martedì 5 agosto 2014

Rassegna stampa

Rinfrancato dalla sferza del lunedì vi scrivo le consuete poche righe.
Innanzitutto due ricordi, per due grandi musicisti e due compagni ( bella parola da dire ancora, quando ha senso).
Il primo era  un mio "eroe". Il contrabbassista, capo orchestra, compositore, cantante, agitatore culturale, comunista americano Charlie Haden.
Haden è stato uno dei più grandi   contrabbassisti della storia del Jazz e in questo ruolo ha partecipato da protagonista a tutte le fasi più importanti e salienti della sua storia  a partire dalla fine degli anni '50. Per ricordarne solo due è stato il contrabbassista, unico bianco,  dei quartetti storici di Ornette Coleman con cui ha inciso, tra gli altri il fondamentale "Free Jazz", ed ha costituito negli anni   '70, insieme ad un altro grandissimo, il batterista Paul Motian,  la sessione ritmica del quartetto "americano" di Keith Jarrett   ( il quarto era il sassofonista Dewey Redman, unico nero,   un altro ornettiano) che ancora oggi, dopo più di trenta anni è il gruppo migliore del pianista. Tra l'altro , in modo commovente, i due amici si erano ritrovati nel 2010 a casa di Jarrett incidendo degli straordinari duetti fatti  di quel jazz così lirico e soffuso che piace anche a chi di solito non ama il Jazz. Il primo album ricavato dai duetti  è intitolato "Jasmine"  ed era uscito un paio di anni fa, il secondo è uscito qualche mese prima della sua scomparsa  ed è intitolato, ahimè, "Last dance" e non l'ho ancora ascoltato.
Ma l'apporto forse più importante dato da Haden alla storia del Jazz è stata la fondazione nel 1969 della "Liberation Music Orchestra" che riuniva i musicisti più all'avanguardia della New York di allora, tra cui il trombettista Don Cherry e il sassofonista Gato Barbieri. Era un'orchestra dichiaratamente militante e impegnata politicamente ma, data la statura artistica del gruppo, dai risultati estetici straordinari. La formula era data dal recupero, in chiave free negli assoli, ma in forma ben strutturata dalla straordinaria arrangiatrice Carla Bley , della grande tradizione della canzone politica e militante: nel primo album i canti della guerra di Spagna ma anche le musiche di Hans Eisler il musicista comunista collaboratore di Brecht  e la "Canzone del Che" di Carlos Puebla. 
Dopo il primo, la formazione - che vide via via cambiamenti di organico ma con sempre Haden e la Bley a condurla - incise altri 3 album più uno dal vivo, aprendosi anche alla grande tradizione dello spiritual e del gospel. L'ultimo album dal titolo significativo "Not in our name" , inciso in opposizione alla seconda Guerra del Golfo, contiene una versione strepitosa del classico spiritual "Amazing grace" , così strepitosa che ho lasciato scritto che sia il terzo pezzo da suonare al mio funerale.
Un ultimo brano da ricordare è  una versione dal vivo  a Montreal nel 1995 in trio con Don Cherry e il batterista Ed Blackwell , gli altri due membri del quartetto originale di Coleman, di "Mopti", una composizione di Cherry.  Mopti è una città del Mali, in terra  Dogon.
L'altro maestro che voglio ricordare è il nostro Giorgio Gaslini. Il padre  del jazz italiano, musicista "totale" come amava giustamente definirsi fin dagli anni '50, didatta, intellettuale militante, teorico,  con le sue proposte straordinarie di fusione tra jazz e musica dodecafonica ( ma che swing, sempre) che sono diventate di uso comune solo trent'anni dopo.
Di Gaslini ho una conoscenza assai meno approfondita ma un ricordo personale.
Avrò avuto 19 anni e al Teatro Sociale (allora queste cose, ogni tanto a Rovigo accadevano) Gaslini tenne un concerto straordinario, alternando spiegazioni e esecuzioni in piano solo, sulle musiche del sommo Thelonious Monk, e ci fu anche una coda orchestrale con i suoi allievi del Conservatorio di Milano ( e c'era pure un rodigino, alla tromba, Ilich Fenzi). Fu in  quella sera memorabile che scoprii definitivamente il Jazz  e se oggi sono qui a scriverne lo dovete anche a lui.
Abbiamo evocato Rovigo, e...
E per concludere una segnalazione libraria se siete amanti come autrici e/o spettatrici della fotografia.
In attesa della mostra di Mario Dondero, intitolata "Partigiani del Polesine" gli ultimi dei quali il maestro è venuto a fotografare l'anno scorso e  che si aprirà a Fratta verso fine settembre ( ho potuto visionare in anteprima il catalogo e mi sembra tutto di grandissimo valore), potete leggere  un suo libro intervista intitolato  "Lo scatto umano". Il libro è un intenso excursus sul foto - giornalismo e  (quella che dovrebbe essere ) la sua etica,  di cui Dondero è stato ed è uno dei grandi esponenti internazionali.
Lo segnala Marco Belpoliti su Tuttolibri e conclude la recensione scrivendo "La fotografia di Dondero ha una sola definizione: umana. Uno dei pochi maestri che ci restano".
Di nuovo buona settimana.
Andrea       

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