sotto copertura, facendosi adescare in chat. Ma sino a che punto arriva la semplice ricerca di prove e dove inizia invece l’induzione al reato? Infine, sia pur con molto tatto, la scrittrice passa ai raggi X anche la madre della bimba rapita, ragazza rimasta incinta in un incontro poco più che occasionale. Forse il ratto si è svolto davvero, per fatalità, nei pochi minuti in cui la donna dichiara di aver perso di vista la creatura ma forse, invece, quei minuti sono durati un meno perdonabile paio d’ore. Soprattutto, pur senza mai mettere in dubbio il sincero strazio della donna, l’autrice fa emergere come quella tragedia costituisca poi la base della sua vita e le permetta di raggiungere una insperata stabilità sia emotiva che economica.
La vedova è stata messa spesso a paragone con Gone Girl, in italiano L’amore bugiardo, il bellissimo romanzo di Gillian Flynn che è in realtà la più spietata anatomia del matrimonio uscita di recente. È un paragone legittimo: anche La vedova è in fondo la storia di un matrimonio. Ma la distanza è siderale. Flynn parla di una coppia assolutamente «moderna», socialmente e culturalmente di classe medio-alta, in cui la donna è ben consapevole del proprio potere e sa perfettamente come usarlo. Barton racconta coniugi di tutt’altra fatta. Glen e Jean, quando si incontrano, sono ragazzi di piccolissima borghesia, lei assistente parrucchiera, lui modesto impiegato di banca.
Il loro è un matrimonio fondato su una relazione di potere che oggi tendiamo spesso a pensare confinata nel passato, ma basta guardare Chi l’ha visto?, il programma tv più rivelatore sulla pancia dell’Italia di oggi e dal quale sembra tratta di peso questa storia, per scoprire che non è così. È una relazione in cui l’uomo guida, sa muoversi nel mondo, protegge e comanda. La donna è insicura e sottomessa, destinata a farsi guidare. I genitori fanno il possibile per cementare quel modello e garantirne la perpetuazione. La salvaguardia del matrimonio è l’obbligo morale.
Fiona Barton racconta fatti. Lascia al lettore il compito di analizzare, interpretare e giudicare. Ma il dubbio che all’origine del crollo morale di questa famiglia della piccola borghesia di provincia inglese ci sia proprio il fatto di non poter diventare una famiglia come tradizione comanda, con tanto di figli, è inevitabile. Come è inevitabile concludere che la scrittrice deve somigliare davvero alla giornalista ambiziosa però mai arida e sempre partecipe del suo libro. Arrivati all’ultima pagina ci si accorge che passo dopo passo Fiona Barton ha costruito con Jean, la vedova forse complice, la parrucchiera ossessionata dalla mancanza di figli, la moglie condannata a difendere il matrimonio dalla disgregazione interna, un personaggio commovente e bellissimo.
[Andrea Colombo 29/06/2016]
Il marito di Jean Taylor, Glen, recentemente scomparso per un tragico incidente, era stato accusato del crimine più odioso, il rapimento e il probabile omicidio di una bimba di appena due anni, Bella Elliott. Qualche indizio, un alibi traballante offerto dalla moglie stessa: materia sufficiente per l’incriminazione, non per la condanna. Il tribunale lo aveva assolto, l’opinione pubblica no. Per «la gente», per i vicini di casa, per le poche amiche di Jean, Glen Taylor resta «il mostro».
Tra i molti per nulla convinti dalla «verità giudiziaria» c’è la madre della bimba scomparsa, Dawn, c’è l’ispettore che si è occupato delle indagini senza riuscire ad accumulare prove sufficienti, Bob Sparkes, c’è Kate Waters, una giornalista d’assalto ma tutt’altro che senza cuore, nella quale l’autrice ha evidentemente ritratto se stessa. Nessuno di loro, per un motivo o per l’altro, può rassegnarsi al fatto che la verità sia sepolta con il presunto maniaco. La sola a poter fare luce è la vedova.
Fiona Barton squaderna così una serie di interrogativi intorno ai quali far montare la suspence, in una narrazione sviluppata in diverse fasi cronologiche intrecciate, e a più voci. La bimba è ancora viva o è stata uccisa? Glen è colpevole o no e, se sì, cosa lo ha spinto? È un pedofilo, come si evincerebbe da alcuni indizi, o un marito sterile che non regge il dolore di una moglie devastata dall’assenza di figli? E Jean cosa sa, cosa sospetta? Se il marito è davvero il rapitore della piccola, che parte ha avuto lei nella turpe vicenda? È un’istigatrice, una complice consapevole, una vittima ignara? L’ultima domanda è quella fondamentale. L’animo di Jean Taylor è l’ultimo e definitivo oggetto dell’indagine della scrittrice.
Intorno all’asse centrale, però, si articolano una quantità di altri temi, ognuno dei quali pone un quesito etico: gli stessi che ci ritroviamo tutti a considerare e dibattere ogni volta che la realtà presenta una tragedia simile a quella immaginata da Fiona Barton. Prima di tutto il ruolo dei media. Se Glen Taylor è davvero un pedofilo assassino i lettori lo scopriranno solo nelle ultime pagine, ma il sospettato è stato fatto a pezzi ben prima dai media, in caccia del titolo a effetto e dei relativi profitti. Allo stesso tempo, però, sono quegli stessi media vampiri che permettono di non chiudere il caso dopo la sentenza e Kate, la giornalista, è equamente divisa tra avidità di scoop e profonda partecipazione.
Altrettanto problematico è il ruolo degli investigatori.
Per cercare di incastrare l’indiziato devono muoversi sotto copertura, facendosi adescare in chat. Ma sino a che punto arriva la semplice ricerca di prove e dove inizia invece l’induzione al reato? Infine, sia pur con molto tatto, la scrittrice passa ai raggi X anche la madre della bimba rapita, ragazza rimasta incinta in un incontro poco più che occasionale. Forse il ratto si è svolto davvero, per fatalità, nei pochi minuti in cui la donna dichiara di aver perso di vista la creatura ma forse, invece, quei minuti sono durati un meno perdonabile paio d’ore. Soprattutto, pur senza mai mettere in dubbio il sincero strazio della donna, l’autrice fa emergere come quella tragedia costituisca poi la base della sua vita e le permetta di raggiungere una insperata stabilità sia emotiva che economica.
La vedova è stata messa spesso a paragone con Gone Girl, in italiano L’amore bugiardo, il bellissimo romanzo di Gillian Flynn che è in realtà la più spietata anatomia del matrimonio uscita di recente. È un paragone legittimo: anche La vedova è in fondo la storia di un matrimonio. Ma la distanza è siderale. Flynn parla di una coppia assolutamente «moderna», socialmente e culturalmente di classe medio-alta, in cui la donna è ben consapevole del proprio potere e sa perfettamente come usarlo. Barton racconta coniugi di tutt’altra fatta. Glen e Jean, quando si incontrano, sono ragazzi di piccolissima borghesia, lei assistente parrucchiera, lui modesto impiegato di banca.
Il loro è un matrimonio fondato su una relazione di potere che oggi tendiamo spesso a pensare confinata nel passato, ma basta guardare Chi l’ha visto?, il programma tv più rivelatore sulla pancia dell’Italia di oggi e dal quale sembra tratta di peso questa storia, per scoprire che non è così. È una relazione in cui l’uomo guida, sa muoversi nel mondo, protegge e comanda. La donna è insicura e sottomessa, destinata a farsi guidare. I genitori fanno il possibile per cementare quel modello e garantirne la perpetuazione. La salvaguardia del matrimonio è l’obbligo morale.
Fiona Barton racconta fatti. Lascia al lettore il compito di analizzare, interpretare e giudicare. Ma il dubbio che all’origine del crollo morale di questa famiglia della piccola borghesia di provincia inglese ci sia proprio il fatto di non poter diventare una famiglia come tradizione comanda, con tanto di figli, è inevitabile. Come è inevitabile concludere che la scrittrice deve somigliare davvero alla giornalista ambiziosa però mai arida e sempre partecipe del suo libro. Arrivati all’ultima pagina ci si accorge che passo dopo passo Fiona Barton ha costruito con Jean, la vedova forse complice, la parrucchiera ossessionata dalla mancanza di figli, la moglie condannata a difendere il matrimonio dalla disgregazione interna, un personaggio commovente e bellissimo.
[Andrea Colombo 29/06/2016]
Nessun commento:
Posta un commento