Sotto la fermata della metro di
Istanbul, nei pressi di Sultanahmet, proprio nel quartiere del centro
storico dove è avvenuto l’attentato terroristico del 12 gennaio scorso,
campeggia una gigantesca immagine a carboncino di una supereroina che,
almeno dal punto di vista dell’immaginario, è capace di sconfiggere
qualsiasi mostro. Nei dintorni, i muri che costeggiano gli antichi
viottoli pavimentati di ciottoli sono pieni di graffiti e murales della
writer Elif Nursad che si riappropria degli spazi metropolitani
disegnando enormi gatti.
Volti di donne, uomini, figure a volte
rabbiose, altre rassicuranti, sono i soggetti che compongono la
«pinacoteca» che Elif – questo il suo logo – dipinge anche su tela e che
vende durante le sue esposizioni e nello shop online. Figlia d’arte
(suo padre Ilhami Atalay è una personalità ad Istanbul e un pittore
consolidato a cui è stato sgomberato, in tempi recenti, l’atelier per
far posto a un hotel di lusso proprio nel cuore di Sultanahmet), Elif
Nursad Atalay è l’ultima di tre fratelli, tutti pittori; è anche una
graphic novelist che ha collaborato per lungo tempo con il magazine
umoristico Bayan Yani, (in turco vuol dire «seduta accanto a una donna» e
si riferisce alla tradizionale usanza che impone a una ragazza che
acquista un biglietto dell’autobus per un viaggio di lunga distanza,
l’obbligo di sedere accanto a un’altra persona del suo stesso sesso),
gestito esclusivamente da donne. I suoi fumetti sono fonte di
ispirazione per tantissime turche impegnate a rivendicare i propri
diritti, così come i suoi murales sparsi un po’ ovunque a Istanbul.
È considerata tra le artiste più
promettenti della nuova ondata underground , e assieme al collettivo
Avalerer (nome ispirato ai quaranta ladroni) e gli Ha Za Vu Zu, può
essere considerata una tra le figure più rappresentative della protesta
turca.
In Italia si è fatta conoscere per la
partecipazione al videoclip del brano hip hop Parte tutto quanto,
estratto dal secondo album Hardcorebaleni (2015) dei fratelli baresi
Tenko e Scriba. Una collaborazione che non sorprende: il writing ha
legami con la sottocultura hip hop sin da quando è nato, oltre
quarantacinque anni fa i vagoni della metro di New York. Nel filmato,
girato tra le vie di Istanbul dal regista Orcun Behram, Elif rappresenta
se stessa mentre dipinge, su un testo che parla di odio razziale. Ma
l’hip hop non è l’unica passione che la writer e pittrice
post-graffitista condivide con i due rapper baresi: con loro ha in
comune anche l’idea di un’arte intesa come strumento di impegno politico
e sociale capace di veicolare messaggi, diffondere ideali, sprigionare
passione. L’arte come missione, per abbattere i confini materiali
(territoriali) e simbolici (culturali, religiosi, razziali,) di genere e
di classe.
«Attraverso l’hip hop – racconta Elif –
riesco a esprimermi. Anni fa ho anche disegnato l’animazione di un
video. Non mi piace uscire. Ricordo che lo scorso agosto sono stata
rinchiusa dentro casa per tutto il mese e con quel caldo cocente non ho
fatto altro che ascoltare musica e dipingere in maniera maniacale. Il
ritmo e la velocità fanno parte del mio dna e divento una macchina senza
sosta quando ascolto hip hop».
Lei è pittrice, writer e
fumettista e i soggetti dei suoi quadri, disegni, fumetti e murales
raffigurano spesso animali e apparizioni inumane (la serie di felini, di
cani, etc). La metropolitana di Istanbul ospita un suo murales
gigantesco con una supereroina. Cosa rappresentano queste figure?
Ho sempre dipinto, sin da bambina, ma
quindici anni fa ho iniziato a lavorare con i fumetti, conosciuti come
la «quarta arte». È un mestiere duro e complicato e richiede molta
devozione e motivazione. Non è sufficiente saper disegnare: devi avere
una bella storia ed essere in grado di riprodurla. E’ necessario usare
un proprio stile, un linguaggio originale e farlo in maniera tale che
gli interlocutori lo possano comprendere. Bisogna avere una mente
brillante. I disegni e i fumetti sono due discipline differenti; mi
ritrovo spesso a un bivio in cui devo scegliere su cosa puntare per
comporre la mia narrazione. Mi piacciono molto anche i murales: è però
difficile oggi che riescano a sorprendere e incantare. Eppure possono
creare un mondo, essere potenti e incisivi nel comunicare un concetto. I
murales di protesta, con la loro forza e l’immediatezza dell’esecuzione
(che non permette errori), sono la base solida di espressioni
spontanee. La mancanza di regole, lo spettacolo, l’energia che
trasmettono sono gli elementi che più apprezzo in questa forma d’arte.
Quale significato assume la street art in città come Istanbul?
Io intendo la street art come una prova
eccitante della mia stessa esistenza, del mio respiro: aiuta a mettere
da parte ciò che è falso e volgare, sepolto in anime inaridite e
cementificate dal profitto. I graffiti, trovandosi in strada, hanno la
capacità di comunicare e riaccendere l’animo dell’essere umano. Se vivi
rinchiuso nel tuo palazzo, non puoi lasciar travolgere il tuo spirito da
questo tipo di arte. Quindi, scendere in strada assume un potere
simbolico. Il writing fa parte del mio lavoro, ma ritengo sia meglio
esprimermi restando nell’ombra. Agire in segretezza consente di
conservare un fascino indicibile.
Come fumettista lei ha
collaborato con il magazine umoristico «Bayan Yani», diretto da sole
donne che ha ospitato per lungo tempo la tua storia «My father & My
Master». Lei si batte anche per l’uguaglianza dei diritti e
l’empowerment delle donne turche. Qual è la condizione delle donne in
Turchia? Esistono movimenti femministi?
Bayan Yani, con cui ho lavorato per
anni, ha dato l’opportunità e il coraggio, sia a me che a altre
fumettiste e fumettisti di esprimersi. Non è in grado però di superare
il cliché che descrive le donne come vittime ed è circoscritto a una
tipologia femminile disegnata e voluta secondo canoni maschili.
Pertanto, non crea vero potere. Contrariamente all’opinione diffusa,
credo che le donne turche abbiano la stessa concezione di libertà ed
emancipazione di quelle che vivono in altri paesi europei. Noi turche
veniamo percepite come individui con minore consapevolezza a causa di un
fraintendimento culturale e dei precetti della religione musulmana. In
realtà, la subordinazione e l’uccisione delle donne – che è una piaga
sociale in Turchia – aumenta in maniera inversamente proporzionale
rispetto al livello di istruzione. Viviamo in un’epoca in cui le donne,
in generale, sono molto svalutate. Molte, a mio avviso, non hanno
coscienza di sé e sono molto meno libere di quello che credono: sono
giocattoli in mano ai media che contribuiscono ad edificare ruoli e
stereotipi. Sono troppe a non avere rispetto né per il loro corpo né per
il loro cervello.
[Grazia Rita Di Florio 15/04/2016]
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