venerdì 15 aprile 2016

Seduta accanto ad un'altra donna


Sotto la fermata della metro di Istanbul, nei pressi di Sultanahmet, proprio nel quartiere del centro storico dove è avvenuto l’attentato terroristico del 12 gennaio scorso, campeggia una gigantesca immagine a carboncino di una supereroina che, almeno dal punto di vista dell’immaginario, è capace di sconfiggere qualsiasi mostro. Nei dintorni, i muri che costeggiano gli antichi viottoli pavimentati di ciottoli sono pieni di graffiti e murales della writer Elif Nursad che si riappropria degli spazi metropolitani disegnando enormi gatti.
Volti di donne, uomini, figure a volte rabbiose, altre rassicuranti, sono i soggetti che compongono la «pinacoteca» che Elif – questo il suo logo – dipinge anche su tela e che vende durante le sue esposizioni e nello shop online. Figlia d’arte (suo padre Ilhami Atalay è una personalità ad Istanbul e un pittore consolidato a cui è stato sgomberato, in tempi recenti, l’atelier per far posto a un hotel di lusso proprio nel cuore di Sultanahmet), Elif Nursad Atalay è l’ultima di tre fratelli, tutti pittori; è anche una graphic novelist che ha collaborato per lungo tempo con il magazine umoristico Bayan Yani, (in turco vuol dire «seduta accanto a una donna» e si riferisce alla tradizionale usanza che impone a una ragazza che acquista un biglietto dell’autobus per un viaggio di lunga distanza, l’obbligo di sedere accanto a un’altra persona del suo stesso sesso), gestito esclusivamente da donne. I suoi fumetti sono fonte di ispirazione per tantissime turche impegnate a rivendicare i propri diritti, così come i suoi murales sparsi un po’ ovunque a Istanbul.
È considerata tra le artiste più promettenti della nuova ondata underground , e assieme al collettivo Avalerer (nome ispirato ai quaranta ladroni) e gli Ha Za Vu Zu, può essere considerata una tra le figure più rappresentative della protesta turca.
In Italia si è fatta conoscere per la partecipazione al videoclip del brano hip hop Parte tutto quanto, estratto dal secondo album Hardcorebaleni (2015) dei fratelli baresi Tenko e Scriba. Una collaborazione che non sorprende: il writing ha legami con la sottocultura hip hop sin da quando è nato, oltre quarantacinque anni fa i vagoni della metro di New York. Nel filmato, girato tra le vie di Istanbul dal regista Orcun Behram, Elif rappresenta se stessa mentre dipinge, su un testo che parla di odio razziale. Ma l’hip hop non è l’unica passione che la writer e pittrice post-graffitista condivide con i due rapper baresi: con loro ha in comune anche l’idea di un’arte intesa come strumento di impegno politico e sociale capace di veicolare messaggi, diffondere ideali, sprigionare passione. L’arte come missione, per abbattere i confini materiali (territoriali) e simbolici (culturali, religiosi, razziali,) di genere e di classe.
«Attraverso l’hip hop – racconta Elif – riesco a esprimermi. Anni fa ho anche disegnato l’animazione di un video. Non mi piace uscire. Ricordo che lo scorso agosto sono stata rinchiusa dentro casa per tutto il mese e con quel caldo cocente non ho fatto altro che ascoltare musica e dipingere in maniera maniacale. Il ritmo e la velocità fanno parte del mio dna e divento una macchina senza sosta quando ascolto hip hop».
Lei è pittrice, writer e fumettista e i soggetti dei suoi quadri, disegni, fumetti e murales raffigurano spesso animali e apparizioni inumane (la serie di felini, di cani, etc). La metropolitana di Istanbul ospita un suo murales gigantesco con una supereroina. Cosa rappresentano queste figure?
Ho sempre dipinto, sin da bambina, ma quindici anni fa ho iniziato a lavorare con i fumetti, conosciuti come la «quarta arte». È un mestiere duro e complicato e richiede molta devozione e motivazione. Non è sufficiente saper disegnare: devi avere una bella storia ed essere in grado di riprodurla. E’ necessario usare un proprio stile, un linguaggio originale e farlo in maniera tale che gli interlocutori lo possano comprendere. Bisogna avere una mente brillante. I disegni e i fumetti sono due discipline differenti; mi ritrovo spesso a un bivio in cui devo scegliere su cosa puntare per comporre la mia narrazione. Mi piacciono molto anche i murales: è però difficile oggi che riescano a sorprendere e incantare. Eppure possono creare un mondo, essere potenti e incisivi nel comunicare un concetto. I murales di protesta, con la loro forza e l’immediatezza dell’esecuzione (che non permette errori), sono la base solida di espressioni spontanee. La mancanza di regole, lo spettacolo, l’energia che trasmettono sono gli elementi che più apprezzo in questa forma d’arte.
Quale significato assume la street art in città come Istanbul?
Io intendo la street art come una prova eccitante della mia stessa esistenza, del mio respiro: aiuta a mettere da parte ciò che è falso e volgare, sepolto in anime inaridite e cementificate dal profitto. I graffiti, trovandosi in strada, hanno la capacità di comunicare e riaccendere l’animo dell’essere umano. Se vivi rinchiuso nel tuo palazzo, non puoi lasciar travolgere il tuo spirito da questo tipo di arte. Quindi, scendere in strada assume un potere simbolico. Il writing fa parte del mio lavoro, ma ritengo sia meglio esprimermi restando nell’ombra. Agire in segretezza consente di conservare un fascino indicibile.
Come fumettista lei ha collaborato con il magazine umoristico «Bayan Yani», diretto da sole donne che ha ospitato per lungo tempo la tua storia «My father & My Master». Lei si batte anche per l’uguaglianza dei diritti e l’empowerment delle donne turche. Qual è la condizione delle donne in Turchia? Esistono movimenti femministi?
Bayan Yani, con cui ho lavorato per anni, ha dato l’opportunità e il coraggio, sia a me che a altre fumettiste e fumettisti di esprimersi. Non è in grado però di superare il cliché che descrive le donne come vittime ed è circoscritto a una tipologia femminile disegnata e voluta secondo canoni maschili. Pertanto, non crea vero potere. Contrariamente all’opinione diffusa, credo che le donne turche abbiano la stessa concezione di libertà ed emancipazione di quelle che vivono in altri paesi europei. Noi turche veniamo percepite come individui con minore consapevolezza a causa di un fraintendimento culturale e dei precetti della religione musulmana. In realtà, la subordinazione e l’uccisione delle donne – che è una piaga sociale in Turchia – aumenta in maniera inversamente proporzionale rispetto al livello di istruzione. Viviamo in un’epoca in cui le donne, in generale, sono molto svalutate. Molte, a mio avviso, non hanno coscienza di sé e sono molto meno libere di quello che credono: sono giocattoli in mano ai media che contribuiscono ad edificare ruoli e stereotipi. Sono troppe a non avere rispetto né per il loro corpo né per il loro cervello.
[Grazia Rita Di Florio 15/04/2016]

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