mercoledì 13 gennaio 2016

Il digiuno culturale

Oggi su “la Repubblica” è comparso un articolo di Laura Montanari dal titolo Il digiuno culturale che presenta uno spaccato sulle abitudini degli italiani che non leggono libri, non vanno ai concerti o a teatro. Ignorano le rassegne ed il cinema (1 su 5) per scelta.
I “no-cult” non sono marziani e nemmeno abitano in una riserva indiana, sono nell’Italia di oggi calati nelle città e soprattutto nei piccoli comuni sotto i duemila abitanti dove il teatro è chiuso da tempo, il cinema o la sala parrocchiale da qualche anno, la cartolibreria ha tirato giù le saracinesche ancor prima della crisi per far posto a un negozio di abbigliamento o di telefonia. Vivono più al sud che al nord tanto per ribadire l’Italia a due velocità. Sono tanti i “no-cult” quando i capelli imbiancano parecchio dai 60 anni in su. Lì lo strapotere della tv  non si argina.
Come dice giustamente Fabrizio Tonello docente di Politica comparata all’università di Padova e autore de “L’età dell’ignoranza” magari non hanno comprato il giornale ma lo hanno letto al bar, magari non sono andati al cinema ma hanno visto alla televisione un film di Woody Allen. Oppure scaricano web series, musica, libri o posso aggiungere la mia esperienza sottolineando che non sempre si compra un libro ma lo si prende in prestito alla Biblioteca, non si va spesso al cinema ma si noleggia un film in videoteca.
Il divario Nord-Sud resta abbagliante. Il problema è politico, servono incentivi e contenuti dice Stefano Massini drammaturgo e consulente artistico del Piccolo Teatro di Milano.
Mi riallaccio ad un articolo comparso domenica su “Il Sole 24 Ore” di Franco Matticchio che parla delle scrittrici canadesi: quelle degli annoi 30 (da Munro a Atwood) e quelle degli anno 60.
Negli anni 60 il governo centrale canadese cominciò una politica di sostegno alla letteratura, con finanziamenti, borse di studio, residence per scrittori. Forse non un aiuto all’ispirazione ed al talento, ma certo un contributo alla possibilità a concentrarsi sul mestiere di scrivere e un riconoscimento della sua importanza e della necessità di un contesto favorevole.
La politica deve rendere fruibile la cultura – riprende Massini – è una missione bisogna decentrare. Per fare un esempio in Toscana ed Emilia e altri posti gli spettacoli vengono programmati dalle Regioni nei piccoli Comuni.
Se si reputa il patrimonio artistico una fonte di ricchezza - dichiara Natali ex direttore degli Uffizi – bisogna incentivare la Storia dell’arte a scuola. Solo lo studio genera conoscenza e risveglia l’interesse.
In un paese dove la tv tocca il 92 per cento degli spettatori, libri e giornali arrancano: il 2015 almeno è l’anno in cui si ferma l’emorragia dei lettori. I libri sono snobbati dalla metà delle donne che comunque leggono più degli uomini. Tra chi si dedica alla lettura poi, il 45.5% ammette di leggere al massimo tre libri all’anno e sono in particolare i giovani.
Mariapia Veladiano  sostiene che leggere non è questione di tempo. Il report annuale 2015 di We are social racconta che mediamente gli italiani passano quattro ore e 28 minuti si internet, due ore e 30 minuti su piattaforma social, due ore e 39 minuti davanti alla tv. I più teledrogati d’Europa. Dentro questo oceano di ore un libro all’anno o uno spettacolo teatrale non sono questione di tempo.
Cultura e potere hanno viaggiato insieme a lungo e chi non frequenta libri e giornali soffre ancora di un moderato  disagio. Poco poco, perché il potere si sta emancipando con fiera baldanza dalla cultura e da Tremonti in poi si sa che “con la cultura non si mangia” e ormai non essere laureati è quasi un requisito per far carriera politica.
A parte la scuola, e infatti l’Istat dice che sono proprio i bambini e i ragazzi i principali fruitori culturali, non c’è molto del nostro ordinario mondo quotidiano che racconti che la cultura è importante. Ogni paese ha le sue storie. La nostra dice che libri, musei e teatro sono per ora cose di scuola. Non basta, ma graziealcielo c’è la scuola.

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