martedì 10 maggio 2016

Otello

Potentissimi, gravi e reverendi signori del Consiglio, nobilissimi e buoni miei padroni, ch’io abbia tratta via dalla sua casa la figlia a questo vecchio, è verità; vero altresì ch’io l’ho condotta in moglie. Qui comincia e finisce la mia colpa.
Non più di questo. Il mio parlare è rozzo, ed assai scarsamente provveduto
del soffice fraseggio della pace; dacché queste mie braccia, già dal tempo
che avevano il vigore dei sette anni fino all’incirca a nove mesi fa, hanno compiuto in un campo attendato le loro azioni più impegnative; ed io di questo nostro vasto mondo posso dir poco che non sia materia d’avvisaglie di guerra e fatti d’arme.
Perciò ben poco mi potrà giovare ch’io parli a perorare in mia difesa. Pure, con vostra graziosa licenza, vi dirò, con parole disadorne, il corso del mio amore, per intero; con quali droghe, con quali incantesimi, e scongiuri, e poteri d’arti magiche - perché di tanto sono qui accusato - io abbia vinto il cuore di sua figlia.
 
Il padre suo m’aveva molto caro. M’invitò spesso a casa, ed ogni volta mi domandava che gli raccontassi di me, della mia vita, d’anno in anno: gli assedii, le battaglie, le fortune attraverso le quali son passato. Ed io ripercorrevo la mia storia dai giorni della prima fanciullezza fino al momento stesso ch’ero lì con lui che mi chiedeva di narrarla: e là mi dilungavo a raccontargli delle mie sorti molto avventurose, di commoventi fatti in mare e in terra: di quando per un pelo ero sfuggito all’imminente breccia della morte; di quando, catturato prigioniero
da un nemico arrogante e da questi venduto come schiavo, mi riscattai, e quel che vidi e feci nei casi occorsimi durante il viaggio: antri profondi e preziosi deserti, aspre pietraie, rupi, erte montagne dalle cime che s’ergon fino al cielo
(ché tante furono le mie esperienze) gli dovetti descrivere: e i cannibali, che si sbranan fra loro, e gli antropofagi, cui cresce il capo di sotto alle spalle. 
Desdemona ascoltava seria e attenta anch’ella; ma le succedeva spesso d’esser distolta da cure domestiche; e, poi che in fretta le avesse sbrigate, tornava nuovamente ad ascoltare; e divorava quasi con l’orecchio quanto andavo dicendo: il che osservato, io colsi un giorno l’attimo per estrarle dal cuore la preghiera ch’io volessi narrarle ancor daccapo la storia delle mie peripezie
ch’ella aveva ascoltato solo a pezzi ed a forza distolta. Acconsentii, e spesso le truffai più d’una lacrima col narrarle dei colpi di sventura sofferti dalla mia giovane età.
E, terminato ch’ebbi la mia storia, quasi a compenso di tante mie pene ella mi offerse un mondo di sospiri; giurò ch’era una storia molto strana, meravigliosamente miserevole, meravigliosamente commovente; ella avrebbe voluto non udirla, e tuttavia sentiva il desiderio che il cielo avesse fatto lei tal uomo.
Mi ringraziò e mi disse perentoria che se mai avess’io per avventura avuto tra gli amici miei qualcuno che si fosse di lei innamorato, gli insegnassi a narrarle la mia storia, ché quello solo l’avrebbe sedotta...
A questo punto io mi dichiarai: ella m’amò pei corsi miei perigli, ed io l’amai per quella sua pietà.
Ecco: tutta la mia stregoneria, gli incantesimi miei, è tutto qui.
Ma ella viene. Mi sia testimone.
 
 

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